Williams a metà. Serena sprinter, Venus si ferma (Crivelli). Federer: noi, innamorati di un’icona e del fascino dell’immortalità (Clerici). Serena a razzo in finale, ma non ritrova Venus (Marcotti). Due semifinali senza storia, non un grande spettacolo per la Duchessa di Cambridge (Merli). Bartoli, virus o anoressia? “Mi curerò in Italia” (Crivelli)

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Williams a metà. Serena sprinter, Venus si ferma (Crivelli). Federer: noi, innamorati di un’icona e del fascino dell’immortalità (Clerici). Serena a razzo in finale, ma non ritrova Venus (Marcotti). Due semifinali senza storia, non un grande spettacolo per la Duchessa di Cambridge (Merli). Bartoli, virus o anoressia? “Mi curerò in Italia” (Crivelli)

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Williams a metà. Serena sprinter, Venus si ferma (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il passato non torna. E la speranza di una finale nella famiglia Williams si interrompe sull’ennesimo dritto mancino di Angelique Kerber, che elimina Venus: Kerber, ancora lei, l’incubo di casa in questo 2016. Non ci sarà quindi la quinta sfida per il titolo dei Championships tra le sorelle e non basta la lezione inflitta in 48 minuti da Serena alla povera Vesnina (stesso tempo della semifinale fin qui più corta dell’era Open, Davenport-Stevenson del ’99), perché l’altra Williams non riuscirà mai a venire a capo della tigna della tedesca. Anche se il compendio di giornata è affidato alla sagacia di Tracy Austin, due Us Open vinti da ragazzina e oggi commentatrice e donna immagine della Wta: «Sarebbe stato bello rivederle in finale. Quando le Williams non ci saranno più, cadremo in un abisso». L’apocalisse, intanto, è quella che si abbatte sulla Vesnina, numero 50 con grandi risultati da doppista. La numero uno, che rimarrà comunque al vertice della classifica, è una macchina infernale, concede un solo punto (su 24) con la prima e riduce a sette i gratuiti a fronte di 28 vincenti. Ambizione e concentrazione per la terza finale Slam dell’anno, con l’idea ben più solida che possa finire diversamente: «Visto da fuori, è un grande risultato, penso che tutti nel mondo vorrebbero essere nella mia posizione, è un traguardo meraviglioso. A me non basta, io gioco le finali per sollevare trofei, questo è ciò che mi rende differente dagli altri. Questo è ciò che mi rende Serena». Alla tigre tornano gli artigli, graffia sulla questione del montepremi («Amico – dice a un giornalista — ti piacerebbe se ti pagassero meno del tuo collega perché il tuo articolo è più corto?») e tra i sessi in generale («Più grande atleta donna di sempre? Preferisco più grande atleta di sempre e basta») e poi allontana l’ombra della Graf e del 22° Slam, di cui andrà ancora a caccia domani: «Non è mai stato un mio traguardo, non voglio più parlarne». Che fragorosa rivincita cercherà la Williams contro la Kerber, che della tedesca più grande della storia è non solo ammiratrice, ma anche divoratrice di consigli. A Melbourne, in finale, Angelique fu perfetta, ma su questi prati dovrà esaltare ancor di più le doti difensive e trovare molto la prima di servizio per evitare l’aggressione immediata di Serena, pur con il vantaggio di non pagare più lo scotto mentale di un appuntamento così importante. Era dal 2006, con Mauresmo e Henin, che nello stesso anno non si ripeteva lo stesso epilogo in due Slam diversi (anche allora furono Australia e Wimbledon), quindi si affronteranno le più forti del momento: «Dopo Melbourne — ammette la Kerber — ho dovuto gestire gli inevitabili alti e bassi, ora ho imparato a gestire la pressione». Serena, dopo due chiacchiere con le duchesse Kate e Sophie (moglie di Edoardo), spiega come si sta da Serena: «Parlate di pressioni a me? E’ da una vita che se perdo una partita divento la prima notizia dei telegiornali». Comunque vada, preparate i titoli.

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Federer: noi, innamorati di un’icona e del fascino dell’immortalità (Gianni Clerici, La Repubblica)

Quelli come lui un tempo venivano, ancora in vita, trasferiti all’Olimpo se erano belli come lui in concorrenza con Ganimede, il coppiere, sebbene Federer osservi di essere “quasi astemio”. Ora quelli come lui sono ammirati, almeno sinché recitino ai loro massimi, interpretino cioè se stessi nel film della vita, un film pubblico. Nel domandarmi perché non scrivessi un pezzo su di lui, un pezzo simile a quelli che appaiono sui giornali di ogni paese, il mio suggeritore mi ha ricordato che Lui potrebbe arrivare alla sua dodicesima finale a Wimbledon, torneo, per i non aficionados, iniziato nel 1884. Faccio allora due passi, e dal Center Court, dove verrà accolto oggi dall’affetto generale, mi sposto al Museo del Tennis, che conserva, chissà sino a quando, i miei taccuini di scriba disordinato. Li apro, ed ecco cosa rileggo, dimentico di quanto accadde, forse per l’emozione che ancora provo nello scrivere una column, percorsa, insieme all’ammirazione, da fretta, da incertezze, da errori.

2003. Incontro al bar Sydney Wood, vincitore nel 1931, che sorride entusiasta “Spero vinca lo svizzero – mi dice – In questo tempo di muratori, gioca come una volta. Ha un rovescio tale e quale a Donald Budge“. Roger giocava contro Philippoussis, un bastione australiano. Mi copio: “Era insomma Federer a offrire a noi privilegiati spettatori un’esibizione straordinaria, e, riassumo, 9 errori contro 15 sui rimbalzi, quattordici vincenti a rete, 21 aces. Addio Philippoussis”.

2004. Il 90 per cento di noi spiritualisti, che crediamo che l’anima di Tilden si sia reincarnata, non aveva dubbi sulla vicenda che opponeva una fresca Divinità ad un americanaccio dotato di muscolatura da pugile, come Andy Roddick.

2005. E adesso cosa scrivo? mi sono chiesto, rientrando in sala stampa. Per fortuna sedevo fianco a un collega sicuramente più capace, George Vecsey, del New York Times, e leggevo, sul suo computer: “Dice Orson Welles che In Italia ci sono stati gli assassini dei Borgia, ma anche Leonardo e il Rinascimento. In Svizzera Martin Lutero, la democrazia. Avevano inventato solo l’orologio a cucù. Ma ora c’è Federer”.

2006. Per sua fortuna, le armi di Federer, sull’erba, non sono paragonabili a nessuno, tantomeno a Nadal. Nadal aveva però dalla sua recentissime vittorie su altri fondi. La resa di Rafa giungeva da una sorta di smash alla viva il parroco che pareva offendere la concezione artistica che Federer ha del gioco.

2007. Federer ha raggiunto Borg, ma che fatica con Nadal. “Te la saresti meritata anche tu, gli ha sussurrato alla fine”. C’era, in quell’affermazione, molta verità, ma ancor più umiltà.

2009. Alla fine di un match di quattro ore e 16 minuti, soffocato a tratti dall’angoscia di non riuscire a battere un avversario dominato 18 volte su 20 incontri, Roger è riuscito a farcela. Mentre, da un palco, lo applaudiva giudicandolo migliore di sé Pete Sampras, nel suo abituale fair play Roger ha indirizzato una dichiarazione a Nadal che, infortunato, gli aveva facilitato di molto il compito.

2012. Re Federer è tornato. All’inizio della vicenda, quello specialista di Djokovic si è opposto ai suoi ikebana ma non è riuscito a contrastarlo oltre un’ora e 36 minuti, quando il sommo giardiniere gli ha strappato di mano la paletta del servizio.

Mi par giusto ora, dopo che il match di ieri contro Cilic, ha reso Roger ancor più amato, chiedermi se il destino possa spingerlo a vincere un nuovo Wimbledon. Non posso non augurarmi che vinca, perché è difficile sfuggire al fascino della Immortalità, dote divina e quindi difficile da definire positivamente. Di Roger si occuperebbero allora ancor di più nuovi biografi, oltre ai cinque che hanno scritto volumi addirittura immortali su di lui. Dal primo, René Stauffer, a uno degli ultimi, Foster Wallace, al cui suicidio qualcuno afferma non sia stata estranea la consapevolezza di non poter divenire un Federer della penna. Non li ha quasi letti, Federer i suoi agiografi, ma non per presunzione. Il suo successo non gli ha certo negato umane conoscenze, ma non gli ha dato il tempo per riflettere a quanto gli altri pensano di lui. È questo il segno di qualcuno che ha evitato una accessibilissima presunzione, senza correre il rischio di cadervi. Qualcuno che ha accettato con insolita naturalezza, non dico umiltà, il dono che gli Dei avevano fatto ad un modestissimo viaggiatore di commercio in prodotti chimici, e ad una moglie incontrata in Sudafrica. Gli auguro di vincere il suo ottavo Wimbledon, e di rimanere eguale a se stesso.

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Serena a razzo in finale, ma non ritrova Venus (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)

A caccia di rivincite, all’inseguimento del record di Slam di Steffi Graf. Corre spedita Serena Williams, che ritrova nella finale dei Championships la tedesca Angelique Kerber, sua avversaria già a Melbourne. A Wimbledon non ci sarà dunque una finale in casa Williams: in un’ora e 11 minuti Venus si è arresa alla Kerber, che raggiunge così la sua prima finale sui nobili prati londinesi. Nel primo set i break sono stati protagonisti (addirittura nove in dieci game), e se lo aggiudica la 28enne di Brema, che strappa il servizio a Venere anche nel terzo game del secondo set. Un vantaggio minimo ma prezioso che Angelique riesce a difendere fino alla fine. «E’ una sensazione fantastica – le parole della tedesca – Battere Venus in semifinale qui a Wimbledon è durissima perché lei è una campionessa che ha vinto tantissimo. Sono molto contenta del mio tennis, il migliore della mia carriera. Ho fatto tesoro di quanto imparato nelle ultime stagioni». Domani troverà Serena ad attenderla. Se l’americana conduce nei precedenti 5-2, la tedesca si è aggiudicata il primo Slam di stagione, in Australia, proprio in finale contro Serena, che quattro mesi più tardi ha perso la sua seconda finale Slam consecutiva, al Roland Garros contro la spagnola Garbine Muguruza Una sorta di incantesimo nefasto iniziato con la sconfitta in semifinale lo scorso anno a New York contro Roberta Vinci. Da allora la n.1 al mondo ha vinto un solo torneo (Roma), ma è in finale a Wimbledon per la nona volta. Due sconfitte e sei vittorie: la settima le consentirebbe di eguagliare il record di Slam detenuto dalla Graf (22). «Ma al record di Steffi non ci penso. Sono più tranquilla e calma rispetto al passato, il che non vuol dire che non ho più motivazioni» spiega Serena, che ieri ha vinto con la ferocia della predatrice, liquidando in 48′ la malcapitata Elena Vesnina. Un monologo più che un match, con 11 ace dell’americana, che ha smarrito solo tre punti nei suoi turni al servizio. «Sono molto contenta e molto concentrata perché so che mi attende una sfida molto difficile. Speravo in un’altra finale contro Venus. Con Angelique non cerco vendette, voglio batterla per conquistare uno Slam. Quasi non posso crederci di essere ancora in una finale Slam, ma quest’anno non ne ho ancora vinta una».

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Due semifinali senza storia, non un grande spettacolo per la Duchessa di Cambridge (Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore)

Più che un torneo di tennis sembrava una gara di velocità. In 48 minuti, Serena Williams si è sbarazzata (6-2, 6-0) della russa Elena Vesnina; in un’ora e 12 minuti la tedesca Angelique Kerber ha battuto con un doppio 6-4 Venus Williams, mettendo fine ai timori di una finale fra le due sorelle americane. Sarebbe stata la quinta volta che disputavano il titolo a Wimbledon e i precedenti sono stati tutti deludenti per il pubblico, se non per il loro papà Richard, che si dice ne predeterminasse il risultato. Nei tornei dello Slam Venus e Serena hanno giocato una contro l’altra 27 volte in tutto e nessuna è stata un’occasione memorabile.

Insomma, in due ore in tutto di gioco sul Centre Court si sono esaurite le due semifinali del singolare femminile. Non un grande spettacolo per Kate Middleton, la duchessa di Cambridge e moglie del principe William, che in abito giallo aveva preso il posto che le compete nella prima fila del Royal Box insieme a una dama di compagnia. Può darsi che, alla fine della giornata, il momento più divertente per la duchessa sia stato ancor prima delle partite, quando le hanno presentato una fila di tennisti di media fama che le risultavano del tutto sconosciuti, e con i quali ha abbozzato un sorriso splendente, ma di circostanza. Finalmente ha individuato un volto noto. «Lo so chi è lei, è l’allenatore di Andy Murray», ha detto, provocando la prima risata degli ultimi trent’anni sul volto abitualmente cupo di Ivan Lendl, il quale le ha cortesemente ricordato che lui a Wimbledon ci ha pure giocato un paio di finali (e non ha aggiunto, per rispetto di Sua Altezza, che le due sconfitte non le ha ancora digerite).

In campo, l’incontro fra Serena e la Vesnina è stato più che altro un allenamento senza neppure sudare troppo per la numero uno del mondo. L’altra semifinale ha avuto un andamento strano: nel primo set è bastato alla Kerber tenere il servizio una volta per aggiudicarselo, nel secondo le è stato sufficiente strappare la battuta all’avversaria una sola volta. La verità è che Venus ha avuto un eccellente Wimbledon e resta una bella atleta, ma ha 36 anni e un fisico minato da 5 anni dalla sindrome di Sjogren, che colpisce il sistema immunitario e l’affatica più del dovuto. Quando le gambe e le braccia si sono appesantite, scambiarsi botte con un’avversaria di otto anni più giovane non è più stato possibile.

La Kerber, numero 4 del ranking mondiale, rappresenta una sfida interessante per Serena nella finale di sabato. Ha sconfitto l’americana nel loro ultimo confronto, in finale agli Australian Open di quest’anno. C’è la speranza insomma che non si tratti di un’altra partita a senso unico. Ben altre aspettative ci sono per le due semifinali maschili di domani, quando Roger Federer affronterà il bombardiere canadese Milos Raonic, unico sopravvissuto di una nouvelle vague che manca di convinzione e forse di talento, e Andy Murray se la vedrà con il ceco Tomas Berdych, perenne comprimario. La finale dei sogni per il pubblico del Centre Court è Federer-Murray, ma non è detto che si avveri, in questo torneo delle sorprese. Allora bisognerà dividersi, fra il cuore e la bandiera.

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Bartoli, virus o anoressia? “Mi curerò in Italia” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Finalmente la verità. E fa male. Marion Bartoli è malata: «Ho un virus che mi impedisce di mangiare». Dunque dietro il suo eccessivo dimagrimento, da mesi oggetto di illazioni sui social, non c’era la dieta senza sale, glutine, latticini e alcol, come la vincitrice di Wimbledon 2013 ha sempre sostenuto. Ma un problema ben più grave, che ora la spaventa, tanto che dopo Wimbledon si farà ricoverare in Italia in una clinica specializzata per accertamenti. Era dall’apparizione al Roland Garros il mese scorso, quando lasciò smarriti per quel corpo emaciato e sofferente, che si rincorrevano voci sui possibili disordini alimentari dell’ex giocatrice francese, diminuita più di 20 chili dal trionfo ai Championships di tre anni fa. Poi, qui a Londra, il caso esplode all’inizio di questa settimana, quando gli organizzatori decidono di escluderla dal torneo di doppio delle Leggende per «ragioni mediche». Una scelta apparentemente senza senso, come avrebbe lasciato trapelare Marion ai giornali inglesi, ripetendo come la solita litania del ritorno a un’alimentazione sana come unica causa della perdita di peso. Evidentemente, si trattava di un nodo troppo ingarbugliato per tenerlo dentro un giorno di più. E allora Marion si confessa, prima a un settimanale del suo Paese e poi dagli schermi di Itv. Una drammatica rivelazione in diretta: «A inizio anno, probabilmente nel corso di un lungo viaggio tra Australia, Stati Uniti e India, ho contratto un virus sconosciuto. Ho paura, ho sempre la tachicardia, freddo e temo che il mio cuore possa fermarsi da un momento all’altro. Sto vivendo un incubo, questo non è vivere, ma sopravvivere. Posso mangiare solo lattuga e cetrioli senza buccia, posso lavarmi solo con acqua minerale, non posso rimanere a contatto per più di cinque minuti con congegni elettronici e quando tocco il telefonino devo indossare i guanti». Sulla decisione di escluderla dal torneo: «Li rispetto, dispiace perché giocare mi avrebbe fatto bene dal punto di vista mentale. Gli esami del sangue, com’è prevedibile, non sono buoni, a fine torneo andrò in Italia a curarmi». La Bartoli, che da giocatrice aveva suscitato ammirazione proprio perché era riuscita a convivere con un fisico non certo atletico, si ritirò nell’agosto del 2013, 5 settimane dopo il trionfo a sorpresa a Wimbledon. Qualcuno ci aveva visto la liberazione dal giogo di un padre ossessivo, e lei si è dedicata alla creazione di abiti e gioielli e ai commenti in tv. Da alcuni mesi, però, il dimagrimento eccessivo (ora pesa 47 chili) aveva suscitato dubbi, tanto che la stampa francese parla apertamente di anoressia e l’ex collega Fusai ha manifestato preoccupazione: «Abbiamo provato ad aiutarla, a parlarle. Vorremmo farle prendere coscienza di quel che sta accadendo. Ha un problema e ha bisogno di essere aiutata da un medico». Coraggio Marion, stavolta tutti sono dalla tua parte.

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