Tornei scomparsi: Alan King Tennis Classic, Las Vegas. Re e imperatori nel palazzo di Cesare - Pagina 2 di 2

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Tornei scomparsi: Alan King Tennis Classic, Las Vegas. Re e imperatori nel palazzo di Cesare

La nostra rubrica sui tornei scomparsi fa tappa a Las Vegas. È Connors a calare il poker, ma tra tigri vere e dollari d’argento in carriola anche Barazzutti ebbe la sua opportunità

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Jimmy Connors pesca dal mazzo il primo asso del suo poker nel 1976. Jimbo è il n°1 del mondo ma l’anno precedente ha collezionato diverse delusioni nelle finali importanti: a Melbourne ha perso con Newcombe, a Wimbledon con Ashe, a Forest Hills con Orantes. Nel Nevada però non ha rivali. “Saranno i 2.200 piedi di altitudine” suggerisce Connors. “Qui utilizziamo palle più pesanti e, per quanto le colpisca forte, restano sempre in campo…”. Ray Moore, balzato alle cronache recenti per altri avvenimenti e sconfitto in semifinale con un doppio 6-2, ha pochi dubbi. “A giocatori del mio calibro Connors concede davvero poche chance. Devi riuscire a giocare profondo perché appena accorci lui ti mette pressione. È questo il motivo per cui lui riesce a battere regolarmente Borg”. Ancora per poco. Ma il segreto di Jimmy è un altro: “Sono cresciuto in Illinois, dove l’estate è molto calda e umida; al confronto l’aria del deserto non è poi così male”. Jimbo non perde un set in cinque partite e in finale travolge l’ultraquarantenne Rosewall.
L’anno dopo, pur lasciando per strada un paio di set, con la tradizionale carriola piena di dollari d’argento (50.000, nell’occasione) portata sul campo da inservienti abbigliati come i centurioni dell’antica Roma, Connors si conferma campione e sfonda il muro dei 2 milioni di dollari vinti in carriera. Il finalista è l’elegante messicano Raul Ramirez, capace di battere Jimbo in coppa Davis ma sulla terra di Città del Messico. Invece “oggi ha giocato troppo bene” ammette il baffo.

“Ho dormito solo due ore questa notte e mi sento la nausea. Mi dispiace ma non posso continuare”. Così, rivolto al giudice di sedia, Corrado Barazzutti alza bandiera bianca a metà del secondo set della finale tra maratoneti del 1978. Dall’altra parte della rete c’è il “sorcio maledetto” Harold Solomon, un tipo che non molla una pallina nemmeno per idea. Con la sua Garcia Pro 240, Harold fiacca la resistenza di Gottfried e Ramirez mentre nella parte alta Connors si fa sorprendere dal bombardiere Hank Pfister, a sua volta sconfitto da Barazzutti.

Vi ricordate di Ray Moore e di quello che disse in merito a Connors e Borg? Bene, scordatevelo. Appena tre anni più tardi lo svedese ha imparato così bene la lezione che, alla sua prima apparizione, vince il torneo soffrendo nei primi turni con Pfister e Alexander ma lasciando appena cinque giochi in finale a Jimbo; a bordo campo, mescolato tra i ball-boys, c’è un ragazzino di appena nove anni destinato a imparare in fretta: Andre Agassi.
Borg concede il bis l’anno dopo, in cui il torneo delle celebrità rischia di essere più avvincente di quello vero. Alan King vuole divertirsi e divertire e allora cosa di meglio del vedere all’opera Franco Harris, running-back dei Pittsburgh Steelers che si sono appena aggiudicati il Superbowl battendo i Rams a Pasadena davanti a più di 103.000 spettatori, che fa sparire dietro la sua importante mole racchetta e palline? Insieme a lui anche il più attempato Rosie Grier fa la sua figura ma non ci sono solo i bestioni, ci sono anche le belle: Linda Carter e Farrah Fawcett, in canottiera e gonnellino, fanno la gioia dei fotografi e non solo.

A parte Connors, dei migliori non manca nessuno e, se l’eroe della settimana è certamente l’ex-campione Solomon che, tra quarti e semifinale lascia sette giochi in tutto a McEnroe e Lendl, il momento clou non può che essere quando Vitas Gerulaitis, sotto il solleone del primo pomeriggio del sabato, ha tre palle per salire 5-0 nel primo set contro Borg. La sorella Ruta, tennista anch’essa, non fa in tempo a pensare che “stavolta è quella buona” (il fratello ha perso i tredici confronti precedenti) che Borg infila sei giochi e cambia volto alla partita. Vitas reagisce, incamera il secondo parziale (l’ottavo e ultimo della sua vita contro Borg) ma nel terzo si blocca sul più bello e deve arrendersi. Il giorno successivo Solomon, un altro che con lo scandinavo proprio non riuscirà mai a raccapezzarsi, rimedia un doppio 6-1 e Borg lascia il Caesars Palace con la solita carriola di dollari e una Volkswagen nuova fiammante.

Ci sono le tigri, con tanto di domatori, al party di fine torneo organizzato come al solito impeccabilmente dal patron Alan King ma, nel seeded player, mancano i gatti e allora largo al ballo dei topi. Siamo arrivati al 1981 e Borg ha una spalla malandata, Connors si è beccato l’influenza nell’umida Montecarlo in cui la pioggia ha interrotto sul 5-5 la sua finale con Vilas e McEnroe è stanco. Inevitabile che a giocarsi la finale siano le prime due teste di serie anche se stavolta Ivan Lendl non si fa sorprendere e lascia a Solomon sei giochi. I quasi quaranta gradi e il vento del deserto infastidiscono il cecoslovacco assai meno di quanto faccia il mancino statunitense Terry Moor, l’unico capace di strappargli un set (al secondo turno) e metterlo in apprensione. Così, mentre nella hall dell’hotel fa bella vista di sé la statua commemorativa del grandissimo Joe “Brown Bomber” Louis, morto in povertà per un attacco cardiaco appena otto giorni prima dell’inizio del torneo, Lendl aggiunge il suo nome al già prestigioso albo d’oro del torneo.

Le ultime due edizioni “vere” le vince Connors, che pesca finalmente gli assi che mancavano per calare il poker. Nell’82 il mancino approfitta della nuova guerra improvvisamente scoppiata tra ATP e WCT e si ritrova leader in un tabellone che lamenta l’assenza di Lendl e McEnroe (impegnati nelle contemporanee WCT Finals di Dallas) e costringe Bjorn Borg a disputare addirittura le qualificazioni, nelle quali batte Amaya ma perde con Stockton. L’orso è alla deriva mentre Jimbo sta volando verso il ragguardevole traguardo dei 100 tornei vinti in carriera: adesso sono 92. Il quadrumane Gene Mayer, ottimo finalista, si procura una distorsione alla caviglia nel tentativo di recuperare una palla angolata di Connors e dopo appena sette giochi si ritira.

Tra l’82 e l’83 Connors si ripropone ai massimi livelli, mette in bacheca altri tre slam e a Las Vegas raggiunge quota 98. Stavolta McEnroe è in tabellone ma per uno scherzo del destino (che prende le sembianze dell’indisponibilità di Solomon, la quale apre le porte a un lucky-looser) deve debuttare contro Trey Waltke, un tipo che l’ha già battuto una volta e che gli creerà sempre grattacapi. John non è al meglio, fatica a concentrarsi e perde in tre set. In mezzo a una nuvola di americani, nella parte bassa si fa strada l’australiano Mark Edmondson che si spinge fino all’atto conclusivo lottando contro tutti e battendo in semifinale la sorpresa del torneo, Robert Van’t Hof. Colui che a tutt’oggi è l’ultimo canguro vincitore dello slam di casa parte bene nella finale, si porta avanti di un break (4-2) e, ripreso, nel tie-break va sul 3-1 ma Connors recupera e nel secondo dilaga (6-1) intascando i 62.500$ riservati al vincitore.

Nel 1984 il torneo si prende una pausa, Alan King ha perso entusiasmo ma non demorde e l’anno dopo ritorna portando il montepremi complessivo a 400.000$. È il canto del cigno ed è un canto rattristato da una congiuntura che mette fuori combattimento le prime quattro teste di serie fin dall’esordio. Connors (1) perde con Vijay Amritraj, Krickstein (3) con Van Patten, Cash (4) con Simpson mentre Curren (2) incassa un doppio 6-1 da uno svedese di nome Edberg, che però al secondo turno incapperà nella prima di 25 sconfitte patite contro Boris Becker.
Il torneo lo vince Kriek battendo, nell’unica finale sulla lunga distanza, lo statunitense Jimmy Arias. Johan è l’ultimo Cesare a sedere sul trono del Palazzo, prima che racchette e palline lascino spazio alla pellicola di registi famosi (è nel suo casinò che Dustin Hoffman e Tom Cruise tentano la fortuna in Rain Man) e ai guantoni di Hagler, Leonard, Duran, Tyson e Holyfield, solo per citare i più famosi.

Il 9 maggio del 2004, nel momento dell’anno in cui si svolgeva il torneo, Alan King si arrende al cancro al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York. Aveva 76 anni mentre il Caesars Palace non ne ha nemmeno 49 quando, seppellito sotto 18 miliardi di dollari di debiti, la Caesars Entertainment Operating Co., ovvero la società che lo gestisce, porta i libri in tribunale e dichiara fallimento. L’età dell’oro è finita ma non a caso Las Vegas è la città dell’azzardo e allora ecco che, nel 2006, l’ATP trasferisce il Tennis Channel Open da Scottsdale nel nuovissimo e maestoso Darling Tennis Center, il più grande complesso tennistico del Nevada. Purtroppo, la mancanza di statunitensi al vertice e il freddo vento del deserto che scoraggia gli spettatori specialmente nelle sessioni serali non aiutano il torneo a decollare e dopo sole tre stagioni (Blake, Hewitt e Querrey i campioni, giusto per diritto di cronaca) i diritti vengono ceduti a Johannesburg. Ma, con Las Vegas, mai dire mai.

Albo d’oro

1972 John Newcombe b. Cliff Drysdale 6-3 6-4
1973 Brian Gottfried b. Arthur Ashe 6-1 6-3
1974 Rod Laver b. Marty Riessen 6-2 6-2
1975 Roscoe Tanner b. Ross Case 5-7 7-5 7-6
1976 Jimmy Connors b. Ken Rosewall 6-1 6-3
1977 Jimmy Connors b. Raul Ramirez 6-4 5-7 6-2
1978 Harold Solomon b. Corrado Barazzutti 6-1 3-0 ritiro
1979 Bjorn Borg b. Jimmy Connors 6-3 6-2
1980 Bjorn Borg b. Harold Solomon 6-3 6-1
1981 Ivan Lendl b. Harold Solomon 6-4 6-2
1982 Jimmy Connors b. Gene Mayer 5-2 ritiro
1983 Jimmy Connors b. Mark Edmondson 7-6 6-1
1985 Johan Kriek b. Jimmy Arias 4-6 6-3 6-4 6-2

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