I Fantastici 4 in campo, è il giorno dei supereroi (Crivelli). A Roma in campo i giganti del tennis (Viggiani). Rovesci e televisione, la doppia vita di Volandri (Clerici). L’Italia ansiosa prenda esempio da Volandri (Valesio). Mentre Volandri torna ragazzo, Federer fa i conti con un ragazzo (Giua)

Rassegna stampa

I Fantastici 4 in campo, è il giorno dei supereroi (Crivelli). A Roma in campo i giganti del tennis (Viggiani). Rovesci e televisione, la doppia vita di Volandri (Clerici). L’Italia ansiosa prenda esempio da Volandri (Valesio). Mentre Volandri torna ragazzo, Federer fa i conti con un ragazzo (Giua)

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I Fantastici 4 in campo, è il giorno dei supereroi (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Scatenate l’inferno. Perché oggi tocca finalmente alle rockstar. Dopo averli inseguiti, fotografati, assunti a piccole dosi durante allenamenti mai così affollati e chiassosi, uno spettacolo nello spettacolo, la gente del Foro li vedrà sul palcoscenico, a toccare corde da brividi. Djokovic, Federer, Murray, Nadal, in rigoroso ordine di classifica: ecco il giorno. Ecco i re di Roma. Mezzogiorno di fuoco. Roger sotto il sole. Tocca a lui, la prima mossa. Gli altri a seguire. Ma lungi dall’immaginare una mancanza di rispetto: il Divino va all’ora di pranzo per evitare ai suoi preziosi muscoli dorsali, indolenziti da mille trionfi, un sovraccarico di umidità. Anzi, il caldo di inizio giornata dovrebbe confortarlo, allontanando una volta per tutte i dubbi sull’efficienza fisica del vincitore di 17 Slam, di cui ieri pomeriggio, per un paio d’ore, attraverso i soliti infernali social network, si paventava addirittura il ritiro. E invece Federer migliora giorno dopo giorno, ha scelto il profilo basso nei rapporti con la stampa e nelle training session solo per rimanere concentrato. Lo richiede il rispetto per un torneo mai vinto (pur con 4 finali) e per un avversario, il pupillo Zverev, in ascesa e con le armi tecniche (e la consapevolezza) per provare a scardinare le certezze del più grande. Sarà forse un Federer lievemente minore causa schiena malconcia, ma la volpe serba Djokovic non si fida: «Davvero Toni Nadal ha detto che io vinco perché Roger e Rafa valgono meno di un tempo? Non rispondo a cose del genere».

Nole comincia la difesa del titolo da una vittoria, quella di Madrid, che lo ha riportato in trionfo sulla terra esattamente un anno dopo il successo romano e da un incrocio all’apparenza soffice contro il qualificato Robert. Probabilmente quello che ci voleva dopo le fatiche castigliane: «Non è la prima volta che gioco una settimana dopo l’altra, perciò spero soltanto di mantenere anche qui il livello che ho avuto per tutto il torneo in Spagna. Devo trovare dentro di me la freschezza che mi serve e provare ad andare il più lontano possibile». Fino a dove, Djoker? Magari a quella Parigi che resta il sogno incompiuto di una vita? Il numero uno, sornione, rigetta pensieri a lungo termine, fors’anche per esorcizzare la maledizione del Roland Garros: «Quando entro in campo, non immagino quello che potrà succedere tra una settimana o tra un mese. Sarebbe una mancanza di rispetto verso Roma e verso il pubblico che viene a vedermi e vuole che mi impegni per vincere oggi, non nel futuro. Di Parigi e del possibile Grande Slam parlerò quando sarò là, per adesso è fuori dalla mia mente. Piuttosto, devo concentrarmi su un tabellone con Nadal e Federer dalla mia parte e un Murray che sta trovando una forma tremenda».

E’ vero, il computer è stato maligno e perfino Rafa non ha nascosto stizzito la sua preoccupazione: «Se mi piace un eventuale quarto di finale contro Djokovic? Neanche un po’, ma il tennis non è matematica. E, a dire il vero, a me preoccupa anche l’esordio con Kohlschreiber, quando giochi due tornei così ravvicinati hai poco tempo per allenarti bene e per recuperare e i primi turni sono insidiosi». Alla fine, però, vincono sempre i soliti noti: «Quando i successi vanno quasi sempre dalla stessa parte, ci sono due possibilità: o la vecchia generazione è troppo forte, o la nuova non è all’altezza della precedente. Ma io credo che questo trend cambierà nei prossimi due anni, i Fab Four non possono essere eterni». Forse non lo crede Murray, che si è separato dalla Mauresmo proprio perché non sono arrivati quei risultati che ti assicurano l’immortalità e che viene investito di domande sul divorzio, perché del debutto contro Kukushkin sinceramente importa poco a tutti: «Amelie non poteva più dedicarmi il tempo necessario (…)

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A Roma in campo i giganti del tennis (Mario Viggiani, Corriere dello Sport)

Finalmente arriva il Fab Day di questi Internazionali BNL d’Italia. Favoloso perché nella giornata per il secondo turno del Masters 1000 giocheranno tutti e quattro i Fab Four, che restano sempre e comunque Novak Djokovic, Roger Federer Andy Murray e Rafa Nadal, da lunedì in quest’ordine di classifica. Vero, Stan Wawrinka è stabile al numero 4 dal 14 settembre dell’anno scorso, ma ormai ha fatto l’abitudine al ruolo di jolly, pur avendo collezionato due Slam (Australian Open 2014 e Roland Garros 2015). E allora sotto con quelli che sono i nomi caldi di questo e di ogni altro torneo, tutti reduci da Madrid ma con umori diversi. Federer e Djokovic subito in diurna e Nadal in apertura di serale sul Centrale, Murray terzo match sul Pietrangeli.

Il numero 1 del mondo ha quello migliore, di umore. Domenica a Madrid ha conquistato il 29° Masters 1000 in carriera, staccando di uno Nadal nella speciale classifica. Quello spagnolo è stato invece il torneo n.64 vinto in carriera e gli ha consentito di agganciare Bjorn Borg e Pete Sampras nella graduatoria all time: prossimo obiettivo ancora Nadal, che è quinto a quota 69. Insomma, Novak sempre più padrone del mondo tennistico. Dall’inizio del 2016 ha vinto 33 partite su 35 (94,3%…), 5 tornei su 7, compreso l’unico Slam disputato finora nell’anno e già 3 Masters 1000. Le due sconfitte sono arrivate contro Lopez a Dubai al primo torneo post-Australian Open, ma per ritiro causato da un’infezione a un occhio, e contro Vesely a Montecarlo al debutto stagionale sulla terra. Favorito del torneo a quota massima di 1,80, oggi debutta contro Stephane Robert, mai affrontato finora. Quote: Djokovic 1,01; Robert 30.

Federer a Madrid c’è andato ma non ha giocato, dopo aver saltato un paio di allenamenti: colpa della schiena, un acciacco dell’età. A Roma è arrivato sabato e da allora si è allenato tutti i giorni, anche ieri. Però non ha parlato, nel senso del tradizionale incontro pre-torneo con la stampa: gli altri tre Fab l’hanno fatto ieri, lui invece no. Volendo interpretarla negativamente, questa rinuncia, potrebbe significare che ha fatto a meno di parlare perché soltanto oggi prenderà una decisione definitiva sul giocare o meno, valutando solo all’ultimo se in condizioni ottimali per andare regolarmente in campo e non compromettere la partecipazione al Roland Garros che avrà inizio il 23 maggio. La risposta la si avrà solo in mattinata: il suo sarà il primo match sul Centrale, contro 19enne tedesco Alexander Zverev, mai affrontato fin qui, numero 44 del mondo e secondo teenager in classifica dietro Boma Coric, che è 41. Se Federer non giocasse, al suo posto potrebbe esserci lo statunitense Denis Kudla, n. 56, eliminato al primo turno nelle qualificazioni. Quote Federer 1,33; Zverev 2,75.

Murray è appena scivolato al terzo posto Atp. Non ha ancora vinto un torneo nel 2016 ma a Madrid sulla terra s’è arreso solo in finale a Djokovic dopo aver eliminato prima Tomas Berdych e poi Nadal, sempre in due set. Oggi troverà il kazako Mikhail Kukushkin: l’ha sempre battuto, non c’è motivo perché stavolta vada diversamente. Quote: Murray 1,06; Kukushkin 9,00.

Nadal nella stagione sul rosso ha fatto suoi il Masters 1000 di Montecarlo e Barcellona ed è stato semifinalista a Madrid. A Roma ha alzato il trofeo per sette volte, Djokovic ci riuscito quattro: stavolta nel caso incroceranno già nei quarti, un vero peccato per i due giocatori che hanno spazzolato appunto le ultime undici edizioni degli Internazionali (…)

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Rovesci e tv, la doppia vita di Volandri (Gianni Clerici, La Repubblica)

Di che cosa scrivi ? Di Volandri ?, mi domanda un collega, passando vicino al mio banco. ‘Sei diventato patriota, proprio tu che sei mezzo svizzero?’. Confermo che sto scrivendo di Filippo Volandri, per varie ragioni umane che prescindono dal patriottismo. Volandri ha infatti intrattenuto gli spettatori del Campo Centrale per due ore, andando vicino a battere il primo dei secondi, come mi piace definire David Ferrer, uno che non batte (quasi mai) quelli che stanno davanti a lui, i campioni veri, e batte invece tutti i campioncini che stanno in classifica dietro al suo numero nove. Filippo è un insolito esempio di chi cambia mestiere, diventando, da tennista professionista, un uomo che sostituisce all’attività muscolare quella intellettuale, se così mi si consente di definire una telecronaca. Telecronache che svolge con profitto, e con superiore competenza tecnica del telecronista standard, magari specializzato in quel che si chiama colore.

Mentre seguivo Volandri tennista mettere in crisi, con i suoi lunghi cross di rovescio, il regolarista Ferrer, mi son venuti in mente alcuni episodi ai quali il destino professionale mi aveva consentito di assistere. Il primo era stato una vittoria Tanti alti e bassi per il livomese, persino un’ingiusta squalifica doping per uno spray al 3’ turno su Federer nel 2007, proprio a Roma, che aveva fatto esplodere di entusiasmo il Centrale, e aveva addirittura richiamato i nomi di Pietrangeli e Panatta. I congegni contemporanei che sostituiscono la mia memoria mi ricordano un’altra vicenda, del tutto opposta a quella gloriosa di Roma. Una sconfitta subita a Livorno, non soltanto città natia, ma sorta di “kinderheim”, visto che il papa di Filippo era il Presidente del Club.

Contro un gruppetto di dilettanti polacchi, i nostri, nel 2004, rischiarono un disfatta davvero vergognosa, ma ancor più crudele per chi, come Filippo, nel Club era cresciuto. Riuscì a perdere da certo Kubot, per 6-2 al quinto, Volandri, e capisco quel che dovette provare, rileggendo il mio articolo di allora, dopo che la sconfitta dell’Italdavis fu infine evitata da Potito Starace. Ultima vicenda che, da spettatore, condivisi con lui, la condanna per un doping che non esisteva, allo Australian Open. Volandri fu sanzionato a torto, perché aveva ecceduto nell’uso di un liquido nasale, del quale anch’io mi servivo, e che quindi mi parve lontano da ciò che si chiama doping (…)

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L’Italia ansiosa impari da Volandri (Piero Valesio, Tuttosport)

E’ una brutta bestia l’ansia da prestazione. Se le concedi spazio s’impadronisce dei tuoi pensieri e non solo di quelli: e alla fine vince lei. La metafora sessual-tennistica non è fuori luogo: perché il tennis che si gioca al Foro Italico è anche e soprattutto una questione d’amore. Sia fra il luogo stesso e i tennisti che vi si esibiscono sia fra i tennisti italiani e il pubblico che attende da 40 anni un trionfatore azzurro in riva al Tevere. Il fatto è, tuttavia, che più passa il tempo e più l’ansia da prestazione prende piede. E si vince sempre meno. In questo delicatissimo anno poi restiamo aggrappati a Roberta Vinci (che esordirà oggi) e a Andreas Seppi. Per il resto l’ansia da prestazione o quello che è ha fatto disastri Finirà mai questa storia? Indicazioni La via l’ha dettata ieri Filippo Volandri, quello che alla finale del Foro, fra i maschietti, è arrivato più vicino dopo quella giocata e persa da Panatta nel ’78.

Filo ha 34 anni e quella di ieri è stata quasi certamente la sua ultima partita da professionista su questo terreno. Dopo aver conquistato l’accesso al tabellone principale battendo un altro nonnetto (sempre sul Centrale) quale Radek Stepanek ieri ha fatto saltare sul seggiolino migliaia di persone vincendo il primo set contro Ferrer e arrivando vicinissimo dal portare lo spagnolo al tie break del secondo. Per uno che gli ultimi due anni li ha trascorsi a giocare Challenger e tentare l’accesso ai main draw tramite qualificazioni non c’è male. Lui non l’ha sentita l’ansia da prestazione. Ha giocato una delle partite migliori della sua carriera: se solo la tenuta fisica fosse stata quella dei giorni migliori il tabù del Foro l’avrebbe sfatato. Insegnamenti Perché di tabù si natta a tutti gli effetti Sara Errani che per la seconda volta in carriera a Roma si è sentita mozzare il respiro durante un match non è un caso isolato. Tempo fa Francesca Schiavone, dopo una sconfitta, ebbe a dire: «Qualcuno mi insegni come si vince una partita in questo posto». Fognini (che mica sta giocando male) si è fatto distruggere da Garcia Lopez l’altro giorno come se avesse le gambe ancorate al terreno. Camporese, Gaudenzi, Seppi: tutti lanciatissimi si sono poi arenati ai quarti.

E allora come si supera questo tabù? Paolo Bertolucci, chela semifinale l’ha raggiunta nel ’73 e persa dopo una lotta bestiale contro Nastase, è scettico sul concetto stesso di tabù. «Mah bisogna porsi domande serie sul perché agli italiani succede così spesso di partire bene e finire male qui a Roma». Filippo Volandri invece la pensa diversamente: «La realtà è che Roma è un luogo particolare, non è come gli altri. Un luogo che non ha vie di mezzo: ti può dare tantissimo ma può anche toglierti tanto. Non c e equilibrio. Il segreto è farsi contagiare dalla passione, assorbirla Non respingerla. Sarà che io sono di parte visto che ho esordito in Davis qui e ho battuto Ivanisevic che era 14 del mondo mentre io non ero null’altro che un ragazzino. E quando cominci così poi è tutto diverso. Nel 2007 ho centrato l’impresa di battere Federer anche perché ho assorbito l’energia che mi trasmetteva chi mi stava intorno. Tanto è vero che dopo aver perso con Ferrer pensavo: ecco, è stata la mia ultima partita qui. Pero poi rifletto su quello che ho provato e non nascondo che la tentazione di riprovarci c’è ancora». Capito il segreto, ragazzi? Nessuno vi alita sul collo ma se qualcuno lo fa è più che altro un gesto mistico, tipo trasmissione di una sorta di spirito santo (…)

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Mentre Volandri torna ragazzo, Federer fa i conti con un ragazzo (Claudio Giua, repubblica.it)

A quasi sessant’anni Antonio è un tennista incoercibile, prima di venire al Foro Italico ha giocato tre ore di doppio sul campo 6 del suo circolo sul Lungotevere. È qui al Centrale a seguire il match tra Filippo Volandri e David Ferrer: nel loro contesto, che è quello del circuito ATP, anche loro attempati giocatori, classe 1981 il livornese, 1982 il valenciano. Quando l’ex numero 1 d’Italia, che s’è preso di classe il primo set, va a servire per il 6 pari nel secondo, Antonio mi sussurra all’orecchio: “…se perde questo game, il terzo set durerà venti minuti e addio impresa”. Va esattamente così, 4-6 7-5 6-1 per lo spagnolo in due ore e un minuto. Ad Antonio dà ragione un’ora più tardi, lo stesso Volandri in conferenza stampa: “Avrei dovuto arrivare al tie break nel secondo set, e allora sarebbe stata un’altra cosa”.

Sì, Volandri avrebbe meritato un’altra, forse l’ultima passerella sul campo principale degli Internazionali dove nove anni fa sconfisse Roger Federer: per la qualità del gioco espresso oggi, per la fantasia nelle soluzioni tattiche, per lo sforzo profuso negli ultimi mesi per potenziare il fondamentale che l’ha infelicitato per l’intera carriera, il servizio. A 35 anni, con un futuro già definito da cronista e commentatore su Sky, ha ritrovato l’entusiasmo di quando ragazzino lasciò, accompagnato dal coach Fabrizio Fanucci, il circolo livornese di cui il padre era presidente per tentare la grande avventura del tennis dei jet, degli hotel e dei riflettori. Diciott’anni più tardi gioca finalmente libero, rilassato, divertendosi persino più di allora. Tanto da rientrare in bellezza tra iTtop 200: da ieri è 177 al mondo. Dice sorridendo: “Da tempo non mi sentivo così bene. Non mi esprimevo a questo livello dalla finale con Nicolas Almagro anni fa a Rio e da un turno perso qui a Roma con Gilles Simon, non ricordo nemmeno l’anno. Sono contento perché se esci dal giro dei migliori è poi difficile rientrarci”. E scherza: “Comunque ho ancora uno dei migliori rovesci a una mano del circuito”. In queste ore, prima contro Radek Stepanek, poi con Ferrer, ha riassaporato gli odori, risentito i rumori, rivisto le luci del tennis che conta davvero. Dunque andrà avanti, cominciando dalle qualificazioni del Roland Garros la prossima settimana. Sky può attendere, o magari restare per ancora un po’ il secondo lavoro.

Come Volandri sa, l’età non è una variabile che si può condizionare a piacere. Ognuno di noi sa cosa significa essere “il più giovane”. Nel posto di lavoro, in un gruppo sportivo, a qualche cena, gli altri fanno battute leggere sulla tua inesperienza, ma sotto sotto percepisci la loro invidia. Poi arriva qualcuno nato dopo di te. Nessun problema, anzi fai gruppo con lui e con un paio di coetanei: sei comunque tra “quelli giovani”. Passano cinque, dieci anni, t’accorgi che i giovani sono altri, ma la tua esperienza fa ancora premio, hai fatto cose importanti che la comunità ti riconosce, loro annaspano per emergere. Altri anni, adesso sei il più anziano, i giovani sorridono tanto per compiacerti, pensano che il tuo tempo da protagonista sia finito. Poi arriva uno molto più giovane di te e, senza tante chiacchiere, chiude la storia. Va così. Potrebbe accadere qualcosa del genere a mezzogiorno sul Centrale nel match che non voglio perdere nemmeno per l’inopinato consiglio d’amministrazione cui dovrei partecipare nel primo pomeriggio a 600 chilometri dal Foro. In campo Roger Federer, quasi 35 anni, appena tornato numero 2 della classifica mondiale a pari merito con Andy Murray (7525 punti entrambi), e il tedesco di origine russa Alexander Zverev, figlio e fratello d’arte ma già, a 19 anni appena compiuti, molto più forte dei suoi famigliari/maestri. Se lo svizzero dovesse cedere le armi, potrebbe essere il turning point – rubo l’espressione a Stefano Baldolini dell’Huffington Post – di una carriera tanto lunga quanto eccezionale (…)

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