Vesely, scacco al re Djokovic (Crivelli). Djokovic: "Avete visto? Non sono imbattibile" (Viggiani). Djokovic k.o. con Vesely l’incostante (Clerici). Djokovic piange, la Sharapova spera (Giorni)

Rassegna stampa

Vesely, scacco al re Djokovic (Crivelli). Djokovic: “Avete visto? Non sono imbattibile” (Viggiani). Djokovic k.o. con Vesely l’incostante (Clerici). Djokovic piange, la Sharapova spera (Giorni)

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Vesely, scacco al re Djokovic (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Bum. Scacco al re. Una caduta fragorosa, clamorosa, dolorosa. Pesante, pesantissima. Come il crollo di un monumento. Djokovic già fuori dai giochi nel Principato: da campione in carica, nel torneo di casa dove arriva in bicicletta, sui campi dove si allena tra le pause dei viaggi intorno al mondo a vincere partite su partite. Almeno fino a ieri. Quando l’ineffabile Jiri Vesely, numero 55 Atp, mancino ceco già da molti archiviato alla voce promessa non mantenuta nonostante i 23 anni ancora da compiere, fa esplodere la rivoluzione, finendo per baciare quella terra rosso fuoco che di solito si fa calpestare festosa dalle orme del più forte.

Impazziscono le statistiche. La storia racconta che Nole non perdeva così presto da Madrid 2013 (2 turno, Dimitrov) e a Montecarlo addirittura dal 2007, quand’era poco più che un bambino. E non si inchinava a un giocatore fuori dai 50 dal Queen’s del 2010, autore il belga Malisse. Senza contare le 11 finali negli ultimi 11 Masters 1000 giocati, con 22 vittorie consecutive da Cincin-nati e 14 dal ritiro per congiuntivite a Dubai. L’ultimo a batterlo in un match vero era stato Federer al Masters, sconfitta poi vendicata all’epilogo del torneo. Un dominio polverizzato in 126 minuti surreali, con il numero uno ad aggirarsi per il campo come l’ombra di se stesso, lento e falloso, aggrappato a una palla corta troppo spesso usata a sproposito per liberarsi dagli scambi e forse dalla cappa ormai insopportabile di dover per forza batterli tutti, ora e sempre.

A Vesely, all’inizio, non pare vero: «Ero entrato in campo con la speranza di portare a casa qualche game, ma certo non pensavo di poterlo mettere sotto». Quando se ne accorge, a metà del secondo set, perde tre game di fila tirando ogni palla lunga due metri. E il ghigno che lo accompagna, che lo rende quasi un bravo manzoniano, un bulletto di periferia, e invece nasconde un carattere timidissimo, si incarognisce fin quasi alla disperazione. Ma è la sua giornata e soprattutto non è quella di Djokovic, che torna al museo degli orrori e regala due break nel terzo set, fino al primo match point annullato nel nono game che non cambia un finale incredibilmente già scritto: «Visto? Sono la dimostrazione che nessuno è imbattibile». E i segnali di stanchezza percepiti a Miami, nonostante una cavalcata senza macchia e senza alcun set perso, deflagrano all’improvviso con una forza sconosciuta: «Perdere non è mai bello, soprattutto su questi che sono i miei campi. Ma già in allenamento, nell’ultima settimana, ho avvertito che mi mancava freschezza, colpivo bene la palla però alla fine mi sentivo stanco. C’è sempre una ragione perché alcune cose accadono: è il momento di riposare. Ne ho bisogno dal punto di vista fisico e mentale».

Saranno i prossimi giorni, le prossime settimane, a rivelare se «Robotovic», come l’hanno soprannominato dopo una stagione e mezza da macchina infernale, sia inciampato nel granellino dei dubbi o se invece una delle sorprese più inattese degli ultimi anni finirà al contrario per sottrargli pressione in vista di Parigi, il vero obiettivo della primavera: «Lo ripeto, odio perdere e non sono tra quelli che pensano che una sconfitta possa aiutarti per il futuro. Ma bisogna accettarlo. Riposare mi darà beneficio, gli ultimi cinque mesi sono stati durissimi (…)

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Djokovic: “Avete visto? Non sono imbattibile” (Mario Viggiani, Corriere dello Sport)

Fino a ieri, se non una certezza, avevamo almeno un’idea ben precisa: che nel 2016 solo un contrattempo fisico, come accaduto in febbraio a Dubai nei quarti contro Feliciano Lopez avrebbe potuto interrompere lo strapotere di Novak Djokovic. E invece ieri, appunto, a Montecarlo è successo che il numero 1 del mondo, ormai padrone assoluto o quasi di Slam (11 in carriera, in particolare 6 degli ultimi 9 disputatisi) e Masters 1000 (28 in tutto), al debutto stagionale sulla ten-a rossa sia stato battuto dal 22enne mancino Jiri Vesely, 55 del mondo, mai affrontato in precedenza. La sorpresa è una sorpresona, tant’è che la proposta dei bookmaker non per niente diceva 1,01 per Djokovic, quota minima quindi, e 23,00 per Vesely, ovvero 22 volte la posta D’altronde, non poteva essere diversamente, con il serbo reduce dalla doppietta Indian Wells-Miami (1 set perso in 12 partite!) e il ceco dalla semifinale raggiunta a Marrakech, primo torneo del 2016 in cui aveva vinto più di una partita, dopo che in sei dei sette precedenti era stato eliminato all’esordio).

Vesely al primo turno nel Principato aveva impiegato tre set e 2h22′ per superare Teymuraz Gabashvili, ieri ancora tre set e 2h06′ per buttare fuori con gran fragore Djokovic e guadagnarsi gli ottavi contro Gael Monfils, che sempre ieri ha superato un ammirevole Paolo Lorenzi. Novak, che a Montecarlo era campione uscente e che da settembre aveva vinto 9 degli ultimi 10 tornei disputati (l’unico stop era arrivato a Dubai per l’infezione all’occhio) non usciva alla prima partita di un torneo da tre anni (anche in quella occasione sulla tesa: Madrid 2013, contro Grigor Dimitrov), ma soprattutto non perdeva da quasi sei contro un avversario che non fosse un Top 50 (sull’erba del Queen’s, giugno 2013, contro Xavier Matisse che all’epoca era 74 del mondo). Jiri invece non aveva mai sconfitto un Top Ten negli 8 tentativi precedenti, al massimo è stato 35 in classifica nell’aprile 2015 e in bacheca ha giusto un trofeo Atp, per aver vinto da qualificato il torneo di Auckland nel gennaio 2015.

La partita di Montecarlo, come spesso accade quando all’improvviso il re è nudo, è stata soprattutto una brutta partita da parte del più forte, con Djokovic sotto tono alla risposta, capace al massimo di rimontare in qualche modo un set e di annullare un primo matchpoint nel terzo. Sempre molto onesto, Novak anche dopo una sconfitta come questa: « Visto? Nessuno è imbattibile. Io ho giocato malissimo, lui invece è stato molto solido, bravo tatticamente e aggressivo per tutto il tempo. Adesso intendo soltanto riposarmi, specie mentalmente». In attesa di Madrid e Roma, in avvicinamento al Roland Garros che rimane l’unico Slam che manca dal suo palmarès (…)

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Djokovic k.o. con Vesely l’incostante (Gianni Clerici, La Repubblica)

Accadde addirittura a Giulio Cesare, più vincente e noto di Novak Djokovic. Furono ben nove pugnalate, mentre l’intoccabile serbo ha subito solo otto aces. «La primavera è la stagione più pericolosa» ha dichiarato ora Nole in conferenza stampa, ma le Idi di marzo non concordano appieno con l’ attuale Aprile. Vicino a me alcuni colleghi versati nelle statistiche stanno computando da quanti giorni Djokovic non subisse più sconfitte. Per essere, al solito, impreciso, io ricorderò che non aveva più subito sconfitte in un vero torneo dal lontano Masters di Londra, contro Federer ancora dotato del nativo menisco. Anche se gli statistici stanno scovando un ritiro per cattiva salute a Dubai, contro Lopez. Un peon Lopez, direbbe uno spagnolo, non meno peon di questo Vesely, capace di affermare, in perfetto lialese «Non so se ridere o piangere». Detto ciò, rimane da spiegare a chi non ha assistito al match, come i seimila italiani che popolavano oggi il Club di Montecarlo, la ragione della vittoria di Jiri Vesely, N. 55 del mondo.

Non basta, probabilmente, affermare che le sue origini, insieme a quelle degli ex jugoslavi, sorgono dal paese più adatto al tennis, anche secondo il famoso professor Pittard, autore de Les Races et l’Histoire. Dalla Boemia sono venuti troppi campioni, a partire dal Re Rodolfo secondo, per giungere sino a Drobny e alla Navratilova. Vesely era un tipo talmente incostante da indurre in errore anche il vecchio scriba, che l’aveva visto superficialmente da junior, e una volta di più si era sbagliato, predicendogli un futuro strettamente legato alla sua ammirevole gestualità, non alla psiche, che spessissimo non coincidono. Figlio di un maestro, aveva seguito Papà in Germania, mi diceva un vicino di banco tedesco, a passarvi elementari e medie, sinché le migliorate condizioni del suo paese natio non l’avevano sottratto ad un futura sudditanza ad Angela Merkel. Al suo quinto anno di precoce professionismo era salito al N. 35.

Si è giovato oggi, oltre alla nativa creatività, di una media di sei prime di battuta ogni dieci, divenute sette nel decisivo terzo set. Si è lasciato aiutare da un diritto liftato esplosivo, e una continua aggressività, involontariamente propiziata dalla irregolarità e dalla lunghezza, dovrei dire cortezza, dei rimbalzi di Nole. Non ha, soprattutto, mai dubitato di se stesso, come poteva accadere quando il suo vantaggio è apparso decisivo (…)

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Djokovic piange, la Sharapova spera (Alberto Giorni – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione)

Clamoroso al Country Club di Montecarlo. L’invincibile Novak Djokovic, numero 1 del mondo e campione in carica, sembrava destinato all’ennesima marcia trionfale da concludere domenica ricevendo il trofeo dalle mani del Principe Alberto. E invece, voilà, colpo di scena. Il serbo è stato eliminato all’esordio da Jiri Vesely, n.55 della classifica, 6-4, 2-6, 6-4: è il successo più importante in carriera per il ventiduenne ceco, che non aveva mai battuto un top ten. Irriconoscibile Djokovic, che risiede e si allena nel Principato; era il suo primo match sulla terra rossa e ha avuto poco tempo per adattarsi, dopo aver speso molte energie a marzo dominando i «Masters 1000» di Indian Wells e Miami sul cemento americano.

E’ solo la seconda sconfitta quest’anno dopo quella ai quarti di Dubai contro Feliciano Lopez, ma lì Nole si era ritirato a causa della congiuntivite. Non perdeva al debutto addirittura dal torneo di Madrid del 2013 e per trovare un k.o. contro un giocatore fuori dai primi 50 si deve risalire al Queen’s del 2010. Ma non bisogna dimenticare i meriti del mancino Vesely, ragazzone alto 1.98 che ha servito benissimo. Djokovic ha commesso 34 errori gratuiti, però non ha mollato annullando con coraggio un matchpoint sul 5-3 per Vesely nel terzo set. Poi al ceco non è venuto il classico «braccino» e il serbo è stato molto sportivo, salutandolo a rete con un abbraccio.

«Ho giocato molto male e non vedo l’ora di prendermi una pausa, devo ricaricare le batterie», le parole di Nole, a cui il riposo tornerà utile in vista del vero obiettivo, il Roland Garros. Oggi Vesely è chiamato a una non facile conferma contro Gael Monfils, che ha superato 6-2, 6-4 Paolo Lorenzi. Avanti Nadal e Wawrinka, già fuori Berdych e Gasquet.

Se l’umore di Nole è sotto le scarpe, quello di Maria Sharapova è in rialzo. La Wada, agenzia mondiale antidoping, ha annunciato a sorpresa una sorta di «grazia» per una parte degli atleti positivi al Meldonium: sarà tollerata la presenza di meno di un microgrammo della sostanza trovata nei test effettuati entro il 1° marzo. Il Meldonium è diventato proibito dal 1° gennaio e 176 atleti di diversi sport, soprattutto russi, sono caduti nella rete. Il motivo della decisione è l’impossibilità di stabilire con certezza quanto tempo impiega l’organismo per smaltire ogni traccia di Meldonium; così non si penalizzeranno coloro che l’avevano assunto fino alla fine del dicembre 2015, quando era ancora legale.

La Sharapova il 7 marzo aveva rivelato la propria positività spiegando che utilizzava da anni quel farmaco e non si era accorta che era stato inserito nella lista vietata. Ora bisognerà vedere la quantità di Meldonium riscontrata nelle analisi di Maria, che spera di cavarsela (…)

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