"Red Rocket" Rod Laver: storia di un Grande Slam e di un tennista da leggenda - Pagina 2 di 3

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“Red Rocket” Rod Laver: storia di un Grande Slam e di un tennista da leggenda

Ripercorriamo la storia dell’unico Grande Slam maschile dell’Era Open e dell’uomo che lo ha realizzato: “Red Rocket” Rod Laver

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Rodney  George “Rod” Laver era nato, terzo di quattro fratelli, il nove agosto.

I Laver sono una tipica famiglia di sportivi dell’Outback australiano e si costruiscono con le proprie mani un campo spianando al meglio un tratto di terreno presso la casa, dove poi passano ogni momento libero colpendo una palla da tennis. Il padre Roy nutre speranze per i due fratelli maggiori ma è il piccolo e segaligno Rod di nove anni ad attirare l’attenzione del maestro locale Charlie Hollis, il quale una sera lo scopre che spia gli allenamenti dei fratelli e lo invita ad entrare in campo. Rod palleggia qualche minuto in pigiama e a piedi scalzi dopodiché Hollis prende da parte il padre Roy per una chiacchierata.

Il giovanotto è mancino e ha l’occhio di un falco, colpirebbe una pallina anche dentro una miniera di carbone. Inoltre è calmo e freddo come la madre e se riuscirò ad inculcargli il killer instinct sarà un campione.”

E’ l’inizio del cammino e Hollis si dedica alla costruzione del tennista perfetto. Rod non diventerà un gigante, si vede già e non potrà impostare il suo tennis sullo strapotere fisico come Sedgman o Emerson quindi Hollis punta subito alla creazione di uno stile di gioco completo, senza punti deboli.

La mentalità, innanzitutto.

“Devi vincere ogni incontro per 6/0 6/0, non permettere mai all’avversario di avvicinarsi, stendilo nel più breve tempo possibile perché nel tennis non si sa mai”. Non darsi mai per vinto insomma, rincorrere la pallina anche arrampicandosi sulla rete perché ogni singolo punto può fare la differenza. Anni dopo Rod perderà una finale del circuito pro contro Ken Rosewall sciupando due match point sul 5-4, 40/15 e servizio nel terzo set. Charlie intendeva proprio questo.

Poi i colpi. 

Hollis conosce bene l’estrema importanza di un polso forte e ordina al giovanotto di portarsi appresso ovunque una vecchia pallina da tennis da schiacciare continuamente. Nel 1968 il giornalista americano Dave Anderson misurò per curiosità il polso di Rod scoprendo che aveva una circonferenza di 7 pollici (17,8 cm!), maggiore di quella dell’allora campione mondiale dei pesi massimi Floyd Patterson. Ecco svelato il segreto di quei fondamentali da fondo violenti e pesanti, sempre coperti e anticipati, con i quali Laver dominava lo scambio prima di chiudere invariabilmente a rete.

Infine le buone maniere, la storia e il rispetto delle tradizioni.

Laver ricorda che durante gli allenamenti più serrati, ma anche mentre si rilassavano pescando in barca Hollis non smetteva mai di indottrinarlo sui grandi campioni del passato e i loro colpi oppure su quale posata utilizzare per una determinata pietanza deridendolo bonariamente “Non vorrai essere lo zimbello di tutti la prima volta che andrai a Wimbledon, vero Rod?”.

Dall’artigianale campo fuori casa al team di Harry Hopman, che gli affibbierà da subito per antifrasi il nomignolo di “Rocket” così come aveva fatto con Rosewall ribattezzandolo “Muscle”, il passo è breve e lo sbarco a Wimbledon è dietro l’angolo. Il razzo rosso decolla, finale a Londra sia nel ’59 e ’60, trionfi nel ’61 e ’62, quando centra il primo Grande Slam da non professionista. Quell’anno, prima dell’inizio del decisivo torneo di Forest Hills, Rod è nervoso e il suono del telefono lo fa sobbalzare. All’altro capo del filo c’è Don Budge che gli propone una scampagnata insieme. Ecco come Laver descrive l’episodio nella sua biografia “The education of a tennis Player”, scritta con Bud Collins nel 1971:

“Considero Don un vero amico e gli sarò sempre grato per il modo in cui mi trattò nel 1962 quando stavo completando il mio primo Grande Slam. Un altro tipo di uomo sarebbe stato restio a condividere con me un titolo che era stato sua esclusiva proprietà per 24 anni. Non Don. Lui aveva già provato quella tensione e sapeva di cosa c’era bisogno. Mi aiutò portandomi fuori città sui monti Catskills, nessuna domanda, nessun telefono che squillava. Abbiamo anche giocato un paio di set rilassanti. Lui è stato grande!”

Dal 1963 al 1968 Laver sparisce dai radar del tennis per tuffarsi nel circo itinerante e remunerativo del circuito professionistico, battagliando con Rosewall e Hoad, Gonzalez, Segura, Gimeno e tutti gli altri ed imponendosi anche lì come il migliore. Dobbiamo ringraziare Andrew Tasiopulos, Robert Geist e Joe McCauley fra gli altri per aver raccolto, conservato e tramandato dati e notizie sugli incontri di quegli anni, altrimenti censurati dal perbenismo ipocrita di uno sport che ha insistito fino al 1968 nell’antistorica divisione fra professionisti e “dilettanti di professione” come li battezzò Gianni Clerici nel libro “500 anni di tennis”.

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