Magia del Potro, battuto Murray, Argentina in volo (Crivelli). Del Potro ha "imparato" dalla Vinci e batte Murray nel match dell'anno (Valesio)

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Magia del Potro, battuto Murray, Argentina in volo (Crivelli). Del Potro ha “imparato” dalla Vinci e batte Murray nel match dell’anno (Valesio)

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Magia del Potro, battuto Murray, Argentina in volo (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Una battaglia, un eroe. E gli ultimi dubbi che evaporano quando il 19° ace di Palto chiude cinque ore e sette minuti di una partita palpitante, intensa, straordinaria per pathos e qualità del gioco: Del Potro è tornato. Definitivamente. SERVIZIO E DRITTO C’erano stati, è vero, i successi su Wawrinka a Wimbledon e poi quelli olimpici su Djokovic e Nadal, però il trionfo contro Murray nella semifinale di Davis, a questo punto il match dell’anno, è il più importante della carriera di Delpo dopo la vittoria Slam a New York nel 2009. Non solo perché segna la roboante rivincita della finale di Rio, ma anche perché maturato in Scozia, nella tana più confortevole per il nemico (Muzza non aveva mai perso in casa in Coppa e veniva da 14 successi consecutivi all inclusive) e con uno sforzo fisico e mentale sostenibile solo da un fenomeno (per tutti e due, è stata la partita più lunga mai giocata). Una sfida tremenda e bellissima, semplice ma splendida nel suo progredire didascalico: hanno deciso il servizio e il dritto. Al numero due del mondo non sono bastati 35 ace, in parte vanificati dalla scarsa percentuale di prime (52%), mentre la Torre di Tandil ne ha messi appunto 19 ma con il 71%. Soprattutto, la battuta ha spesso tolto entrambi dai guai nei momenti delicati, in particolare l’argentino, capace di annullare 14 delle 20 palle break concesse. Poi c’è stato lo show del dritto, il marchio di fabbrica, 26 vincenti a 24 per Delpo, magnificamente lucido nel non perdere calma, concentrazione e stimoli dopo un terzo set in cui, avanti 5-3, è stato rimontato e poi battuto al tie break da un Murray furioso per una mancata chiamata arbitrale (aveva smesso di giocare aspettando un out mai arrivato, consentendo all’avversario di fare il break). Juan Martin, che ora è 6-3 sotto nei confronti diretti, non giocava un singolare in Davis dal 2012 e non poteva scegliere occasione migliore per gustare di nuovo il piacere di un duello testa a testa. In due mesi, così, ha battuto il numero uno, due e quattro del mondo: «Ho vinto, ma il ricordo della sconfitta a Rio è ancora fresco: contro Andy, non sai mai quando la partita finirà. Alla fine, ho messo dei buoni servizi e dei buoni dritti, ed è stata la chiave. Sono così contento di poter giocare a tennis a questi livelli dopo le tre operazioni, sono questi i momenti che mi mancavano quando ero triste sul divano di casa». Poi Pella completa la festa: Edmund k.o. e finale vicinissima. L’ALTRA SEMIFINALE Nell’altra semifinale, parità tra Croazia e Francia, con Gasquet ultimo arrivato (convocato solo mercoledì per il no dell’infortunato Monfils) a impartire lezioni di rovescio a Coric, mai in partita, e Cilic travolgente contro la rivelazione degli Us Open Pouille, incapace di opporsi, se non nel terzo set, al gioco tutto d’attacco del nativo di Medjugorje. Doppio quasi decisivo, i numeri uno di stagione Herbert e Mahut sono favoriti ma Dodig e Cilic nei quarti hanno battuto i Bryan. Nei playoff per il Gruppo Mondiale, delusione indiana non tanto per il prevedibile risultato a favore della Spagna, quanto per l’improvviso forfait di Nadal, che non ha giocato (e non giocherà) per una gastroenterite fulminante. E dire che per vederlo, a New Delhi si entrava gratis. Maledetto mal di pancia.

 

Del Potro ha “imparato” dalla Vinci e batte Murray nel match dell’anno (Piero Valesio, Il Corriere dello Sport)

Come Roberta Vinci, avete letto bene. Non è un assurdo tecnico ma la dimostrazione di come (Zanardi docet) si possa trasformare una situazione di grave difficoltà in una straordinaria opportunità. Juan Martin Del Potro, l’uomo che sta restituendo al tennis una parte di quel pathos e di quella spettacolarità anche emotiva che la dittatura di Djokovic e Murray aveva tolto, ha dovuto modificare profondamente l’esecuzione del suo rovescio dopo gli interventi al polso sinistro cui ha dovuto sottoporsi. Non che non tiri più la randellata bimane: ma la centellina a vantaggio di una rovescio slice ad una mano che pare le versione potenziata di quello di Roberta Nostra che Il Signur ce la conservi a lungo. Quel colpo, che tocca terra ma non salta, spesso schizza via e quando è un po’ meno arrotato è comunque profondo e di difficilissima gestione, ha spedito in manicomio AndyMurray che pure già l’aveva assaggiato un mese fa durante la finale olimpica. In quell’occasione, lo ricorderete, Del Potro era stato egualmente pazzesco ma alla fine si era arreso alla potenza fisica e nell’occasione pure mentale, del brit. Ieri DelPo ha costruito attorno a quel colpo così poco delpoliano un successo straordinario che ha trasmesso a tutti coloro che hanno avuto tempo e modi di assistervi quel gusto epico di cui si era quasi perduta memoria. Il giocatore reduce comunque da un lungo stop che va sotto due set a uno, rema come un disperato, non si lascia deprimere dalle palle corte perfide dell’avversario accetta senza colpo ferire che Muzza gli detti il gioco girandolo sempre sul rovescio: e proprio da quella posizione, la stessa che è costata a Federer un alto numero di sconfitte contro Nadal, prende le redini del match e costruisce il suo successo. Un successo dietro il quale c’è certo quell’aura magica che la Davis sa ancora creare (ci pensino tutti coloro che vogliono trasformarla in una sorta di Hopman Cup) ma soprattutto la lucida follia di un giocatore che aveva visto la possibilità di continuare a svolgere il lavoro che più ama (giocare a tennis) allontanarsi e l’ha invece ripresa per i capelli, diventando o la speranza in carne e ossa di tutti quelli che non desiderano non solo che i match si allunghino nel tempo; ma anche che quel tempo sia occupato da spettacolo vero.

 

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