Sharapova, sponsor in fuga: quasi 20 milioni persi in un giorno (Cocchi). L'impero Sharapova a un passo dal crollo (Piccardi). La specie protetta del tennis (Audisio). Sharapova scaricata tra guerra fredda e una cura troppo lunga (Lombardo)

Rassegna stampa

Sharapova, sponsor in fuga: quasi 20 milioni persi in un giorno (Cocchi). L’impero Sharapova a un passo dal crollo (Piccardi). La specie protetta del tennis (Audisio). Sharapova scaricata tra guerra fredda e una cura troppo lunga (Lombardo)

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Sharapova, sponsor in fuga: quasi 20 milioni persi in un giorno (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

Si sgretola sotto il peso del Meldonium l’impero di Maria Sharapova. Si sbriciola sotto il peso di quell’annuncio, «sono risultata positiva», dato al mondo via web nel mezzogiorno di Los Angeles. Vincente, una delle poche donne in grado di conquistare tutti i quattro titoli dello Slam, bella e irraggiungibile, ricca, ricchissima. Ma da quel lunedì che ha scosso il tennis mondiale molto è cambiato. Tre dei suoi principali sponsor l’hanno lasciata senza fare troppi complimenti, annunciando al mondo che no, forse non è più il caso di farsi rappresentare da un’icona mondiale velata dall’ombra del doping.

Masha è l’atleta femminile più pagata al mondo con i suoi 30 milioni di dollari annui tra premi e sponsorizzazioni, un impero economico che non potrà non risentire di questa brusca frenata. Tra giugno 2014 e giugno 2015, la russa ha guadagnato 6,7 milioni di dollari di soli premi, mentre circa 23 sono arrivati da Nike, Avon, Evian, Porsche e Tag Heuer. Tre di questi hanno scelto di sospendere o annullare i rapporti economici con l’atleta. E’ stata proprio la Nike a prendere le distanze per prima sospendendo il contratto. Subito dopo è arrivata anche la comunicazione degli orologiai di Tag Heuer che hanno fatto sapere di non voler proseguire nelle trattative per il rinnovo, e infine la la Porsche, che ha bloccato ogni evento promozionale con Masha.

Il testimonial è un modello, nel caso di Maria un esempio seguito sia dal punto di vista sportivo che del «glamour»: «In situazioni del genere è importante distinguere quali siano gli elementi che costituiscono la percezione di un testimonial e quali siano rilevanti per gli sponsor — spiega Marco Nazzari, Chief Revenue Officer Europe e MD di Repucom, società specializzata nell’analisi dello sport marketing —: se consideriamo solo la notorietà del personaggio, questa potrebbe incrementare per via della copertura media che segue lo scandalo doping… ». In questo caso però lo scandalo non ha avuto un effetto positivo: «Appena due settimane fa, secondo l’ultima indagine di Repucom, Sharapova era considerata una buona testimonial dall’83% degli intervistati nel mondo, credibile dal 75% ed era un modello cui aspirare per 1’85%.

Ora, si vedrà come varieranno alcune attribuzioni nei suoi confronti e come gli sponsor potranno tenerne conto». Aver ammesso la sua colpa potrebbe dare una mano a li: vello di immagine a Maria Sharapova in caso di ritorno: «Molto dipenderà da come sarà gestito il rientro — spiega ancora Nazzari —: Carolina Kostner ha trovato nuovi sponsor dopo la squalifica, forte di una campagna a suo favore, della comprensione dei fan e dell’estraneità all’assunzione di doping. Per Sharapova bisognerà vedere: non ha negato i suoi errori e questo potrebbe anche risultare un valore positivo per un futuro sponsor».

Maria potrà cercare consolazione nella sua linea di dolci che le frutta milioni di dollari a fronte di un investimento iniziale di appena 500 mila. E mentre la Danone che la sponsorizza tramite Evian sceglie di restare al suo fianco «seguendo l’indagine», Maria incassa anche la solidarietà della rivale numero 1 Serena Williams: «Sono davvero scioccata per il test fallito dalla Sharapova (…)

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L’impero Sharapova a un passo dal crollo (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Ultime tracce di vita sul pianeta Sharapova: lei, gambe nude e vestito bianco di pizzo, splendente in tutta la sua bionditudine al party di Vanity Fair nella notte degli Oscar. L’arma di seduzione di massa, il sorriso, scoccato dentro l’obiettivo dei fotografi. Bingo. Era ancora la divina Maria, una lontana parente della tennista dopata che rischia dai due ai quattro anni di squalifica. Positiva al meldonio il 26 gennaio a Melbourne, subito dopo il quarto dell’Australian Open perso con Serena Williams. A sei giorni dalla notifica della Federazione internazionale (Itf), il 2 marzo scorso, e all’indomani della pubblica gogna («Ho commesso un errore enorme, la colpa è solo mia»), Sharapovaland è già un ricordo.

Crollano gli indici d’ascolto, tace un dominio Twitter di solito logorroico, insorgono ex campionesse che perdono l’occasione di tacere («Se provato, dovrebbero spogliarla di tutti i titoli» sbotta Jennifer Capriati), se ne vanno gli sponsor. È una spoon river impietosa. «Rattristati e sorpresi, sospendiamo il rapporto con la signora Sharapova» dice gelido il comunicato della Nike, il marchio che la veste da quando era bambina e che nel 2010 le aveva promesso 70 milioni di dollari per un accordo di 8 anni, il più ricco mai firmato da un’atleta donna. Il contratto con l’orologiaio svizzero Tag Heuer era scaduto il 31 dicembre 2015: «Non lo rinnoveremo», fanno sapere da Ginevra. E scala la marcia anche Porsche, di cui Maria era ambasciatrice dal 2013: «Ogni attività pubblicitaria è interrotta».

L’immagine è infranta e il portafoglio piange. Ha ottime riserve: nel 2015, pur avendo vinto solo due titoli Wta mentre Serenona correva come un treno verso il Grande Slam che l’immensa Robertina Vinci le sfilerà dalle grinfie a New York, Maria si è messa in tasca 30 milioni di dollari in sponsorizzazioni, a testimonianza di una fortuna edificata prima sul look che sul talento, gli ingredienti base di un patrimonio personale stimato da Forbes intorno ai 200 milioni. La pillola amara avrà ripercussioni anche sul core business delle caramelle, quelle Sugarpova che inondano i tornei e gli aeroporti del mondo, l’investimento in nome del quale aveva chiesto all’Open Usa 2013 di poter scendere in campo come Maria Sugarpova. Bocciata. Ma ai 12 gusti di bon bon si era aggiunto anche il cioccolato, in vendita dal prossimo giugno sulla piazza-pilota di Parigi, in occasione di un Roland Garros di cui la due volte regina (2012 contro Saretta Errani e 2014) non sarà protagonista.

Non tira aria di buffetti su un playground, quello dello sport, già terremotato nell’atletica dallo scandalo doping della Russia, sospesa dalle competizioni ed esclusa dai Giochi di Rio. «Ci vorranno 3-4 anni per rimetterci a regime» ha ammesso il ministro dello Sport Vitaly Mutko. E il fatto che la fabbrica lettone Grindecks, l’unica che produce il Meldonio, dica che per il trattamento bastano 2-4 settimane, e non certo i dieci anni di assunzione dichiarati dalla russa, non depone a favore di uno sconto (…)

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La specie protetta del tennis (Emanuela Audisio, La Repubblica)

Il tennis non sbatte mai i suoi mostri in prima pagina. Li avverte prima delle malefatte, e dà loro tempo di rimediare (se ci riescono) all’immagine ammaccata. Maria Sharapova, 29 anni, riceve l’avviso della sua positività il 2 marzo e il 7, dopo consulto con gli avvocati, dà l’annuncio al mondo. Più da protagonista che da accusata. Il comunicato che rivela la sua assunzione di un farmaco vietato arriva mezz’ora dopo a firma Itf, mentre lei ha appena finito di lamentarsi della brutta moquette dell’albergo. Alle regine si concede un certo trattamento affinché la brutalità della vita non le colga impreparate. E forse anche alle portabandiere olimpiche ( Maria portò la sua a Londra ).

Anche se qualcuno sospetta che il tennis usi i guanti bianchi verso i suoi campioni che sbagliano. Già la svizzera Martina Hingis (5 Slam ), ex numero uno del mondo, annunciò nel 2007 a 27 anni di volersi ritirare perché a Wimbledon era risultata positiva alla cocaina. Non è vero che mi drogo, disse lei, ma non voglio sottopormi a nessuna analisi. Prese due anni di squalifica. Al croato Marin Cilic nel 2013, sempre l’ltf, diede un silent ban, un avviso segreto, perché positivo a uno stimolante. Cilic per 90 giorni scomparve con una scusa, male al ginocchio, poi gli arrivarono 9 mesi di squalifica. E l’anno dopo vinse l’Us Open. Giusto il diritto alla privacy, ma il silenzio è l’opposto della trasparenza. Di una certa apatia del tennis nel non voler disturbare troppo ha parlato di recente anche Roger Federer: “Resto sempre sorpreso quando esco dal campo e mi chiedo: ‘Dov’è l’antidoping? Se i test fossero prolungati, non dico per settimane o mesi, ma per anni, sarebbe meglio, perché solo così si intimoriscono le persone. Quest’anno sono stato sottoposto cinque volte a test, ma servono maggiori risorse. Bisognerebbe monitorare chi vince tutto’ ”. Molto più che un’allusione, anzi la rottura di un’illusione. E un invito a indagare su quei campioni così tanto specie protetta.

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Sharapova scaricata tra guerra fredda e una cura troppo lunga (Marco Lombardo, Il Giornale)

Almeno Maria Sharapova non ha addotto le scuse più frequenti sentite qua e là. Tipo la pomata accidentalmente spalmata da un partner focoso, la tazzina di caffè contaminata, le caramelle della mamma. Anche perché lei quelle le produce in proprio e adesso dovrà pure cercare di continuare a venderle. L’annuncio choc della sua positività al test antidoping durante gli Australian Open, con relativa assunzione totale di colpa per disattenzione, sembra però sempre di più un tentativo di cavarsela con poco. Perché i dubbi restano. Anzi, di più: aumentano. Il giorno dopo il caso Sharapova è insomma diventato una gara a scaricabarile, con sullo sfondo una lotta politica stile Guerra Fredda. Nel mirino ovviamente l’uso indiscriminato del Meldonium, alias Mildronate, il farmaco anti ischemia e anti infarto (e, dice la Wada, coprente dell’epo e «energizzante») diventato illegale dal 1 gennaio a loro insaputa. Degli atleti soprattutto russi, s’intende. «Ci aspettano degli sconvolgimenti: casi del genere ce ne saranno ancora, per il piacere dei nostri amici, ha detto sarcastico il ministro dello Sport di Mosca Vitaly Mutko, intendendo per «amici» gli americani che guidano una crociata per lo sport pulito che ai vecchi nemici sembra più una vendetta.

E in effetti da inizio anno gli atleti caduti nella rete della Wada e del Meldonium sono quasi tutti ex sovietici (ieri è stato il turno del pallavolista Alexander Markin e dei pattinatori Semion Elistratov e Pavel Kulizhnikov), ma ci si domanda perché tocchi solo a loro. E perché la Sharapova usasse quella medicina già da 10 anni, visto che l’azienda lettone che la produce si è tirata elegantemente fuori affermando che «la normale cura dura dalle 4 alle 6 settimane». In pratica: è il tutti contro tutti, cercando di negare responsabilità a vario livello. Di sicuro resta che l’avviso dell’agenzia antidoping russa fatto il 30 settembre ai medici dello sport del Paese è rimasto inascoltato. E sembra impossibile che Masha – ormai un’azienda più che una tennista – possa essere stata solamente sbadata: il suo medico davvero non sapeva? E soprattutto: lei neppure? Il futuro della Sharapova si gioca dunque su questo: una buona fede che sembra più improbabile. Già due sponsor – Nike e Tag Heuer – l’hanno mollata e quasi tutte le colleghe- a parte Serena Williams che l’ha definita «coraggiosa» – non l’hanno neppure degnata di un tweet (…)

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