Addio caro Bud, grande nel tennis e nell'amicizia (Clerici). Bolelli-Seppi, il tris è servito. Italia ai quarti (Crivelli). Doppio senza sofferenze: con Bolelli e Seppi l'Italia passa ai quarti (Giorni)

Rassegna stampa

Addio caro Bud, grande nel tennis e nell’amicizia (Clerici). Bolelli-Seppi, il tris è servito. Italia ai quarti (Crivelli). Doppio senza sofferenze: con Bolelli e Seppi l’Italia passa ai quarti (Giorni)

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Addio caro Bud, grande nel tennis e nell’amicizia (Gianni Clerici, La Repubblica)

E’ morto il mio amico Bud Collins, dopo una lunghissima malattia, durante la quale ha percorso il sentiero della notorietà, che in America tocca a chi è entrato nella ristretta cerchia della Hall of Fame di Newport. Nell’ultima foto, tragicamente postata su Facebook, Bud appare disteso sul letto della sua casa di Boston, e uno dei suoi nipotini lo guarda, dopo avergli offerto una palla e una racchetta, che il moribondo tiene tra le mani – non sono sacrilego – come una croce. Fu proprio la racchetta il simbolo che ci avvicinò, la prima volta che lo vidi di persona, dopo averlo letto da quando imparai l’inglese, sul Boston Globe. Ci incontrammo nel 1968, a Bournemouth, in occasione del primo torneo Open della storia. Oltre ai colleghi inglesi, c’erano soltanto un americano, una francese dell’Equipe, e io. Bud si sorprese che, da un paese quale l’Italia, fosse stato inviato un giornalista, o scribe, come diceva lui. Era stato in Europa al seguito di avvenimenti pugilistici o di basket, ma aveva un’idea superata dell’Italia, legata all’immigrazione negli Stati Uniti, alla mafia, al fascismo. Per la sua naturale, vivissima simpatia, lo invitai allora nella casa dove mi ero da poco sposato, sul lago di Como. La sua risposta fu tipica di chi non conosceva l’Italia: “Dovrei venire con la mia ragazza, una columnist del Boston Globe, Gambalunga. Non siamo sposati. Cosa penserà tua moglie?”. Rimase, con Gambalunga, una settimana, nella quale gli mostrai San Abbondio comasco e il Cenacolo e gli feci conoscere Gianni Brera e Mario Soldati. Un poco sconvolto da personaggi che paragonò a Hemingway e Faulkner, lo divenne ancor di più quando lo invitai a seguirmi, per un match di Coppa Davis, a Cagliari. Non sapeva dove fosse, non conosceva la Sardegna. Fu lì, che in una sera vivamente allietata dal vermentino, mi accadde di arrampicarmi sui pennoni che reggevano un telone propagandistico del Movimento Sociale Italiano, il neo fascismo di allora. Aiutato da Bud e da Sergio Tacchini, strappammo il telone, e il giorno seguente ci facemmo confezionare due paia di pantaloni, che Bud iniziò a indossare durante la sua notissima trasmissione Fragole con Panna, una cronaca televisiva molto creativa delle giornate di Wimbledon, che lo portò ad una notorietà mondiale. Non soltanto grazie alla reciproca amicizia, Bud modificò la sua iniziale visione dell’Italia, e prese a definire gli Internazionali romani il ‘Quinto Slam’. Giunse addirittura a simpatizzare con il pubblico, per me spesso scorretto, del Foro Italico, e fu capace di una definizione che indispettì più di un collega britannico: “Gli inglesi hanno forse inventato il tennis, ma gli italiani lo hanno umanizzato”. Il suo affetto per l’Italia e la stima per Nicola Pietrangeli, lo spinsero ad essere l’unico cronista americano presente alla nostra vittoria in Coppa Davis, a Santiago, nel 1976, e non cessò mai di indossare la cravatta che offrii ai giocatori azzurri, al tempo in cattivi rapporti con una Federazione indegna di loro. Il suo amore per l’Italia trovò addirittura modo di manifestarsi alla prima di un grande film di Olmi, l’Albero degli Zoccoli, che vedemmo al Festival di Locarno, alla fine del quale prese a gridare entusiasta, col suo vivo accento bostoniano: “Io sono italiano, io sono anche lombardo”. Ottimo tennista, capace di vincere, mi pare con la King, i campionati indoor Usa di doppio misto, Bud arrivò felicemente ai libri, e la sua Tennis Enyclopedia è il libro più letto del mondo del nostro sport preferito, insieme al mio 500 Anni. Né vanno dimenticate le due straordinarie biografie di Rod Laver e di Evonne Goolagong. E, infine, My Life with the Pros, che sostituì un libro che Bud mi propose più volte di scrivere insieme, visitando i campioni del passato, e che non realizzammo causa la mia pigrizia. Al nome di Bud Collins la Federazione Usa ha dedicato la sala stampa di Flushing Meadows, mentre io non posso far di più che dedicargli la stanza della mia casa avita, sul lago di Como, dove riteneva »di scrivere meglio». E stato un onore, caro Bud.

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Bolelli-Seppi, il tris è servito. Italia ai quarti (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Mentre Re Roger è alle prese con il ginocchio in riparazione (e si mostra alle partite dei Lakers) e Wawrinka si gode esibizioni a stelle e strisce profumate di dollari, a qualche migliaio di chilometri di distanza Chiudinelli e Laaksonen giocano un doppio improponibile che Seppi e Bolelli ingoiano in un sol boccone, portandoci ai quarti di Davis per la terza volta in quattro anni. Certo, nei playoff per non retrocedere, come al solito, Roger e Stan torneranno a immolarsi per la causa, ma non sarà più una faccenda che riguarda noi. Perché Barazzutti, guardando al tabellone e conoscendo il valore dei suoi, abbandona la proverbiale cautela: «La Coppa è un animale strano, che dipende da tanti fattori: questi ragazzi meriterebbero di migliorare la semifinale giocata due anni fa». Non è certo il 3-0 sulla Svizzera orfana dei big a dar fiato alle fanfare, anche se il nostro doppio, fresco di trionfo a Dubai, gioca un match solido, una partita tranquilla dopo i patemi della prima giornata, perché troppa è la differenza di talento e di capacità di interpretare la specialità, soprattutto nei confronti di un Laaksonen totalmente estraneo ad ogni schema. Piuttosto, le ambizioni sgorgano dall’unione del gruppo, dalla consapevolezza che il nucleo dei titolari può giocare bene su ogni superficie, dalla voglia che i nostri hanno di stare insieme anche nel circuito, come dimostrano appunto Andreas e Simone, diventati coppia da pochissimo (e mai avevano giocato insieme in Davis) eppure già in grado di convincere: «Vincere a Dubai ci ha dato fiducia – conferma Bolelli – e quelle partite sono servite per conoscerci meglio in doppio. Certo, quando tornerà Fabio giocherò di nuovo con lui, ma intanto sono contento della qualità che abbiamo messo in questa partita». C’è molto della mano e della volontà del ct nella scelta degli azzurri di fare coppia nei tornei, una vecchia battaglia che sicuramente ha pagato crediti altissimi, fino allo Slam in Australia dell’anno scorso di Fognini e Bolelli: «Non si tratta soltanto di costruire un doppio per la Davis – analizza Barazzutti – anche se sappiamo quanto conti quel punto: serve soprattutto per formare un team coeso e capace di uscire insieme dalle difficoltà». Tanto che, secondo il capitano, in condizioni particolari l’Italia può davvero arrivare lassù: «Sulla terra, in casa, siamo già tra le prime due o tre squadre al mondo. Poi dipende dal tabellone, dalla presenza tra gli avversari dei giocatori più forti, dalle condizioni di forma e di salute dei miei, ma questa Italia può garantirsi un cammino molto lungo, già da quest’anno». In estate, ci toccherà probabilmente l’Argentina (che è avanti in Polonia) e, se fosse, sarebbe ancora Pesaro ad ospitare il match, ma questa volta all’aperto con tribune da 6000 posti. Si sta sognando troppo? Barazzutti non si nasconde più: «Saremo molto competitivi anche se dovessimo affrontare Del Potro, la nostra forza è la solidità del gruppo e la possibilità di giocare alla pari quasi con tutti e su tutte le superfici. L’anno scorso ha vinto la Davis la Gran Bretagna che noi abbiamo sconfitto l’anno prima, non ci sono sfide facili ma io penso che anche gli altri debbano preoccuparsi quando vengono accoppiati all’Italia». A dicembre saranno quarant’anni dal trionfo cileno. E solo pensare che sia replicabile mette i brividi dall’emozione.

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Doppio senza sofferenze: con Bolelli e Seppi l’Italia passa ai quarti (Alberto Giorni, Il Giorno)

Missione compiuta. L’ultimo smash di Andreas Seppi fa saltare in piedi i tifosi dell’Adriatic Arena di Pesaro per festeggiare l’approdo dell’Italia ai quarti di finale di Coppa Davis: è la terza volta negli ultimi quattro anni, a testimonianza di una buona continuità ad alto livello. Dopo la maratona al cardiopalma offerta venerdì da Paolo Lorenzi, emozioni che solo la vecchia Insalatiera sa regalare, ieri è bastata un’ora e 45 minuti a Seppi e Bolelli per dominare 6-3, 6-1, 6-3 Henri Laaksonen e Marco Chiudinelli, quest’ultimo svuotato di energie all’indomani del primo singolare concluso con i crampi. La Svizzera si arrende 3-0 come ci si attendeva alla vigilia; era dal 1980 che non registrava una sconfitta contro l’Italia, e senza Federer e Wawrinka non poteva fare di più. Il piccolo gruppo di fans elvetici ha tifato fino all’ultimo punto, però il doppio non ha avuto storia. Bolelli e Seppi, freschi vincitori a Dubai, si sono confermati una coppia solida e anche in futuro l’altoatesino può costituire una valida alternativa in caso di assenza di Fognini, anche ieri a bordocampo a sostenere i compagni. Gli azzurri sono stati sempre padroni del gioco; hanno servito alla grande senza mai perdere la battuta, rispondendo in maniera aggressiva, mentre la fotografia dei nostri avversari è il doppio fallo con cui Chiudinelli ha consegnato il secondo set. Bello l’abbraccio finale a rete tra Andreas e Simone, in un tripudio di bandiere tricolori. E adesso si può cominciare a pensare ai quarti, in programma dal 15 al 17 luglio, dove ci toccherà la vincente della sfida tra Polonia e Argentina. Probabilmente i sudamericani, che hanno perso il doppio ma conducono 2-1; sono decisamente alla nostra portata e li affronteremmo in Italia. «E’ stato un gran doppio — ha dichiarato Bolelli — comandato fin dall’inizio. Loro hanno pagato un po’ anche la stanchezza accumulata nella prima giornata. Alla fine abbiamo rispettato il pronostico, anche se non è mai facile sul campo». Sulla stessa lunghezza d’onda Seppi: «Abbiamo commesso pochi errori ed è andato tutto bene. In questi ultimi anni abbiamo dimostrato di possedere grandi qualità e cercheremo di andare avanti il più possibile». Nei quarti ritroveremo anche Fognini, assente a causa dell’infortunio muscolare occorsogli al torneo di Rio de Janeiro, anche se i tempi di recupero sono incerti: «Non so quando tornerò, ho ancora dolore e mi sto sottoponendo alle cure, ci vuole pazienza. Sono felice per i miei compagni, si soffre a non poter giocare ma l’importante era vincere». E il capitano suona la carica: «Possiamo contare su un gruppo che si esprime bene su tutte le superfici, in casa sulla terra battuta siamo tra le squadre più forti del mondo; speriamo di continuare così».

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