Disastro Italia, si salva Seppi (Crivelli), Il lampo di Seppi nel deserto tennis italiano (Clerici), Azarenka: “ho tolto il mio tennis dalla depressione” (Piccardi), Fognini è già fuori. Soltanto Seppi sorride (Rossi-Giua), Sonego il “capoccione” mette paura al campione (Semeraro)

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Disastro Italia, si salva Seppi (Crivelli), Il lampo di Seppi nel deserto tennis italiano (Clerici), Azarenka: “ho tolto il mio tennis dalla depressione” (Piccardi), Fognini è già fuori. Soltanto Seppi sorride (Rossi-Giua), Sonego il “capoccione” mette paura al campione (Semeraro)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Disastro Italia, si salva Seppi

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 10.05.2016

 

A come loati a Seppio, come lo chiamano i colleghi sul circuito. Andreas il freddo, reduce da più di un mese ai box per sistemare l’anca destra malandata, salva la giornata da tregenda azzurra con l’unica vittoria italiana in otto match, cinque maschili e tre femminili: roba da pellegrinaggio nel suo spogliatoio. FELICITA’ Non che l’avversario, il bombardiere canadese Pospisil, che lo segue di 4 posizioni in classifica (42 a 46 per il nostro), potesse rappresentare una minaccia estrema su una superficie che gli ha regalato in carriera appena una vittoria in 14 match, e per di più nel 2013, ma sicuramente la lontananza dal campo e dal ritmo partita era per Seppi un avversario temibile. Ma ancora una volta l’allievo di Max Sartori stupisce per umiltà, determinazione, voglia di rimanere attaccato alla sfida anche quando l’altro gli prende un servizio nel secondo set: alla fine, con due tie break chirurgici, l’altoatesino doma la tensione e il rivale nordamericano, regalandosi Gasquet al prossimo turno. Quanto basta per essere felice: «E’ davvero speciale giocare al Pietrangeli, sembra quasi che il pubblico ti entri sottopelle. Non è stata una partita bella da vedere, ma dopo 6 settimane di stop questo è un impatto davvero positivo con il tennis che conta. Sono contento perché ho servito bene e proprio la battuta è il colpo più difficile per il mio problema». Che Andreas spiega così: «La cartilagine è logora, non serve operarsi ma ogni sei mesi devo fare un’infiltrazione che poi comporta 4 settimane di stop. Dunque va tutto bene, non sono ancora al massimo della velocità ma la vittoria mi dà morale». RAMA Ah, se solo Fognini ogni tanto diventasse formichina come l’amico Seppi. E invece contro Garcia Lopez, spagnolo atipico perché alto, allampanato e cacciatore del punto fin dai primi colpi, Fabio mette in scena il solito sciupio dopo un primo set inguardabile e un secondo invece complessivamente dominato, con i due set point sul 5-4 non sfruttati che in pratica lo sciolgono fino all’esiziale tie break in cui si ritrova subito sotto 3-0 e non potrà più recuperare. A sentirlo, la tensione del torneo di casa non c’entra: «Ma quale pressione, ogni tanto bisogna riconoscere quando l’altro gioca meglio». Eppure la rabbia cova: «Mi avevano promesso alcune cose e non le hanno mantenute (orario e campo diverso, ndr), ma è banale aggrapparsi a questo. Però è meglio se sto zitto, ho deciso di fare il bravo ragazzo». RIMPIANTI Ma era destino che questo fosse il giorno dei rimpianti. O forse un punto di partenza per una storia tutta nuova. Dipende da come guardi il bicchiere. Perché almeno un paio sarebbero state imprese vere. Prendete Lorenzo Sonego, torinese, 21 anni domani, granata sfegatato: è arrivato a tanto così dal farsi un regalo anticipato. Un regalone, perché battere Joao Sousa, numero 30 Atp, 303 posizioni più della sua, sarebbe stato da ricordare chissà per quanto: «Ma non ho da recriminare niente». Piccola bugia, forse, perché l’azzurro è arrivato a due punti dalla vittoria, sul 5-4 30-30. E poi? E poi dieci punti di fila del portoghese: «Mi sono mancate le energie». Niente rivincita invece per Marco Cecchinato, che incrocia Milos Raonic dopo la sconfitta di Montecarlo, e stavolta il canadese è anche top 10. Sul Centrale si va al terzo set, il palermitano ha pure la chance, tre palle break, di allungare il match sul 5-5: «E poi chissà come sarebbe finita, il mio obiettivo era portarlo al tie break: ma rispetto a Montecarlo sono molto più felice, perché ormai non ho più paura di nessuno, in questo circuito posso starci. E ora guardo con fiducia pure a Parigi». Chi invece non è riuscito a godersela fino in fondo è stato Salvatore Caruso, a cui Nick Kyrgios ha concesso solo tre game: «Speravo lui sbagliasse di più. Obiettivi? Voglio giocare le qualificazioni a Wimbledon». Buona fortuna.

 

Il lampo di Seppi nel deserto tennis italiano

 

Gianni Clerici, la repubblica del 10.05.2016

 

Fischi dei nazionalisti più accaniti al povero Fognini (1-6, 6-7 da Garcia Lopez). Commiserazione più clemente per la povera Errani (4-6, 6-3, 0-6 da Watson ). Rassegnazione per le (previste) sconfitte di Caruso (1-6, 2-6) contro Kyrgios, e dal pur ammirevole Cecchinato (da Raonic 4-6, 6-4, 4-6). Ammirata consolazione per la determinata solidità di Seppi in due tiebreak dominati psicologicamente prima ancora che gestualmente a Pospisil 7.6 (7-5) 7-6 (7.2 ). Scoperta di chi, come me, commette l’errore di non seguire i tornei minori, per la presenza di qualcuno che potrebbe diventare maggiorenne come Lorenzo Sonego, n. 333 (7-6, 3-6, 5-7) contro Joao Sousa n. 33. Previsioni tristemente confermate per la cara, vecchia Schiavone ( 3-6, 2-6) da Lucie Safarova e per Karin Knapp, 2-6, 4-6 dalla Strycova. Questa, in sintesi, una giornata che sottolinea, mi pare, lo stato attuale dell’Italtennis, dopo che le nostre signore ne avevano nascosto le debolezze dimenticando brillantemente le loro date di nascita. «Farebbe prima a pubblicare i risultati», mi dice un lettore in gita alla sala stampa, condotta dal fratello senior di Sergio Palmieri, il direttore del torneo. Invece no. Vorrei spingermi a riferire di aver visto qualcosa, nonostante, come la maggior parte dei sedentari, non sia per solito in grado di accedere a campi, se non al Centrale: oppure, tanto superato, da non servirmi brillantemente delle televisioni, com’è ormai costume dei miei colleghi minorenni, espertissimi di conferenze stampa. Sono riuscito, oggi, a penetrare sino ai gradoni di travertino, stracolmi di spettatori un po’ troppo nazionalisti, peraltro merlo dei loro genitori italopitechi , grazie ad un giovane esperto di otto anni, Simone. Presentatomi dal padre, che richiedeva a suo nome un autografo, Simone ha fatto si che trovassi posto a bordo campo, sul n. 2, un luogo che, nel passato, ospitò ben due delle mie sconfitte sulle sei totali, che, credo, mi abbiano concesso di stabilire un record, quantomeno negativo ma sempre record. «Vieni con me, che entriamo» mi aveva incoraggiato Simone, dopo avermi visto respinto da un severo controllore. «E, prendendomi per mano, era riuscito a farmi accedere nei luoghi della perpetua-zione simbolica dei miei fallimenti. Avevo, allora, potutoammirareda vicino il viso infantile di Lorenzo Sonego, il cui nome, in futuro, potrebbe scriversi Son-Ego, come gli auguro. «Lo conosco bene – mi aveva informato Simone -. Siamo tutti e due soci dello Sporting di Torino, e giochiamo con il signor maestro Gino Arbino, un signore che insegna ancora meglio del mio maestro, in terza elementare». Grato di quelle informazioni, mi ero concentrato nell’ammirare il giovane tennista eseguire i diritti arrotati e i rovesci bimani ai quali sfugge ormai soltato il Divino Federer, animato interprete del Museo delle Cere Viventi. Nonostante la buona educazione tennistica, nonostante il sostegno educato di Simone, che non tralasciava di battere le mani anche ai migliori punti di Sousa, questi terminava per avere la meglio su Sonego. Che, in un prossimo futuro, potrebbe forse risollevare il bilancio del tennis italiano. Non lontano, ahinoi, da quello che ci rimprovera Schäuble.

 

«Ho tolto il mio tennis dalla depressione»

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 10.05.2016

 

Ogni volta che torna a casa — Minsk, Bielorussia — babushka le fa trovare uva e cioccolata in tavola. Dolcezza, contro gli urti della vita della top-lo. «Nonna fino a 74 anni si è alzata tutti i giorni alle 5 per andare a lavorare. Sempre con il sorriso. La vedo troppo poco ma con lei passo momenti impagabili. Quando mi sento giù penso a babushka e ritrovo l’ottimismo». Vika Azarenka, 26 anni, è la tennista più calda del circuito: la doppietta Indian Wells-Miami l’ha proiettata al numero 6 del mondo, arriva a Roma da favorita, ripartirà per Parigi e Wimbledon da predestinata. «Quest’anno in palio c’è anche l’oro dei Giochi olimpici di Rio: non mi precludo nulla» sottolinea squillante alla vigilia del debutto al Foro Italico. Ma c’è stato un tempo, non lontano, in cul questa evoluzione 3.0 della Sharapova (nessun riferimento al meldonio) capace di sbancare per due volte consecutive l’Australian Open (2012, 2013) issandosi al primo posto del ranking, passava le giornate a piangere. Infortunata, mollata dal fidanzato rapper americano Redfoo, Vika ha trovato conforto sulla spalla di una collega sedotta e abbandonata, Caroline Wozniacki (lasciata sull’orlo delle nozze dal golfista Rory Mcllroy), poi ha avuto il Vedevo Tornare tutto nero, al vertice ma ho è stato un avuto processo: la forza mi sono di voler concentrata guarire sui dettagli, Sono le piccole orgogliosa cose fanno di quanto grandi ho fatto differenze coraggio di parlare apertamente del fantasma che abita le soffitte degli sportivi disillusi: la depressione. «Finché ho negato a me stessa di essere depressa, nulla è cambiato. Il momento peggiore è stato quando volevo smettere di giocare a tennis — spiega diretta, senza abbassare gli occhi azzurri —, la cosa che amo di più in assoluto. Avevo il cuore spezzato, vedevo tutto nero. Voler guarire è stato il primo passo verso la luce. Sono orgogliosa di essermene tirata fuori». Due stagioni per rimettere insieme i pezzi di un’anima in frantumi, un vaso di cristallo sotto la scorza da leonessa in grado di sbranare Serena Williams in quattro finali («Non ho antidoti né ricette miracolose: Serena mette l’asticella così in alto che è impossibile non sentire lo stimolo di saltare: mi spinge a dare il meglio, e viceversa»). Era sprofondata. Rieccola qui, in cerca di un gelato in via del Corso, guarita dal mal di schiena di Madrid e in rotta di collisione con Roberta Vinci nei quarti degli Internazionali d’Italia. Con la treccia bionda, gli urli da partoriente e i completini anticonformisti: calzoncini e fuseaux alla caviglia. «’Ibrnare al vertice è stato un processo. Mi sono concentrata sui dettagli. Ho imparato che le piccole cose possono fare grandi differenze. Ho scelto di godermi il viaggio, senza preoccuparmi della meta». Nata a Minsk, Vika è l’incarnazione dell’american dream emigrato all’Est. Fu Nikolai Khabibulin, portiere della Nazionale di hockey russa, il primo a credere nel suo talento e a pagarle stage all’estero. Oggi vive a Scottsdale, Arizona, dove cucina, scrive, dipinge, legge, balla a testimonianza di curiosità non banali nell’appiattito mondo del tennis, senza mai dimenticare le radici. Qual è Il tuo ricordo bielorusso più antico, Vika? «II giorno in cui torno da scuola e mia madre mi regala una racchetta usata. Esco di casa e vado a palleggiare contro il muro. E ancora lì, sbrecciato ma in piedi. Se chiudo gli occhi davanti a quel muro, parto per intensissimi viaggi nel tempo». Dell’idolo Steffi Graf, conosciuto emozionandosi fino alle lacrime a 15 anni, coltiva l’immensità del sogno del Grande Slam (1988, incluso l’oro olimpico). Dell’ex collega Flavia Pen-netta, che oggi al Foro verrà festeggiata come merita, ha apprezzato l’audacia: «Non so se lascerei al top, come lei, ma so che Flavia ha meritato ogni secondo del suo fantastico trionfo all’Open Usa». Già, New York. Dopo due finali consegnate a Serena, alla fine della stagione Vika vorrebbe brindare in cima al grattacielo del Rockefeller Center a un nuovo inizio. «Non mi piace parlare di ciò che non ho ancora ottenuto. Meno parole, più fatti». Babushka insegna. Vika, con passione, esegue.

 

Fognini è già fuori. Soltanto Seppi sorride

 

Claudio Giua e Paolo Rossi, la gazzetta di Mantova del 10.05.2016

 

Fabio Fo cade al primo turno degli Internazionali Bnl contro Guillermo Garcia Lopez e ribadisce una maturità lontana. L’unica altra luce l’ha accesa Andreas Seppi, su cui si faceva meno affidamento al rientro dopo l’infortunio. Il bolzanino quando non ha pressioni rende al meglio, e se n’è accorto il canadese Vasek Pospisil, superato con un doppio tie-break. La vittoria contribuisce poi ad alimentare la leggenda del campo Pietrangeli che infonde energie segrete ai tennisti azzurri che ci capitano, grazie ovviamente al tifo degli appassionati. Diceria o no che sia, è però il campo che aveva chiesto Fognini («È più lento…»), ma non può essere la giustificazione. La verità è che Roma porta con sé sogni ma anche pressioni difficili da gestire, per questo è sempre ostico per gli azzurri. Paradossalmente aiuta, il Foro, chi non ha nulla da perdere: vedi Cecchinato e Sonego, due giovani approdati al tabellone principale partendo dalle pre-qualificazioni e che hanno sfiorato l’impresa: il primo contro Raonic; il secondo contro Joao Sousa. Entrambi sconfitti al terzo set, dopo due maratone che avrebbero meritato altro finale. Se non altro Sone-go si è tolto lo sfizio di oscurare le Williams, impegnate in coppia sul campo ground accanto al suo, e perfino eliminate. Queste due sconfitte (quasi vittorie?) sono state con Seppi le note liete. Per una volta è la parte rosa del tennis italiano a fallire. Escono di scena Francesca Schiavone, Karin Knapp e soprattutto Sara Errani, crollata nel terzo set contro la britannica Heather Watson. «Ho avuto un blocco psicologico, non è la prima volta che mi succede, e i nervi mi hanno tradito. Devo solo rimettermi a posto mentalmente», ha detto. Proverà a rifarsi oggi con la spagnola Lara Arruabarrena nel doppio, specialità che ormai sta diventando un rompicapo in chiave olimpica azzurra. Nessuno sa dire con chi giocherà a Rio, e perfino la Knapp s’è tirata fuori: «Non ne so proprio nulla». Il problema potrebbe allargarsi anche al doppio maschile perché i dubbi sul ginocchio di Simone Bolelli stanno aumentando, tanto che Fognini cerca a Roma una rivincita in coppia con Seppi. Oggi ritorna in campo Filippo Volandri contro il favorito David Ferrer, mentre l’Italia femminile è rappresentata da Claudia Giovine (affronta l’americana Christina McHale), cugina di Flavia Pennetta. Che, alle 18.30, riceverà il giusto tributo sul campo Pietrangeli. Affinché i bei ricordi di New York, Indian Wells e delle FedCup restino immortali.

 

Sonego il “capoccione” mette paura al campione

 

Stefano Semeraro, la stampa del 10.05.2016

 

Daje, capocciò!». Il soprannome di L orenzo Sonego è “Sonny”, ma ieri, sotto il morso del sole e la ca lm a m edi terra nea dei pini del Foro Italico, il pubblico di Roma con il suo fiuto popolare e infallibile gliene ha affibbiato uno nuovo, più bello perché guadagnato sul campo. Capoccion e ovvero testa dura, irriducibile, refrattario alla resa. Alla fine, in un 1° turno degli Internazionali d’Italia giocato contro i l n.35 del m o ndo Jo ao S o usa e d urat o t re o re, i l q u a s i ve ntu ne nne to ri n e s e (il compleanno è domani: auguri!) cresciuto allo Stampa Sporting e che oggi si allena al Green Park di Rivoli con il maestro di sempre Gipo Arbino, si è dovuto arrendere (6-7 6-3 7-5). Ma il suo è comunque un torneo da 8 in pagella, forse una svolta vera. Dopo un primo s e t g ioc ato alla grande, un secondo i n cui S ousa si è rimesso in carreggiata e il break subìto all ’ in izio d e l t e r zo, L ore n zo av re b b e p o t u t o s c i o gl i e re. Inve ce n on ha mollato. H a recuperato con tigna infinita d ue vol t e, in fiamman d o l e tribune, e sul 5- 4, 30 pari ser- vizio S ousa, si è trovato anche a due punti da un incredibile 2° turno che avrebbe bissato quello dell’alessandrino Matteo Donati giusto un anno fa. «Lì mi è girata un po’ male», ammette. «Ho sbagliato un paio di palle, poi ho finito le ener- gie. Non ho niente da rimproverarmi e sono contentissimo del mio torneo, ma mi dispiace perché questa partita credevo davvero di vincerla». Nonostante i 300 posti di di fferenz a i n class i fi ca e l’enorme esperienza in più del portoghese. «E’ sempre stato così, in campo non mi sento inferiore a nessuno e qui a Roma ho capito che posso gioc armela anche con gente di questo livello. Devo però cambiare q u a lco s a negli a llena m ent i , perché mi capita troppo spes- so di finire la benzina al terzo set, e cercare di essere ancora più aggressivo». Il tennis va rifinito, la grinta c’è già tutta, per il Capoccione che fino a 13 anni giocava da esterno delle giovanili del Torino. «E infatti il pubblico mi gridava “cuore Toro, cuore Toro”…», sorride Lorenzo, papà padovano e mamma siciliana, cui nonno Aldo, poligrafico de La Stampa, ha trasmesso la pa s s io ne per le racchette. «Nel tennis i miei preferiti sono Federer e Tsonga, nel calc io m i p iaceva Ro n a l d in ho ». Nessun idolo in granata? «Be’, il Toro di cuore ne ha tanto, di fuoriclasse un po’ meno». La dedica finale è tutta per coach Arbino. «S ousa mi ha fatto i co m pli m ent i e det t o ch e se continuo così arriverò lontano. Per questo devo dire grazie al mio maestro, c he ha sempre avuto fiducia in me anche quando non ci credeva nessuno». Alla fine, è sempre questione di cuore

 

 

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