Il ruggito di Serena, 28a semifinale Slam: “Oltre il mio limite” (Crivelli). Tutte le emozioni di re Djokovic, nervoso numero 1 (Clerici). Intervista a Stefan Edberg: “Mi rivedo in Federer” (Piccardi). Nole e Serena vanno avanti perché mungono le endorfine (Giua)

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Il ruggito di Serena, 28a semifinale Slam: “Oltre il mio limite” (Crivelli). Tutte le emozioni di re Djokovic, nervoso numero 1 (Clerici). Intervista a Stefan Edberg: “Mi rivedo in Federer” (Piccardi). Nole e Serena vanno avanti perché mungono le endorfine (Giua)

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Il ruggito di Serena, 28a semifinale Slam: “Oltre il mio limite” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Non c’è posto per due leonesse nella giungla del Centrale. E così ogni palla che fila a 100 all’ora, ogni servizio che accarezza le righe, ogni prodezza che dipinge gli angoli del campo è accompagnata da ruggiti sempre più poderosi, da «c’mon» sempre più carichi di decibel, da pugni all’aria e sguardi di fuoco. Ne resterà solo una. Ed è lei, ancora lei. Serena Williams. Il martedì dei quarti ci regala finalmente una partita, e che partita. Era scritto che fosse la rediviva Azarenka la barriera con le spine più irte verso il sogno del sesto trionfo a Church Road della numero uno del mondo. Una battaglia splendida che scollina di tre minuti le due ore spinge adesso la sorellona verso quell’orizzonte di cui non vuole neanche sentire parlare: Wimbledon infatti si legge Grande Slam, perché è su quest’erba che si celano per lei le insidie più subdole.

EQUILIBRIO Ci voleva però il coraggio di Vika, mai così vicina al rendimento di quando dominava la classifica e vinceva due Open d’Australia, prima che un tignoso infortunio al piede destro la tenesse lontana dal tennis 10 mesi, per stimolare Serena in un test di straordinario livello, per spremerne l’infinito talento e l’inesauribile sete di successi. La bielorussa che sta a Montecarlo, oggi allenata da Wim Fissette, è forse l’unica giocatrice del circuito a non temere mentalmente la Williams, a non sentirsi battuta già dagli spogliatoi. Servizio solido e colpi profondi negli angoli per farla muovere, così la Azarenka si prende il primo set lasciando solo due game all’avversaria. Chapeau. Ma l’altra è una belva, che uscita dalla gabbia comincia a dare sberle in battuta (alla fine 17 ace) e quindi a prendere il comando negli scambi da fondo trovando nel rovescio (meraviglioso il passante con cui si procura il break del 4-2 nel secondo set) un prezioso alleato. Si lotta su ogni punto, con l’indelicato contorno di un pubblico incredibilmente scorretto che scimmiotta ogni urlaccio delle sfidanti, tanto che alla fine Victoria non riuscirà a nascondere la delusione: «Un comportamento inaccettabile e sinceramente sono stanca di questo argomento. Mi sono allenata con Nadal e i suoi grugniti sono ben più potenti dei miei, ma nessuno lo critica».

PALCOSCENICO Un altro break nel terzo set sancisce la resa della numero 24 del mondo e l’apoteosi della Williams, alla 28′ semifinale di uno Slam dove arriva forte di un clamoroso 24-3: «E’ stato un match fantastico, ognuna ha spinto l’altra ad andare oltre il proprio livello di gioco». Uno spot per le donne, dopo che la Wozniacki si era lamentata che pochi match femminili finiscano sul palcoscenico dei campi più importanti: «E’ un problema che abbiamo in ogni torneo in cui siamo in programma insieme agli uomini – concorda Serena – e per il quale dobbiamo ancora fare progressi». Ma si può già immaginare il batticuore che circonderà il suo incrocio con la Sharapova, il 20 confronto diretto, con Maria capace di vincere gli unici due ben 11 anni fa, qui in finale e poi in finale al Masters.

CAMBIO DI ROTTA La russa perde il primo set del suo torneo contro la Vandeweghe ed è ancora troppo altalenante perché le si possa concedere la chance di cambiare rotta: soprattutto, dopo un inizio in cui indirizza il match con la solidità dei colpi da fondo, decide di giocare di conserva, rimettendo solo di là la palla e rischiando di finire impallinata se l’americana non sbagliasse troppo nel terzo set (…)

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Tutte le emozioni di re Djokovic, nervoso numero 1 (Gianni Clerici, La Repubblica)

Dopo una notte di sogni interrotti, forse trapunta di incubi, Novak Djokovic è riuscito a non perdere il suo match contro il sudafricanone Kevin Anderson. Ho scritto ‘a non perdere’, invece che vincere, non del tutto a caso. Lunedì sera, dopo aver scritto il mio pezzetto quotidiano, mi stavo avviando a casa, quando, dal Campo Uno, ho sentito levarsi al cielo nuvole di applausi. Ho allora controllato il punteggio, e mi sono reso conto di una delle mie abituali distrazioni, dalle quali non guarirò mai. II favorito di Wimbledon, il Numero Uno del mondo, aveva infatti perso i due primi tiebreak contro Anderson. Incredulo, mi sono allora affrettato in tribuna, ed ho visto sul viso di Nole un’insolita espressione, nella quale all’incredulità si associava la delusione, alla delusione l’irritazione, all’irritazione la palese intenzione di ribellarsi. Un bravo collega dell’Equipe — sono solo in cinque — mi avrebbe riassunto quel che era sin lì avvenuto, con una pur imprecisa statistica -Kevin ha fatto una ventina di ace, serve and volley, e tiene anche il palleggio di Nole, che commette troppi errori. Avrei ringraziato, preparato il mio taccuino, ma avrei, immediatamente, visto un’altra partita, diversa, se non proprio opposta, a quella che l’amico mi aveva raccontata.

D’un tratto Nole pareva quello di sempre, il N. 1 del mondo sconfitto nel suo sogno di Grande Slam soltanto da un Wawrinka in una giornata, che temo, non ritornerà più. Bloccando quasi serenamente le esplosive battute del sudafricano, Djoko avrebbe trovato maggiore regolarità e penetrazione nelle battute, avrebbe requisito un terzo set quasi facile, e si sarebbe ripetuto, con qualche difficoltà in più, mai con angoscia, nel quarto. Era allora giunta la notte. Una volta di più la sospensione mi aveva fatto dubitare se sia umano decidere un match di cinque set in un set solo. O forse meglio rigiocarlo, e i due protagonisti ripartire da un nuovo inizio. Oggi Djokovic e Anderson sono ritornati in campo per primi, sullo stesso Court Number One, all’inizio visitato dalla pioggia. Giusto come ieri, l’inizio del match ha sottolineato insolite difficotà di Nole, spesso incapace di opporsi alle violente e angolate battute di Anderson. L’evidente preoccupazione di Djoko ne trovava una simile sul viso arrossato di Becker, probabilmente impensierito per il suo stipendio. Anderson, mi informava il mio amico francese, pareva quello della recente finale al Queens, un vero tennista da erba, stirpe quasi estinta. I suoi aces si inanellavano a quelli di ieri, mentre Djoko—trovo addirittura scritto, il povero Djoko, sul taccuino — avrebbe rischiato un break, forse fatale, sin dal quarto gioco, fronteggiando due palle break. Ma l’anomalia di simile sorpresa — alla fine mancata — sarebbe svanita con due improvvisi doppi errori (…)

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Intervista a Stefan Edberg: “Mi rivedo in Federer” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Questo prato fiorito di fragole, moscerini e sogni, ventisette anni fa cambiò la vita del figlio di un poliziotto di Vastervik, contea di Kalmar, Svezia meridionale, un biondino che giocava a tennis tra le nuvole, senza mai, ma proprio mai, scompigliarsi il ciuffo. Qualche filo di verde sopravvive tra i capelli di Stefan Bengt Edberg, 50 anni il 19 gennaio, fiero rivale di Boris Becker (ieri ricorreva il trentennale del trionfo del wunderkid tedesco nell’85, a 17 anni) cui sfilò due memorabili Wimbledon (’88, ‘go), così belli e intensi e nobili che a ripensarci fa un po’ male. Era a casa con Annette, i due figli adolescenti e certi ricordi dolci più delle volée che pettinavano l’erba di Church Road quando nel dicembre 2013 è suonato il telefono. «Ciao, sono Roger Federer: vuoi allenarmi?». Ed eccolo qui, Stefan, a spiegarci davanti a un tè (a Londra sono le cinque) perché il migliore di ogni tempo quest’anno vincerà l’ottavo Wimbledon, corroborando (se possibile) la sua leggenda. E perché, probabilmente, non è finita qui.

Edberg, varcare i Doherty Gates le dà un brivido anche dopo tanti anni? «Più di uno. La prima volta che giocai a Wimbledon avevo 17 anni e non avevo mai visto un campo in erba in vita mia. Non mi ero perso alla tv, però, i cinque trionfi consecutivi di Borg: in Svezia non trasmettevano altro. Scesi alla fermata della metropolitana e arrivai al circolo a piedi. La coda, l’atmosfera, tutto quel verde… Venni travolto dall’emozione».

La finale ’88 con Becker, la prima, spostata a lunedì per la pioggia. «Un match speciale. Non avevo avuto problemi a dormire domenica notte, poi a pranzo esagerai, mangiando troppo. Cominciai con un tremendo peso sullo stomaco, finii in estasi. Un match point a Wimbledon è qualcosa di difficile da spiegare: 17 mila persone che trattengono il respiro piantandoti gli occhi addosso. Mi chiedevo: sta succedendo proprio a me?».

Il rimpianto: Parigi ’89. «Indovinato. Vorrei poter rivivere un solo punto di quella finale: se avessi giocato incrociato, se la palla fosse atterrata sulla riga… Ma Chang era in stato di grazia: quello era il suo Roland Garros».

Dove tiene i suoi trofei (6 Slam, 42 titoli, 4 Davis)? «Dopo il trasloco da Londra a Vaxjo, la città di mia moglie, sono rimasti negli scatoloni. I due piatti di Wimbledon sono al museo di Newport e di Baastad. Un po’ mi mancano: sarebbe bello servirci il sushi per cena!».

Perché un tipo riservato come lei ha detto sì a una celebrity interplanetaria? «La chiamata di Roger mi lasciò sotto choc. Gli chiesi una settimana per decidere, che trascorremmo a Dubai allenandoci e conoscendoci. Volevo essere certo di fare la differenza, cosa di cui lui non dubitava. Pensai: quando mi ricapita?».

Quale fu la molla? «Rivedermi in .Roger. Nella sua personalità quieta, in certi gesti antichi».

Come si allena Federer? Lei è coach, motivatore, guru o cosa? «Di tutto un po’. Il lavoro sul campo è di Luhti, capitano della Davis svizzera; io da solo non basterei. Studiamo i rivali, riguardiamo i match, condividiamo sensazioni. Ciò che Roger attraversa, nel mio piccolo io l’ho già vissuto».

È cambiato motto il tennis, dai suoi tempi? «Moltissimo, e in meglio. Il livello medio si è alzato, tutto è migliorato: racchette, stadi, popolarità dello sport. Quattro tennisti dominano da io anni. Forse nel gioco manca un po’ di varietà: dietro i fuoriclasse, gli altri tendono ad assomigliarsi».

Federer ha il problema di ritirarsi con stile. Lei quando capì che era ora di dire basta? «La mattina in cui mi svegliai desiderando di andare in vacanza anziché sul campo. È una questione di motivazioni. A quasi 34 anni Roger ha il fisico ancora integro, è numero 2 del mondo, ha la voglia di giocare a tennis di un ragazzino. Se mi chiederà di raccontargli come ho appeso la racchetta al chiodo, lo farò. Ma credo che in proposito abbia le idee chiare: finché si batterà tra i migliori, andrà avanti. Wimbledon è la sua occasione, ma penso possa vincere Slam su tutte le superfici. Voglio e devo crederlo».

Mi dica una cosa su Federer che non sappiamo. «Come è speciale in campo, così lo è nella vita di tutti i giorni. È umile, semplice, legatissimo alla famiglia, divertente (…)

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Nole e Serena vanno avanti perché mungono le endorfine (Claudio Giua, repubblica.it)

Wimbledon in salita per i numeri 1 del tennis mondiale. Che dalle difficoltà mungono endorfine quasi fossero le mammelle di una mucca da latte. Novak Djokovic e Serena Williams vanno avanti nel tabellone – quarti di finale per il serbo, semifinale per l’americana – confermando che per proseguire nello Slam sull’erba serve sempre il massimo della concentrazione e una particolare predisposizione ad adeguare il proprio gioco alle condizioni date. Perché “il tennis agonistico richiede una mente geometrica, l’abilità di calcolare non soltanto le vostre angolazioni ma anche le angolazioni di risposta alle vostre angolazioni”, come insegna l’amato DFW. Che non si riferiva solo alle direzioni impresse alle palle.

Nole ce la fa a prendersi il quinto set giocato dopo le sedici ore d’interruzione del suo ottavo di finale, fermato la sera prima per oscurità dagli ispettori dell’ATP e dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club: risultato per nulla scontato contro un avversario come Kevin Anderson, che a 29 anni sta diventando un protagonista di primissimo piano del circuito grazie al servizio potentissimo e alla reattività alla risposta. Il serbo rischia parecchio anche nella prosecuzione sul Campo 1 dove ieri aveva ceduto i primi due set per 6-7 6-7 e s’era preso il terzo e il quarto per 6-1 6-4. Si ricomincia con tre ace e un serve-and-volley che consentono al sudafricano di prendersi il primo game a zero. Il copione è lo stesso delle due ore iniziali: per dieci giochi Novak deve lottare parecchio per mantenere il proprio servizio mentre Kevin fatica meno quando tocca a lui battere. Il ragazzo di Johannesburg ha anche più occasioni per ottenere il break che risulterebbe decisivo: se le vede sottrarre da Djokovic, che sotto pressione diventa un fascio di nervi pronto a scattare.

Il match pare destinato a durare chissà quanto, in mancanza dello sfogo finale del tie break. Il serbo – tatticamente il giocatore più acuto tra quanti in attività – sa però che prima o poi potrà approfittare di un errore o una distrazione dell’avversario. Accade sul 5 pari, quando il numero 14 ATP incappa in due doppi falli e in una volée sbagliata che lo condannano a subire il break. Nole va a servire e si trova sotto 0-30 per colpa di due eccellenti risposte di Anderson. Ancora una volta, ritrova la concentrazione e chiude sul 7-5. Dirà alla fine: “Quello di oggi è stato uno dei più complicati match della mia carriera”. Come l’anno scorso, nei quarti lo attende Marin Cilic, che ha perso i dodici confronti con il serbo dal 2008 in poi.

Ancora più impressionante, se possibile, il recupero nel quarto di finale di Serena Williams, che Vika Azarenka – quasi 26 anni, attualmente numero 24 del ranking WTA ma 1 tra il 2012 e il 2013, gli stessi anni dei trionfi a Melbourne – maltratta nel primo set (3-6) con servizi imprendibili, accelerazioni lungolinea e una mobilità che sembrava aver perso dopo i guai fisici e psicologici della stagione scorsa.

Solo dopo quattro game equilibrati del secondo set durante i quali Azarenka dà comunque l’impressione di poter tenere il livello di gioco del primo set, Serena ha uno scatto d’orgoglio. Con un cambiamento di ritmo simile a quello mostrato pochi giorni fa contro la britannica Heather Watson, l’americana si prende i sette giochi consecutivi che le servono per il 6-2 nel secondo set e per andare avanti 3-0 nel terzo. La bielorussa non si dà per vinta, costringe Serena a non cedere un centimetro di campo, a combattere palla sua palla, a calcolare ogni angolazione come spiega DWF. Finisce 6-3. Dopo tanta adrenalina, caldo e amichevole l’abbraccio finale tra la più giovane delle Williams e Vika, che in campo si sono urlate a brutto muso il desiderio di prevalere. A mio giudizio, in assoluto una delle più belle partite degli Championships 2015 e un eccellente allenamento per la semifinale di Serena giovedì contro Maria Sharapova.

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