"Red Rocket" Rod Laver: storia di un Grande Slam e di un tennista da leggenda - Pagina 3 di 3

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“Red Rocket” Rod Laver: storia di un Grande Slam e di un tennista da leggenda

Ripercorriamo la storia dell’unico Grande Slam maschile dell’Era Open e dell’uomo che lo ha realizzato: “Red Rocket” Rod Laver

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Arriviamo così al 1969, “l’Anno degli Anni” per il razzo di Rockhampton.

Rod va per i trentuno, è in quell’attimo di equilibrio fra la piena maturità e l’inizio del declino, il suo gioco è al massimo ma il fisico comincia a scricchiolare quando si presenta ai nastri di partenza della prima tappa dell’impresa, i Championships australiani sull’erba di Brisbane dove tutto era cominciato vent’anni prima. Un torneo dello slam è come un campo minato, ogni passo può essere l’ultimo e i campi di gioco “erano buoni per pascolare le vacche” secondo il suo ricordo. In aggiunta il torneo si svolge in giorni che i locali chiamano centuries days riferendosi alla temperatura che non scende mai sotto i 100° Fahrheneit.

Nel peggiore di questi giorni Laver affronta in semifinale Tony Roche, il macellaio di Tarcutta, mancino come lui, grande attaccante come lui ma più grosso e potente. In quell’avventurato 1969 Roche sconfiggerà più volte Laver perdendo però in Australia e a New York. Quando si dice la classe… Si gioca sabato 25 gennaio con oltre quaranta gradi di temperatura e relativa umidità. Ci vorranno quattro ore e mezza, novanta games e quintali di ghiaccio per decretare il vincitore e sarà una singola pallina, un misero punto a separare il dolore dalla gioia.

Laver vince i primi due 7-5 22-20 ma Tony risorge e pareggia 11-9 6-1, si va al quinto e Rod, che ha lottato come un pazzo per tenere l’ultimo game del quarto set, ha conquistato il lieve vantaggio di servire per primo nel quinto. Sul quattro tre Laver Roche batte , va sotto 15-30 e nel punto successivo serve una prima potente in pancia alla quale Rod può solo replicare con un taglio di rovescio che galleggia mollemente nella calura australiana. Roche valuta il colpo out e lascia, dimenticando una delle regole d’oro che recita “nell’incertezza colpisci”, ma il giudice di linea mostra i palmi paralleli al terreno. Roche si infuria e protesta “Credi che sia rimasto in questo forno per quattro ore per farmi prendere per il c… da te?” sbraita in faccia all’arbitro senza nulla ottenere. Il punto successivo, un passante di rovescio di polso sul quale Tony sbaglia la volée, sancisce il break e chiude il match e il torneo perché in finale Rod si mangia il terricolo spagnolo Andrés Gimeno in tre rapidi set. E uno.

E ora la volta del Roland Garros e della primavera di Parigi. Il torneo francese è la pietra angolare dello Slam perché il gioco sul mattone sbriciolato è quasi un altro sport per chi si è formato sull’erba o sul cemento. Ma è proprio qui che Rod mostra più che altrove la tempra del campione, l’umiltà di esplorare altri schemi mentali, la disponibilità ad adattare il proprio stile alla sabbia parigina.

“Sulla terra bisogna avere pazienza e preparare al meglio la via per scendere a rete. Ma comunque è sempre una sfida e ne esci come dopo una battaglia, con gli abiti e il corpo macchiati di rosso. Non sai mai quando finisci e a volte è meglio portarsi il pranzo in campo” rifletteva Rod.

Anche stavolta la trappola si nasconde nei turni preliminari, precisamente al secondo, nei panni di un gigante australiano baffuto di due metri per novanta chili di nome Dick Crealy, buon doppista ma nulla più. Quel giorno Rod soffre le pene dell’inferno perché i suoi colpi in top-spin rimbalzano giusto all’altezza del fianco di Crealy, il quale per due set si trasforma in Babe Ruth e fa i buchi per terra sia col dritto che col rovescio. Due set sotto e i piedi sul precipizio spingono il razzo rosso a cavare fuori il meglio da sé e dal suo immenso bagaglio tecnico. Laver comincia ad usare i tagli inversi, disegna traiettorie corte e incrociate, fa muovere l’avversario e d’incanto il bombardamento cessa. Il terzo set è suo ma la pioggia rimanda l’esito alla mattina seguente.

Una volta Pancho Gonzalez ha raccontato a Rod una storia riguardo alla gestione della tensione la sera prima di un match importante. E’ il 25 agosto 1949, vigilia della finale di Davis fra Stati Uniti ed Australia a Forest Hills. Il giorno dopo Pancho e il compagno Ted Schroeder avrebbero incontrato rispettivamente Sedgman e Sidwell. Pancho e Ted sono terribilmente nervosi e dopo cena si siedono al tavolo da gioco col capitano Alrick Man per qualche mano di Bridge. Verso mezzanotte Man guarda l’orologio e invita i ragazzi ad andare a letto. Gonzalez lo blocca dicendogli di godersi la partita. Solo molte ore dopo la compagnia si scioglie. “Non ha senso andare a letto presto e rigirarsi fra le lenzuola pensando ossessivamente all’incontro. Alle tre di notte eravamo stanchi abbastanza per dormire subito e le ore di sonno furono poche ma buone” Il giorno dopo entrambi vinsero i loro due singolari.

L’amico Roy Emerson lo sveglia alle sette e lo porta sul campo a scaldarsi per bene. Alla ripresa Rod vince facile il quarto per 6-2 e vola tre uno nel quinto. Sembra finita ma Dick tira fuori di nuovo la mazza da baseball, brekka, pareggia e serve sul quattro pari. Il punto che piega la sua volontà e decide l’incontro giunge sul 40-30 quando dopo una bomba di servizio il gigante si precipita a rete e colpisce con inutile violenza la molle risposta di Rod spedendo la palla fuori di un metro. Laver azzanna il momento e chiude il match per sei quattro al quinto.

In finale lo scontro è con Ken “Murodirose” Rosewall “che spesso mi aveva provocato un’ulcera col suo rovescio tagliato”. Laver però sceglie il momento giusto per disputare l’incontro migliore della sua vita sul rosso e vince per 6-4 6-3 6-4. E due.

E’ la volta di Wimbledon e della sacra erba del Centrale. Rod ha vinto il titolo l’anno prima è il campione in carica e il logico favorito del torneo ma il gentleman indiano Premjit Lall lo domina nei primi due set del loro incontro di secondo turno. Rocket si sveglia sul tre pari del terzo e vince i successivi quindici games di fila per il definitivo 3-6 4-6 6-3 6-0 6-0 che lo porta avanti. Negli ottavi è un giovane Stan Smith che col suo coraggio da marine lo coinvolge in una lotta a coltello che si concluderà solo per sei tre al quinto. Ricorda Rod “Vinsi i primi due set e pensai di chiudere in tre ma Stan non volle abbandonarmi…”.

La semifinale è contro Arthur Ashe che l’anno prima aveva vinto, primo tennista di colore della storia, lo slam americano a Forest Hills. Rod non gioca male ma Ashe è in stato di grazia e sorvola il primo set con un netto 6-2, si distrae nel secondo cedendo col medesimo punteggio e il terzo è una battaglia che si decide sull’8-7 Laver, 15-40 e servizio Ashe. Arthur attacca, spinge Rod sulle tribune e piazza una stop volley nel campo aperto. Laver ricorda Hollis che lo incitava a rincorrere sempre ogni singola palla e scatta. “Nessuno pensava che avrei potuto prenderla, nemmeno io, ma non ho pensato a cosa fare, solo a raggiungerla a costo di schiantarmi contro la rete”. Un attimo prima del secondo rimbalzo Rod scava un lob che oltrepassa Ashe e lo costringe all’errore: 9-7. Il morale dell’americano è sotto i tacchi e uno spietato 6-0 porta Rocket in finale contro il leone John Newcombe, di sei anni più giovane e allora privo dei celebri baffi a manubrio.

Il match è equilibrato, Rod vince il primo set, perde il secondo e va sotto 1-4 nel terzo. Sul 4-2 in suo favore Newc serve per indirizzare definitivamente il set e forse la finale ma…un colpo del genio di Rockhampton lascia incredulo il Centre Court e piega definitivamente la sua volontà di vittoria. Sullo 0-15 John serve una prima angolata, scende a rete e piazza la volée di dritto sulla riga opposta, all’altezza del rettangolo di servizio sul rovescio di Laver. Rod sprinta e intanto pensa. Tutti sanno che in quella posizione il suo colpo favorito è il lungolinea e allora lui colpisce uno slice in cross che spiazza completamente Newcombe e muore dolcemente sulla riga interna del corridoio opposto. “Non dimenticherò mai l’angolo di quella palla, e lo stesso sarà per John, credo” , è il ricordo del vincitore. Il match termina qui, Newcombe è frastornato, perde il servizio con un doppio fallo e cede sei games di fila per il 6-4 5-7 6-4 6-4 che porta Rod ad un solo piccolo passo dal capolavoro.

E’ la volta dello US Open, di Forest Hills e della piovosa fine estate sulla costa Est degli Stati Uniti. Laver vede il traguardo ma è esausto, il gomito sinistro non è mai completamente guarito dopo un infortunio nell’anno precedente e lui cerca conforto nel ghiaccio e nelle infiltrazioni di Novocaina per tirare avanti. Nessun problema nei primi turni ma dagli ottavi in poi la vita si fa dura. Il fighter statunitense Dennis Ralston va avanti due set a uno prima di cedere al quinto, Emmo Emerson cede in quattro ma il punteggio (4-6 8-6 13-11 6-4) testimonia l’asprezza della battaglia fra i due campioni down-under. In semifinale gli tocca ancora Ashe ma stavolta sono sufficienti tre set, sebbene combattuti, per arrivare stanco ma felice alla ribalta finale.

Oltre il net si staglia, come sei mesi prima a Brisbane, la figura forte e spigolosa dell’uomo di Tarcutta, ancora lui, Tony Roche. Se è vero che la vita è un cerchio e tutto finisce dove era cominciato non poteva esserci epilogo più appropriato. Tony ha estromesso in semi per 8-6 al quinto il compagno di doppio Newcombe, non ha mai dimenticato la chiamata avversa della finale in Australia e medita vendetta, tremenda vendetta.

E’ lunedì nove settembre 1969, piove e i finalisti attendono il via libera negli spogliatoi. Quando giunge il momento di iniziare il campo di gioco è una spugna imbevuta d’acqua, l’erba simile a brillantina scivolosa. Il primo set rispetta le attese e va per le lunghe, entrambi i contendenti non mollano un centimetro ma si muovono come sulle uova per evitare di cadere rovinosamente. Verso la fine del set Rod ottiene il permesso di calzare le scarpette chiodate, cosa che Tony non fa temendo un attacco di crampi ai suoi potenti muscoli. Laver si muove subito meglio ma il minimo tempo di adattamento alle nuove calzature gli costa il primo set che si chiude sul 9-7 per Roche. Tony ha subito l’occasione di indirizzare anche il secondo parziale quando Laver serve e si trova sotto 30-40; una solida prima slice esterna lo salva, Tony affossa il dritto in rete e Rod racconta di aver avvertito netta la sensazione che da lì in poi tutto sarebbe andato liscio. E così sarà perché il razzo rosso si muove veloce e sicuro sul giardino umido del centrale di Forest Hills mentre Roche fatica anche solo a stere in piedi. Rod conquista diciotto game su venticinque e chiude in quattro set col punteggio di 7-9 6-1 6-2 6-2.

In quello stesso istante, dall’altra parte del mondo lungo il Tropico del Capricorno, un anziano e orgoglioso maestro di tennis spegne la radio, esce di casa e corre all’ufficio postale per dettare un telegramma. Gli occhi colmi di lacrime di gioia.

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