Coppa Davis 2016, impressioni da Pesaro

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Coppa Davis 2016, impressioni da Pesaro

Pensieri e impressioni da Pesaro, dove questo fine settimana si è disputata la sfida di Coppa Davis tra Italia e Svizzera, seguita dai nostri inviati Francesca Marino, Alessandro Stella e Aris Alpi, che oggi vi raccontano la loro esperienza

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Pesaro è un lungomare freddo e un po’ deserto,  ma anche la riabilitazione di una competizione che ha perso un po’ di nobiltà soffre d’abbandono quando i migliori la disertano eppure  ha comunque il grande merito di riavvicinare la racchetta al concetto di popolare. Il chiasso del pubblico a volte stride col silenzio nel quale il tennis adora sguazzare, ma stride comunque meno dell’attenzione che alcuni media dedicano a uno sport che di solito si prodigano per snobbare.

Seduti a pochi metri dalla panchina azzurra la differenza è nel suono e in come il suono accompagna un gesto che finalmente appare fuori dall’ordinario, e non come l’azione quasi replicabile di un rallenty televisivo che a volte sembra suggerirti un colpo che miseramente fallirai nella sgambata del giovedì. Questo differenzia il tennis sul divano dal tennis su un seggiolino. Se poi il seggiolino è quello riservato ai giornalisti, che oltre ad ammirare hanno il compito di descrivere la loro ammirazione, allora la differenza inizia ad allargarsi. C’è da imparare la gestione dei tempi e degli spazi per dividersi con profitto tra il campo e la sala stampa, bisogna coprire l’abito di appassionato – per eliminare la riverenza tipica dello spettatore – e al contempo non smettere del tutto quei panni, per non perdere la curiosità necessaria a fare la domanda migliore. L’utilità di un concetto che sembra astratto come quello della “Press Area” di solito la cogli al secondo giorno, assieme alla stretta di mano di un giornalista che ritieni più bravo degli altri e al consiglio – indiretto – che qualche vecchio volpone della carta stampata ti consegna facendo la domanda giusta in un momento scomodo o una domanda scomoda al momento giusto. Il resto è seguire gli allenamenti, che vuol dire immaginare l’esito della prima partita del pomeriggio e poi capire effettivamente il rovescio di Bolelli, un po’ di chiacchiere a bordo campo, “questo terreno mi sembra piuttosto veloce”, Seppi che in conferenza beve da una bottiglia vuota per un minuto e un giovane tennista che non ti nega una breve intervista e ti lascia una piccola soddisfazione che puoi condividere, così il ricordo è anche più bello.

Insomma il tennis dal vivo è uno stadio di comprensione superiore a quello sullo schermo, ma il tennis da inviato ti permette di tagliare la pallina a spicchi per guardarci dentro e privarla di ogni segreto.

Alessandro Stella

Fin da piccoli tutti gli appassionati di tennis sognano di vedere i loro idoli scivolare sulla terra rossa in 3D e non più solo stampati sui poster, sperando di strappargli una pallina autografata o un polsino. Questa è la visione del tifoso, ma la visione dell’inviato dà un quid in più alla pura e semplice esperienza di spettatore.

Non so, cari lettori, se qualcuno di voi sia mai stato dietro le quinte di uno spettacolo teatrale, senza arrivare al Sistina di Roma o alla Fenice di Venezia: trucchi, parrucche, vestiti di ogni genere (dagli antichi romani ai giorni nostri), pezzi di scenografia, oggetti di scena dai più disparati, copioni sparsi ovunque. Ecco, seguire il tennis da inviato è un po’ come spulciare nell’atelier di una compagnia teatrale: comprendere la nobile arte di cogliere ogni singolo dettaglio da cui possa nascere anche una “semplice” notizia breve, imparare ad essere sempre nel posto giusto al momento più opportuno (questo è facile, basta trasformarsi in un maratoneta), incontrare per i corridoi un tennista e provare a strappargli qualche dichiarazione, conoscere un veterano della carta stampata pronto ad offrire il consiglio migliore per una notizia, la possibilità di trovarsi a tu per tu con i propri beniamini e poter chiedere loro qualsiasi domanda; a volte sono talmente tante che quando finalmente si trova il coraggio per esporne una, il collega seduto nella fila di dietro ha già provveduto ad anticiparla. Un aspetto fondamentale di questo backstage è sicuramente l’allenamento dei giocatori: osservare la pallina che schizza da destra a sinistra e trovarsi a bordo campo mentre i tennisti scherzano, ironizzano sui propri errori e su quelli dei loro compagni. Tutto ciò riesce quasi a cancellare l’immagine di quei supereroi stampati sui poster nella propria stanza e li ridimensiona a giovani talentuosi con le loro fragilità, i loro timori e i propositi per il loro futuro come qualsiasi ragazzo di quell’età.

Insomma, sedersi qualche seggiolino più in alto di quelli dello staff azzurro, provare l’ebrezza di passare dal frastuono presente sugli spalti al silenzio della sala stampa, consente ad ogni appassionato di questo sport di calare il sipario del palcoscenico su cui sono puntati tutti i riflettori e immergersi completamente nel retroscena dello spettacolo dalla pallina macchiata di rosso.

Francesca Marino

Si respira un clima decisamente più rilassato all’interno dell’Adriatic Arena non appena Simone Bolelli e Andreas Seppi strappano il pass di accesso al secondo turno del World Group, dopo aver trionfato nel doppio di sabato contro la Svizzera, orfana di Roger Federer e Stan Wawrinka. I volti degli organizzatori appaiono decisamente più rilassati: solo Binaghi, che fa un salto in tribuna stampa, non si scompone minimamente controllando tutto silenziosamente dall’alto. Lungo il tunnel della Direzione gara appare sir Nicola Pietrangeli in un’inedita versione “relax”, appoggiato contro una colonna mentre disquisisce con alcuni membri dello staff sull’importanza che, ai suoi tempi, nutriva una manifestazione come la “sua” Coppa Davis.
Immancabili anche i tifosi elvetici, affondati sulle poltroncine del parterre, dietro alla panchina del team d’oltralpe e che, già domenica mattina, prima dell’inizio degli ultimi singolari, il Capitano Severin Luthi non aveva mancato di ringraziare mimando un leggero inchino: del resto li hanno sostenuti, acclamati nonostante la debacle in parte preannunciata, e sostentata particolarmente anche dalle dozzine di birre recapitate sugli spalti dal “capo ultrà”, un simpatico soggetto coi baffi e cappellino copia spiccicata di Federer senior.
Un Capitano, Severin Luthi, già conosciuto da anni sopratutto per l’arcinota collaborazione sulla panchina di Roger Federer ma che, a riflettori spenti, e a sconfitta appena rimediata, appare, sorprendendo, come persona estremamente disponibile e positiva: insomma, tipo tutto da scoprire, questo Luthi; si sofferma su alcuni aspetti in conferenza stampa, parla coi giornalisti di casa, più che altro amici-tifosi che vogliono cercare di capire quale futuro verrà riservato al team d’oltralpe nei prossimi mesi.

C’è anche Pascal Maria, arbitro di punta di questo week-end tutto italiano, che si improvvisa giocoliere a bordo campo con alcune delle palle usate nell’incontro, davanti a un sorpreso Adrien Bossell, già alle prese con un timido warm-up mattutino.
Nel frattempo, col passare delle ore, prende il via il penultimo singolare e Marco Cecchinato ha modo finalmente di esordire con Bossel; nel frattempo, in tribuna stampa, nelle vesti di giornalista per caso appare anche Simone Bolelli, armato di cuffia e microfono assieme ad un indefinito network televisivo, particolarmente rilassato e disponibile a spasso fra gli spalti.
Seppi, rimasto in panchina a fianco di Barazzutti, è quello più in vena di scherzi e inscena una burla a distanza col compagno bolognese: “Vieni giù, che stai a fare là?!”
Gli striscioni sono quasi tutti per Paolo, “Paolino” Lorenzi, uscito gladiatore dalla sfida di venerdì che ha aggiunto nuova linfa vitale alla sua bella carriera: “Esempio di umiltà e abnegazione, Paolo Lorenzi vero Campione”, si legge sul lenzuolo penzolante firmato da alcuni tifosi marchigiani. Poco più tardi sarà proprio il trentaquattrenne romano a portare i saluti della squadra in conferenza stampa, l’ultima del week-end, dopo aver siglato il cappotto per l’Italia nell’ultimo singolare contro il debuttante Antoine Bellier, diciannovenne di Ginevra, in un match rivelatosi poco più che una formalità per l’italiano. Entra in sala stampa a fine match, in punta di piedi, le gote rosse accaldate dopo la doccia e un sorriso che ripaga di tutti gli sforzi maturati lungo tutti questi anni a zappare terra rossa negli insidiosi campi del circuito Challenger. Ora una piccola quanto meritata popolarità, ed una carriera riscoperta, non potrà farlo certo pentire di averli fatti.

Aris Alpi

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