Non solo classe: Gasquet doma Wawrinka (Crivelli). Federer, Djokovic e i rivali ridotti a sparring partner (Clerici). Ancora Federer e Murray tre anni dopo l’indimenticabile estate (Semeraro). E’ Gasquet a meritarsi un posto nella piccola storia del tennis (Giua)

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Non solo classe: Gasquet doma Wawrinka (Crivelli). Federer, Djokovic e i rivali ridotti a sparring partner (Clerici). Ancora Federer e Murray tre anni dopo l’indimenticabile estate (Semeraro). E’ Gasquet a meritarsi un posto nella piccola storia del tennis (Giua)

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Non solo classe: Gasquet doma Wawrinka (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Scovate l’intruso. La soluzione più facile, i primi quattro della classifica in semifinale sull’erba più celebre del mondo: era accaduto solo nel 1927, nel 1993 e nel 1995. Fuori Nadal, dentro Wawrinka, insieme ai soliti noti Djokovic, Federer e Murray. Ma a volte i fantasmi non sono così spaventosi da impedire che i sogni si avverino, e ti permettono di lasciare gli incubi fuori da un campo da tennis. Ci prova, intendiamoci, quel talento eternamente inespresso di Gasquet, a farsi travolgere un’altra volta dall’aura del perdente di successo, a gettare alle ortiche una vittoria costruita con tenacia attorno a quel rovescio di tecnica e bellezza abbaglianti, ma finalmente riesce ad arrestarsi a un passo dal baratro.

COMBATTENTE Certo, quando regala il secondo set con un doppio fallo e si fa strappare il servizio sul 5-3 del quinto da uno Stan in versione minimal, più che Animal, come certificano i 48 gratuiti (tantissimi con il rovescio in chop) e le troppe palle senza spinta, la memoria va alle infinite occasioni perdute di una carriera che a 9 anni lo aveva portato sulla copertina di Tennis Magazine come il giovane messia della Francia. No, non questa volta, vero Richard? «Quando ho servito per il match e lui mi ha fatto il break — dice sorridendo — mi sono detto che comunque non potevo perdere ancora. E ho lottato, ho combattuto, sono rimasto concentrato sulla partita. E sul 10-9 ho giocato un gran game. Ho battuto un grande avversario, il vincitore di Parigi: è il più bel successo di sempre».

IL BACIO Gasquet aveva 21 anni e una vita davanti quando per la prima (e fino a ieri unica) volta approdò in semifinale a Wimbledon: era il 2007 e poi perse da Federer. Si immaginava fosse solo l’inizio, il punto di partenza, il primo tassello di una carriera da fenomeno conclamato e invece, pur avendo soggiornato tra i primi 10 in un paio di occasioni (ora è numero 20), al ragazzo di Bezièrs è sempre mancato il quid mentale per la definitiva esplosione. E’ vero che nel 2009, quando debuttò nella top ten, la squalifica per il famoso bacio alla cocaina lo tenne lontano qualche mese dai campi, raffreddandone voglia e ambizioni: trovato positivo, convinse l’Atp che l assunzione era stata indiretta e causata dalle effusioni con una ragazza in discoteca. E così adesso, a 29 anni, tornato a farsi allenare in patria dopo la fruttuosa esperienza con Piatti, si ritrova quarto incomodo in un consesso regale: «Ovviamente ho più esperienza rispetto a otto anni fa, so cosa significa giocare una semifinale nel torneo più bello del mondo: però non c’è dubbio che di tutti quelli rimasti io sia il peggiore».

Lo dice sorridendo, perché di sicuro ha il vantaggio di aspettare domani senza pressioni, anche se 1’11-1 a sfavore contro il prossimo rivale Djokovic assomiglia a una sentenza: «Lui è il favorito, a Parigi in pratica non mi ha fatto toccare palla, ma adesso io credo di poter vincere un match contro di lui (…)

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Federer, Djokovic e i rivali ridotti a sparring partner (Gianni Clerici, La Repubblica)

IL PIU’ massiccio sciopero della Metro degli ultimi dieci anni, e una pur lieve diagnosi di una dottoressa gerontofila, mi hanno trattenuto in casa, davanti al televisore, così come fanno abitualmente la maggior parte dei miei colleghi stranieri a Wimbledon. Ciò è dovuto al fatto che l’informazione è prevalsa sulla scrittura, me non è certo questa la sede per approfondire una ferita più grave della mia febbriciattola. Della BBC ho ammirato le immagini di una regia di gente che conosce il tennis, e non sembra frustrata di non essere divenuta simile a Fellini. Ho ammirato un po’ meno i commentatori britannici, pur rafforzati da un McEnroe arrochito, i quali sembrano ignorare quanto conosce un liceale italiano e si limitano al solito ad informazioni statistiche, e ad affermazioni quali «bel punto», «ben giocata», «buon lavoro». Per non accennare alla supervisora, la ex tennista Sue Barker, che passa la giornata a sorridere di fronte ad ogni vicenda, forse per nascondere le rughe.

Al di là di ciò non posso celare la mia ammirazione per un giovane sconfitto, il due metri canadese Pospisil, che già avevo ammirato contro Fognini, battuto in 4 set. Fognini era stato criticato per la sconfitta, ma a torto. Pospisil possiede tale battuta, e simile tennis d’attacco, che il Cocco e già vincitore di Wimbledon, Andy Murray, ha faticato i suoi tre set, oltre ai tre break che gli hanno concesso di affacciarsi al prossimo match contro un Roger Federer non solo ringiovanito, all’apparenza. Federer è parso infatti svolgere una sorta di allenamento agonistico contro uno dei due francesi giunti ai quarti ( prima volta per due galli dal 1991), Gilles Simon. Simon ha ottime qualità, senza essere nato genio. E intelligente, ha spesso un diritto punitivo, un rovescio regolare. Ma il Federer di oggi era talmente creativo da trasformare Simon in un ottimo sparring partner: sino a costringerlo ad affermare, alla fine «per togliergli una volta la battuta ho dovuto giocare al 101%». Esibirsi, come fa il fenomeno, a tutto campo, con rovesci che appaiono spesso mezze volate dal fondo, con improvvisi mutamenti di rotazioni, dal lift ormai imperante al vecchio slice, attaccare non solo con la battuta ma, appena possibile, anche sui rimbalzi, non usa più. Tanto che comincio a domandarmi se una piccola percentuale di possibilità finale non si possa negare a questa presunto più grande di ogni tempo, figura mitica, e quindi non attribuibile a qualcuno ben vivo, vivissimo.

Nonostante quel che l’ammirazione mi spinge a scrivere, continuo a ritenere Djokovic il favorito del torneo. Aveva contro, qualcosa di più di un solito avversario. Nonostante i loro buoni rapporti umani, Nole è serbo, mentre Cilic croato, e tra le due etnie non mi permetterei mai di usare un eufemismo quale rivalità. Dopo la nettissima e più che sorprendente vittoria allo US Open, Cilic non si è più ripetuto, anche in seguito a un infortunio. Ed è caduto, dall’attuale N. 9 ATP, addirittura al N. 41 della cosiddetta Race, la classifica che tiene conto dei risultati annuali del 2015. Dopo la paura del turno precedente, i due set di ritardo contro Anderson,

Djoko ha ritrovato una concentrazione scalfita, e, mi pare, è ritornato il favorito, non solo dei bookmakers. n match più lungo e imprevedibile dei quarti di finale si è giocato tra un Wawrinka non certo simile al vincitore del R.G. e un Gasquet che pareva resuscitato, dal bambino poi fallito che mi aveva spinto a chiedere, 13 anni addietro, al mio vicedirettore Garimberti, lo spazio per un pezzo entusiasta (…)

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Ancora Federer e Murray tre anni dopo l’indimenticabile estate (Stefano Semeraro, La Stampa)

Era l’estate inglese del 2012: lunghissima, anomala, dorata. L’estate di Andy e Roger, l’estate delle due finali a Wimbledon. Quella dei Championships, l’ultima per ora firmata da Federer, strappata a Murray con il piccolo aiuto dell’amica pioggia (che costrinse a srotolare il tetto sul Centre Court). E quella delle Olimpiadi, astrusa e variopinta, quando per una volta l’All England Club derogò dal bianco e Murray finì avvolto nell’Union Jack sul gradino più alto del podio, non più scozzese abrasivo ma fidanzato di tutti, un Nelson della racchetta. «Fu veramente una grande estate per tutti e due, a quel match delle Olimpiadi però preferisco non pensare – scherza Federer a denti stretti -. Perché non ebbi una sola chance. Andy letteralmente mi dominò». Era l’estate in cui Murray imparò a vincere – gli Us Open a settembre, Wimbledon l’anno dopo – e Federer si dimenticò come farlo. Davvero l’inizio di una nuova stagione.

Battuto facilmente Simon Da allora Roger non ha più alzato una coppa che conta e se vuole sperare di riuscirci ancora qui a Wimbledon, battendo la maledizione dei 17 Slam e diventando l’unico nella storia capace di vincere 8 volte i Championships, domani in semifinale dovrà transitare di nuovo sul corpo allenatissimo asciugato dallo yoga, nutrito dal sushi – di Andy Murray. Federer è alla 10 semifinale a Church Road (la 37ª in totale negli Slam), solo Connors con 11 ha fatto meglio di lui. In un’oretta e mezza nei quarti si è liberato dell’imbucato francese Gilles Simon, dimostrando che sa ancora benissimo come curare un giardino: servizio, volée, tutto il resto. Simon gli ha strappato una sola volta la battuta. Non accadeva da 116 turni e certe strisce (questa durava da Halle, dove sull’erba tedesca Roger ha vinto per l’ottava volta) fanno impressione soprattutto quando finiscono. Sul vegetale il Genio resta il più forte in circolazione, 15 titoli, 140-19 nel conto tra partite vinte e perse, lo dicono le statistiche, lo sanno tutti. Però ha quasi 34 anni, un paio di decimi in meno nello scatto e qualche brutto ricordo accumulato da quella magica estate in poi. Sa che Murray, sul prato incantato del Centre Court che lui frequenta ormai da tre decenni, può batterlo. «Il servizio conta – spiega aggrottando i sopracciglioni -. Ma solo se poi sai giocare bene da fondo. Andy è veloce, copre benissimo il campo, sa leggere alla perfezione il gioco e ha una delle migliori risposte in circolazione. In più, è grande forma».

Lo ha dimostrato anche ieri, nei tre set impiegati per licenziare il canadesino Vasek Pospisil sotto gli occhi dei reali veri (William e Kate) e del sovrano emerito dello sport britannico (David Beckham). Dopo il biennio magico 2012-13, un paio di stagioni così così l’operazione alla schiena e un calo di motivazioni anche comprensibile lo avevano spostato leggermente fuori dall’inquadratura. Il matrimonio con Kim Sears dello scorso aprile, i suggerimenti di Amelie Mauresmo, il coach con il pancione, lo hanno rasserenato, maturato, rimesso in sesto. La schiena non fa più male (…)

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E’ Gasquet a meritarsi un posto nella piccola storia del tennis (Claudio Giua, repubblica.it)

Sai che noia se i risultati sportivi fossero le somme algebriche di tecnica, potenza, passione, forma fisica, intelligenza e quant’altro. Si potrebbero prevedere con un foglio Excel o, ai tempi che furono, con i calcoli di un gruppo di buoni matematici. L’atleta o la squadra più forte dominerebbero incontrastati nell’arco della loro attività agonistica. L’Ungheria di Ferenc Puskas si sarebbe presa la coppa Rimet dal 1954 in poi , Jim Clark avrebbe conquistato i campionati di Formula 1 dal 1962 al 1967. Carl Lewis sarebbe ancora oggi primatista mondiale nei 100 metri.

Poi c’è il tennis, che con il golf è il più algebrico degli sport. Cosa avremmo pensato se, dei 128 sulla linea di partenza in Church Road dieci giorni fa, sul rettilineo finale si fossero presentati i primi quattro del ranking ATP, nell’ordine Novak Djokovic, Roger Federer, Andy Murray e Stan Wawrinka? E’ andata diversamente: un francese con un grande avvenire alle spalle, Richard Gasquet, ha eliminato oggi lo svizzero recente vincitore del Roland Garros e dunque venerdì affronterà in semifinale il serbo numero 1 al mondo. Non c’è algebra che tenga nemmeno nel tennis, per fortuna.

Delle vittorie in tre set di Andy Murray sul canadese Vasek Pospisil (6-4 7-5 6-4), di Roger Federer sul francese Gilles Simon (6-3 7-5 6-2) e di Novak Djokovic sul croato Marin Cilic (6-4 6-4 6-4) si possono solo sottolineare le sproporzioni tecnico-agonistiche tra i protagonisti e l’ininfluenza sui match degli scrosci di pioggia con relative sospensioni (alla fine i signori dell’AELTC si sono decisi a chiudere il tetto della Centre Court).

Avvincente perché combattuto, invece, l’ultimo quarto di finale, il gran confronto di memorabili rovesci a una mano sul Campo 1 tra Wawrinka, classe 1985, e Gasquet, 1986. Il francese, che è 20 al mondo, ha vinto poco in carriera rispetto alle aspettative che aveva creato quand’era junior e se la batteva Rafa Nadal per il primato globale: dodici ATP 250 (gli ultimi a Montpellier e a Cascais quest’anno), nessun 500, nessun 1000. Negli Slam ha raggiunto la semifinale a Wimbledon nel 2007 e a Flushing Meadows due anni fa. A Wimbledon sta inanellando successi non scontati, avendo già mandato a casa Saville, De Schepper, Dimitrov e Kyrgios.

Lo svizzero è in forma smagliante dopo la vittoria di tre settimane fa nello Slam sulla terra rossa, che ha bissato quella clamorosa dell’anno scorso a Melbourne. Fino a oggi, i bookmaker lo davano un gradino sotto Nole e Andy ma meglio piazzato di Roger nella corsa alla coppa di Wimbledon. Ha anche risolto i suoi problemi sentimentali, lasciando definitivamente la moglie d’origine turca e accasandosi, pare, con la diciannovenne croata Donna Vekic, tennista di buone prospettive che il Daily Mail ha fotografato esultante sugli spalti durante il match del terzo turno con Fernando Verdasco.

La partita è tesa e incerta. Stan sembra meno risolutorio del solito al servizio. Di tanto in tanto, appare anche nervoso. Richard ha dunque l’opportunità di giocare di fino, usando tutte le proprie armi migliori: il letale top-spin di rovescio, consistente, veloce e preciso; la varietà di colpi che esegue indifferentemente da ogni punto del campo; il drop-shot che spesso risulta decisivo. Tatticamente, gioca una partita perfetta, perché punta a sfruttare gli errori dell’avversario e a contenere gli effetti negativi della propria inferiorità al servizio, nonostante i 6 ace messi a segno (contro i 22 quelli di Wawrinka).

Quattro set vanno via in relativa rapidità, 6-4 4-6 3-6 6-4, tutti decisi da un servizio strappato dall’uno o dall’altro. Il quinto set, come spesso accade, riassume in sè l’intero match. Gasquet ha più occasioni di prendere il largo (compreso un break a favore immediatamente – si dice – controbreakkato) e, tuttavia, l’energia che Wawrinka riesce a esprimere quand’è in difficoltà riporta sempre in parità i conti. Si va avanti così fino al 10-9 quando il francese, alla risposta, conquista il definitivo break che gli consente di raggiungere la terza semifinale in carriera. Finisce alle 19.57. Un’ora decente anche per il pubblico della Court No. 1, che deve trovare il modo di tornare a casa nonostante lo sciopero della Tube. Auguri.

Venerdì il tasso di qualità sarà elevatissimo nei due scontri per l’accesso alla finale. Djokovic contro Gasquet e Murray contro Federer. Tutti e quattro hanno ottime ragioni per esprimere il meglio. Il serbo per riprendersi dalla delusione parigina e ribadire il proprio primato. Il francese per raggiungere un obiettivo che anni fa molti pronosticavano alla sua portata. Lo scozzese per tornare a trionfare davanti al pubblico che lo considera tra i più grandi eroi sportivi della storia del Regno Unito. Lo svizzero per consacrare nel tempio del tennis la più esaltante carriera del dopoguerra.

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