Quest’anno a Stoccarda Siegemund è riuscita a proporre quel tipo di tennis solo a sprazzi, ad esempio all’inizio dei match contro Halep e Mladenovic. Ma dopo alcuni game mi è sembrato che mentalmente non fosse più così reattiva per insistere con buoni risultati con la stessa impostazione; e allora, di fronte alle prime difficoltà e alla rimonta della avversarie, Laura ha deciso di giocare in modo meno complesso. Sia chiaro: stiamo sempre parlando di un tennis molto vario e articolato, sostenuto, fra l’altro, da colpi di volo sopra alla media; ma comunque più semplice rispetto a quello del 2016.
E così ha fatto ricorso con una certa frequenza a schemi “standard”: ad esempio palleggi condotti sulla diagonale sinistra con l’obiettivo di liberare lo spazio per il vincente di rovescio lungolinea (il suo colpo da fondo più incisivo). Oppure scambi basati sulla profondità in attesa del momento giusto per sfoderare il drop-shot, probabilmente l’arma più pericolosa del suo repertorio.
Soluzioni pregevoli, ma più codificate rispetto all’assoluta inventiva del 2016. Anche il serve&volley, come arma per destabilizzare le certezze delle avversarie in risposta, è diventato sostanzialmente un ricordo.
Ma se il suo gioco è diventato più prevedibile, come mai quest’anno Siegemund ha vinto il torneo mentre nel 2016 aveva perso nettamente (6-4, 6-0) in finale? Intanto non possiamo sapere come sarebbero andate le cose se avesse di nuovo trovato la Kerber in versione 2016, capace di raggiungere tre finali Slam, vincerne due (più altri tornei) e diventare numero uno del mondo.
Ma un’altra risposta potrebbe essere che questo tennis meno creativo è più facile da sostenere e, ahimè, garantisce maggiore efficienza e solidità di risultati. Probabilmente in questo modo si tagliano i picchi di rendimento verso l’alto ma soprattutto verso il basso, e quindi mediamente si ottiene di più. Cito ancora dall’articolo dell’anno scorso: “(…) senza appoggiarsi alla routine e a uno spartito preparato, diventa mentalmente molto difficile mantenere la qualità necessaria per vincere. E nell’attuale faticoso circuito WTA, la routine è anche un appiglio al quale attaccarsi per portare a casa match nelle giornate in cui si ha meno voglia o ispirazione”.
E infatti quest’anno, per vincere contro Halep e Mladenovic, Siegemund ha in parte spostato il confronto dal terreno tecnico-tattico a quello agonistico. Anche in questo diventando una tennista meno speciale; ci sono infatti molte giocatrici dal carattere tenace e aggressivo. Laura lo ha mostrato ad esempio spingendosi al limite con i tempi di ripresa tra un punto e l’altro, tanto da ricevere warning dai giudici di sedia. È accaduto sia in semifinale contro Halep (con Kader Nouni come arbitro) sia in finale contro Mladenovic, con Mariana Alves come giudice di sedia. Addirittura Alves le ha inflitto due volte il warning, che ha significato per Siegemund perdere un quindici proprio nel game del 5-4, quando era andata a servire per il match.
È piuttosto raro che si arrivi a una penalizzazione del genere, e ancora più raro in uno dei passaggi decisivi della partita di finale. Personalmente ho il dubbio che se questo accade è perché ci sono dei precedenti sui quali i giudici di sedia riflettono (e non escludo li discutano fra loro) decidendo di essere più intransigenti nei confronti di chi in passato ha dato l’impressione di abusare di alcuni comportamenti.
La mia sensazione è che Siegemund si sia fatta la nomea di tennista che si comporta sul filo del regolamento; non solo con i tempi di ripresa, ma anche con i Medical Time Out, che tende a chiamare nei momenti in cui sente che il match le sta sfuggendo di mano. Lo aveva fatto durante la finale dello scorso anno a Stoccarda (e Kerber aveva reagito con sorrisi ironici inequivocabili), ma lo ha ripetuto altre volte, come ad esempio nella semifinale di Charleston contro Daria Kasatkina. In quel caso aveva preteso di fermarsi senza aspettare il cambio di campo, quasi estorcendo il MTO, in una fase in cui sembrava che il match fosse definitivamente indirizzato (sul 3-6, 6-2, 4-0 servizio Kasatkina, che poi avrebbe comunque chiuso 6-1).
I giudici di sedia possono farsi cogliere impreparati da alcuni atteggiamenti inattesi, ma se poi le situazioni si ripetono non sorprende che si irrigidiscano nell’applicazione del regolamento.
In sintesi: a Stoccarda, a distanza di dodici mesi, abbiamo ritrovato una Siegemund più vincente (nel 2016 aveva perso la finale), ma anche un po’ più normale. Certo non del tutto omologata, ma comunque meno creativa e meno fuori dagli schemi rispetto al 2016. Più lottatrice, e forse anche più concreta, però meno imprevedibile.
E lo si era notato anche nei tornei precedenti. Tanto che, a mio avviso, la finale con Mladenovic l’ha vinta soprattutto sul piano caratteriale, quando è riuscita a rimanere lucida e a non farsi abbattere in due momenti cruciali: in occasione del penalty point ricevuto sul 5-4 terzo set, e quando si è ritrovata sotto 1-4 al tiebreak decisivo.
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