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Il numero 1 del mondo è teso e nervoso perché fiuta la grande occasione. Ma è solo questo ad inquietare Novak Djokovic vicino a completare il suo palmares? La risposta forse l’aveva Ludovico Ariosto
PARIGI – C’è una strana atmosfera che regna su Parigi, una eco sinistra che parte dal forfait di Roger Federer e attraversa i campi zuppi di pioggia di Bois de Boulogne per arrivare all’inquietante ritiro di Rafa Nadal.
Novak Djokovic è qui, forte del suo dominio, libero dalle presenze ingombranti di quei due, dell’incantatore di serpenti e del guerriero indomito. Eppure è furioso, cupo e inquieto. Tutto dovrebbe essere perfetto, tutti dovrebbero essere pronti a cantarne le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese che in Francia nocquer tanto.
E invece no, pare quasi che di questo torneo se ne possa fare a meno. Senza quelli lì resta giusto il Don Chisciotte Gasquet ad aizzare ancora le patrie folle, ma del resto in attesa che i giovani virgulti escano dal guscio, tutto deve andare come deve andare. E quando il fato sarà compiuto, sarà accettato come un’ineluttabile normalità.
Ma poiché è un insulto agli dei parlare di normalità per uno che sta vincendo l’invincibile come Nole, in India, in Media, in Tartaria lasciato avea infiniti ed immortal trofei, il rischio è quello di perdere la testa. Di impazzire per quelle audaci imprese sminuite dai più, di infuriarsi per quello amor sempre negato e sempre rivolto a quel Ruggier, che fu di voi e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio l’alto valore e’ chiari gesti suoi e al Re che nonostante le nove conquiste battersi ancor del folle ardir la guancia, d’aver spinta la Spagna inante a destruzion del bel regno di Francia.
E quell’amore sempre negato al prode Nole, rischia di trasformarsi in odio per quei campi di battaglia che già avevano respinto cavalieri arditi come Pete il Greco o Stefan il Vichingo. Facendogli anche smarrire il vero obiettivo e prendendo ad inveire contro umili avversari, folla ululante e arbitri pignoli.
Eppure c’è chi giura che cotanta ira sia da imputare ad altro, alla notte che scende, al freddo, alla pioggia e ai nuovi nemici che si stagliano all’orizzonte dal guerriero gaelico e dal vassallo svizzero del Ruggier.
Ma il prode così andando può finir come Orlando che per amor (negato) venne in furore e matto, d’uom che sì saggio era stimato prima e tra una rima e un verso, un rovescio e un pugno arrivò quivi a punto: ma tosto si pentì d’esservi giunto.