Federer è il Big Ben, Djokovic il London Eye. E Murray la Regina

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Federer è il Big Ben, Djokovic il London Eye. E Murray la Regina

Ultime riflessioni sulle Finals da poco concluse. Djokovic domina ma non è amato, Federer simbolo eterno. Nadal è la Tower of London, Murray la Regina Elisabetta

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da Londra, Carlo Carnevale

Da poco concluse le Finals, che per il quarto anno consecutivo hanno consacrato Novak Djokovic, e dunque concluso anche l’anno tennistico 2015. Si lascia Londra, ma l’ultimo sguardo va ai protagonisti del Masters. Ecco cosa sarebbero, se fossero attrazioni della City.

David Ferrer, the Tube – Ovviamente velocissimo, indiscutibile per la qualità dei suoi spostamenti. E puntuale, praticamente mai un passo falso o una sconfitta con qualcuno classificato peggio di lui. Ma il paragone con la metropolitana  dovuto a due caratteristiche purtroppo lampanti, e ormai irreparabili: David non uscirà mai dai binari della sua regolarità, si fermerà sempre in stazioni obbligate a causa della presenza dei soliti noti. E soprattutto, mind the gap: il divario con i top dell’Olimpo lo terrà sempre distante dalla banchina dei primi della classe.

Tomas Berdych, National Gallery – In particolare, un quadro di William Turner, nella stanza 37. The Fighting Temeraire, anno 1838: olio su tela, rappresenta un maestoso veliero, protagonista di infinite battaglie navali, che viene trainato da un ben più piccolo e veloce rimorchiatore verso il porto, per essere definitivamente smantellato. Tralasciando il significato allegorico dell’opera (per quanto stupendo, nel contrasto tra vecchio e nuovo) e la tecnica pittorica che fa risaltare i colori quasi come se le pennellate fossero tridimensionali, l’accostamento con Berdych è dovuto paradossalmente con la sua incompiutezza. Si tratta sicuramente di uno dei quadri più belli dell’intera pinacoteca londinese, eppure è nell’angolo di una sala come tante; alla Gallery, la gente va per vedere I Girasoli di Van Gogh. Figuriamoci se il confronto poi è con la Gioconda o la Cappella Sistina. Berdych è forse il tennista più completo e stilisticamente dotato di tutti, eppure lo stadio è sempre gremito per veder giocare qualcuno che non sia lui.

Stan Wawrinka, Tate Modern – L’arte moderna è sempre garanzia di liti, se introdotta in un discorso in comitiva. Non si è mai del tutto unanimi sul fatto che sia una branca sopraffina dell’animo artistico, o una cavolata pazzesca (semicit.). Le tele squarciate di Fontana, l’orinatoio di Duchamp, l’ossigeno d’artista di Piero Manzoni, sono tutti pezzi che lasciano perplessi, nel cercarne il significato o solo il motivo della loro realizzazione. Stan Wawrinka è così: un gruppo di appassionati non sarà mai del tutto schierato pro o contro lo svizzero, ci sarà sempre chi parlerà soltanto di Federer, o chi si spellerà le mani per applaudire il suo rovescio stellare. E così è stato anche a Londra: sonnacchioso e svogliato un giorno, implacabile con tutto l’arsenale di traccianti e stoccate quarantotto ore dopo. Il pubblico resta estasiato a guardare per ore, o assiste distratto pensando “sì, ma il bello dov’è?”.

Rafael Nadal, Tower of London – Fiero. Dal fascino insicuro di qualcosa che prima era inavvicinabile, e adesso lotta con il passare del tempo, con la tecnologia, con la novità. Il complesso della Torre di Londra appare così, all’uscita della metropolitana di Tower Hill, sul Tamigi: sullo sfondo il bellissimo Tower Bridge (che nel 2012, con i cinque cerchi olimpici che pendevano dalla sua campata, dava un colpo d’occhio davvero memorabile), e nel piccolo cortile dell’ingresso Sud la cioccolata calda più buona della capitale, del chiosco Apostrophe. Nadal combatte con un presente che lo vuole ai margini dei primi posti in classifica, soffre sconfitte inopinate e si riempie di interrogativi. Non è più quello che era, il bastione inattaccabile che nessuno osava assaltare. Eppure resta lì, ammirevole e splendido al tramonto, e come i Crown Jewels custoditi all’interno della Torre, lo spagnolo conserva dentro di sé il fuoco di chi ancora una volta vuole tornare al top.

Kei Nishikori, British Museum – Nello specifico, la Stele di Rosetta. Un autentico, fragilissimo gioiello, quasi impossibile da decifrare. Che però ha aperto di fatto una porta sul passato e contemporaneamente sul futuro, permettendo di ricostruire gli antichi testi e completare il puzzle dei geroglifici. Nishikori resta l’enigma del circuito ATP, sempre in bilico tra il suo fisico di cristallo e le sue performance straordinarie (con Nadal a Madrid 2014 l’esempio più lampante); e in prospettiva la possibilità di fare da apripista per il movimento tennistico dell’Asia, come Na Li sul versante femminile. Ancora da capire se Chang riuscirà a completare gli scavi per portare alla luce la completezza del talento e delle possibilità di Kei.

Andy Murray, la Regina Elisabetta II – Bistrattato, preso di mira, britannico solo quando vince, scozzese quando si lamenta o fa butte figure. Mal sopportato dai suoi stessi compatrioti, che però sono sempre lì a sgolarsi per sostenerlo quando gioca nei confini amici. Come per la Regina, che più di una volta nel suo sessantennale mandato è stata bersaglio di critiche da parte dell’opinione pubblica (famoso il suo detestarsi cordialmente con Margaret Thatcher, che causò frizioni non indifferenti anche in sede ufficiale), pur rimanendo sempre nei cuori dei cittadini britannici. E come Elisabetta, Murray ha la possibilità di condurre il proprio paese all’eccellenza, con la finale di Davis ormai alle porte.

Roger Federer, il Big Ben – Qualsiasi museo tra quelli già citati, qualsiasi strada dello shopping come Oxford Street o Regent Street, qualsiasi piazza glamour come Oxford Circus o Piccadilly. Un evento mondano al 32esimo piano di un grattacielo nel business center della City, un Chelsea-Arsenal allo Stanford Bridge il lunedì sera, il pranzo della domenica a Covent Garden. Niente ricondurrà a Londra, nell’immaginario collettivo, come la torre dell’orologio delle Houses of Parliament, il Big Ben. Nessun dettaglio sarà mai più caratteristico del campanile, appuntito e dorato, che si staglia alle spalle della Westminster Abbey e sfiora il ponte sul Tamigi. E nessuno sarà, chissà per quanto tempo, simbolo del tennis, che si intenda come gesti bianchi o come portamento in campo, come vittorie da record o sconfitte d’orgoglio, come Roger Federer: non ha vinto, non è più il numero uno nel ranking, non solleva un trofeo Slam da ormai tre anni. Ma rimane il primo nome con cui anche il più profano degli intervistati vi risponderà, se chiederete di Wimbledon, racchette e tennis in generale.

Novak Djokovic, London Eye – Sulla sponda opposta a quella su cui sorge il Big Ben, la ruota panoramica più alta d’Europa (fino al 2006 anche del mondo, prima della costruzione della Stella di Nanchang nel 2006), la Millenium Wheel. La sommità della ruota è il punto di osservazione più alto dell’intera città (sebbene qualcuno sostenga sia il 72esimo piano dello Shard, il palazzo a forma di scheggia), che domina incontrastato lo skyline di Londra. Imponente se vista dal basso, architettonicamente una vera rarità per l’implementazione dei led già all’interno delle strutture portanti. Tutte caratteristcihe che fanno dell’Eye un portento, che però viene continuamente insultato e biasimato dai londinesi: costa uno sproposito, rovina i Jubilee Gardens, per fare un giro completo ci vuole una vita e la coda di accesso è quotidianamente infinita. Per di più, la ruota è stata anche al centro di uno scandalo circa il costo di affitto del terreno su cui è edificata, che la banca proprietaria aveva chiesto fosse di 2.5 milioni di pounds. Novak Djokovic è sovrano assoluto del circuito, con numeri di cui si è detto qualsiasi cosa e in qualsiasi modo. Regna senza nessun timore di essere insidiato, e come la navicella più alta della ruota guarda chiunque dall’alto in basso. Allo stesso modo della struttura dell’Eye, Nole è perfetto per meccanica è muscolatura. Ma non basta per essere il numero uno nell’animo degli appassionati, che sempre trovano un motivo per contestarlo, dalla noia del suo stile di gioco, alla pochezza dei suoi trionfi al cospetto di quelli dei suoi colleghi. Dominare è un conto, farlo suscitando l’amore dei tifosi (o dei cittadini) è un altro. Chiedete al Big Ben.

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