Nadal inizia la caccia affila corona del Roland Garros (Piccardi), Berrettini, la prima perla negli Slam (Azzolini, Crivelli, Clemente), Quando il Maggio francese impedì ai tennisti di giocare (Rossi), Parola a Denis (Semeraro), Ostapenko? La regina cede lo scettro del Roland Garros (Vidovich)

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Nadal inizia la caccia affila corona del Roland Garros (Piccardi), Berrettini, la prima perla negli Slam (Azzolini, Crivelli, Clemente), Quando il Maggio francese impedì ai tennisti di giocare (Rossi), Parola a Denis (Semeraro), Ostapenko? La regina cede lo scettro del Roland Garros (Vidovich)

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Rassegna stampa a cura di Daniele Flavi

 

Nadal inizia la caccia affila corona del Roland Garros

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 28.05.2018

 

La fortuna, dice. Il niño, che si presenta a Parigi come n. 1 del mondo (non succedeva dal 2014, successo contro Djokovic, quello vero), non si lamenta con l’azzurro ha vinto cinque volte in carriera: non poteva desiderare partenza più morbida verso la conquista dell’11^ corona del Roland Garros. Le stelle, sopra la Senna, sembrano allinearsi per favorire l’ennesimo record del mancino di Manacor: la manina di Gabriella Papadakis, pattinatrice oro mondiale, ha sorteggiato i principali pericoli dall’altra parte del tabellone, dando vita a un campo minato che Nadal osserverà da lontano, al sicuro. I Next Gen più bollenti sulla terra infatti, Alexander Zverev re di Madrid e finalista a Roma, e quel Dominick Thiem che è stato l’ultimo a battere per due volte Rafa sul rosso (Roma 2017 e Madrid 2018), sono in rotta di collisione insieme a due vecchie glorie diventate oggetti volanti non identificati: Novak Djokovic in cerca del vero se stesso e Stan Wawrinka alla caccia del rovescio da videogioco che gli permise di marchiare a fuoco Parigi soi5. «Sono fiero della mia longevità» confida Nadal a chi gli chiede come abbia fatto a perdere solo da Soderling sulla rive gauche dal 20o5. Parigi ama Rafa riamata follemente. Non si vede chi possa stopparlo se non una versione 3.o (quella in circolazione attualmente non basta) di Zverev o Thiem. Se il campione in carica debutta oggi, la reginetta bambina dell’anno scorso è già a casa. Sovrastata dalla pressione, Jelena Ostapenko lascia il trono a chi abbia voglia di occuparlo tra due settimane….

 

Berrettini va di fretta

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 28.05.2018

 

Quasi maturo. Molto intelligente. Umile quanto basta. Uno che impara in fretta. Felicemente saltellando fra stima, rispetto e quella generosità che nasce da un percorso comune, coach Santopadre – «non avrai altro coach all’infuori di me» – presenta il miglior prodotto del nostro tennis giovane in quattro riquadri dipinti con grande affetto, pennellate amorevoli nei riguardi di un ragazzo (a 22 anni, chi non lo è, anche se fa il tennista?) che ha voglia di crescere in fretta, «certo, con tutta la fretta che è tipica di un giovane» dice Santopadre, ma ha due qualità che forse potranno evitargli le lunghe attese, i ripensamenti, e di imboccare qualche strada sbagliata, con l’obbligo di ricominciare tutto da capo. «Sta a sentire, e ha voglia di mettere in pratica e di fare suoi i suggerimenti che gli vengono dati». Cosa, Matteo Berrettini cresce, già maturo e intelligente da capire quale sia il percorso praticabile, umile quanto basta «ché troppo non va bene per un tennista che voglia arrivare in alto», e avido di imparare. E giunge al primo piano di un grattacielo che è tutto da scalare, dove non ci sono ascensori per evitare le rampe più faticose. La prima vittoria in un torneo del Grande Slam, tabellone principale s’intende. Tappa obbligata per cogliere appieno le difficoltà che impone il tennis fuori dalla bambagia del mondo juniores, lontano dalle carezze dei circoli dove tutti ti sostengono a prescindere, e dalle amorevoli cure di chi ti vuol bene. Tappa di montagna, anche se l’avversario non è di gran nome, anzi, è di nome decisamente strambo, Oscar Otte, tedesco, molto alto, buon corridore nonostante le leve sin troppo lunghe, con un passato nei challenger e pochissime avventure nel circuito che conta. Avversario tosto perché vuole le stesse cose che vuole Berrettini, anzi, le vuole con quel pizzico di disperazione in più di chi non ce l’ha fatta a ottenerle alla giusta età Che è quella di Matteo, da poco ventiduenne, mentre Oscar è del 1993. «Curioso», fa Matteo, che ancora affronta le conferenze stampa con la voglia di raccontarsi, «tutto sembra normale, poi in campo ti ritrovi le gambe che pesano come fossero di ghisa. E il cuore che batte. E i pensieri che si mettono di traverso». Èil tennis, baby. Alzi la manchi non l’ha provato. Meglio, alzi la mano chi non si è trovato, almeno una volta, a battersi contro se stesso, per rimettersi in carreggiata, o ritrovare la giusta dimensione. Matteo l’ha fatto, e ha impiegato un set, puntualmente consegnato al tedesco. LI ha scaricato la tensione, e di fronte all’urgenza di non commettere un secondo errore, è entrato coi piedi in campo e ha cambiato la partita. Li, Matteo è tornato Berrettini. «Sono ancora apprendista, mi piace imparare, ascoltare i consigli che Santopadre e Fretta quando è possibile Riarma, hanno da darmi. Li metto in pratica, mi faccio un’idea e se posso cerco di dare una mia impronta ai colpi. Credo di essere migliorato negli aspetti deboli del mio gioco, che è tutto servizio e dritta Dunque nella risposta, e ovviamente nel rovescio, sul quale mi sento sempre più sicuro. Non mi servirà mai per fare grandi punti, ma la tenuta è indispensabile al resto del mio gioca». Con Otte è stata la risposta a crescere nel corso dei set. Servizio e dritto hanno fatto il resto. Violenti e sempre molto ben piazzati. Perso il primo, Berrettini ha tenuto il pallino del gioco e il quarto l’ha vinto a mani basse. La prima volta al secondo turno di uno Slam. La prima oltre il terzo set, Matteo non aveva mai giocato sulla lunga distanza. Serviranno contro Gulbis, o Muller, che saranno il prossimo ostacolo da scalare. «Li conosco, ma ovviamente non ci ho mai giocata Muller è mancino, ha un gran servizio, ma da fondo qualcosa ti dà. Gulbis è imprevedibile, se è in giornata non è facile per nessuno, neanche per i più forti». Già, quelli «che stanno lassù», li definisce Matteo. Prima o poi se li troverà di fronte.

 

Berretti, la prima perla nello Slam

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 28.05.2018

 

A Parigi fa caldo, molto caldo. Fino a 30 gradi. Perciò la neve dovrebbe rappresentare l’ultimo dei problemi per la città e Berrettini. Quando Matteo a febbraio conquistò il Challenger di Bergamo, il giorno dopo a Roma, casa sua, ne caddero 10 cm e lui si ritrovò a scherzare sulla coincidenza: «Mi capita così poco di vincere che ho perfino fatto nevicare». LA CRESCITA Ebbene, impari presto a gestire i successi e le relative conseguenze sul meteo, perché le previsioni sembrano volgere al bello stabile e solo il cielo sa quanto se ne senta il bisogno, per adesso e per un domani finalmente marchiato dai giovani leoni. Intanto, Berrettini varca una nuova soglia, preziosa per l’enorme ricaduta mentale che porterà con sé, ottenendo sulla terra francese la prima vittoria in uno Slam, dopo il debutto da lucky loser e sconfitta immediata contro Mannarino in Australia. Al Roland Garros, il romano ci è arrivato per classifica diretta (attualmente è numero 96), e questo è già il timbro su una crescita non urlata, ma costante e non così scontata appena venti mesi fa, quando Matteo galleggiava con fatica al numero 883 del mondo dopo un infortunio piuttosto serio al ginocchio sinistro. Durante la pausa forzata, coach Santopadre all’Aniene lo aveva fatto allenare con i bambini, per evitare che si deprimesse e per fargli comprendere l’essenza del tennis, che in fondo deve essere un divertimento disinteressato. E lui è ripartito dal basso, dai Challenger improbabili per vitto e alloggio, ha smaltito la delusione di Milano, quando ha perso il torneo interno di qualificazione alle Next Gen Finals e poi a Doha, in gennaio, ha vinto la prima partita Atp in carriera, rendendosi conto che il livello del piano superiore non era poi così distante. Con i punti di Bergamo, nevicata a parte, si è ritrovato per la prima volta nei 100, più giovane italiano a raggiungere l’obiettivo dai tempi di Fognini e adesso il numero 95 di marzo, miglior ranking fin qui, sarà polverizzato. Il primo passo lo compie contro il tedesco Otte, 157 Atp e mai meglio di 129, perdente ripescato delle qualificazioni e domato senza patemi dopo un set iniziale comprensibilmente un po’ molle, grazie a una migliorata lettura del servizio altrui e a quei dritti alti e profondi che il tifoso del Colonia non digerisce, finendo spesso contro i teloni e subendo alla fine 24 vincenti con quel colpo. Un avversario malleabile, certo, ma Berrettini gli toglie il respiro non appena si leva di dosso il peso della tensione: «Nel primo set non sono stato brillante, avevo mille pensieri per la testa e ho fatto un po’ di confusione. Ma quando ho trovato la chiave con la risposta, secondo me la parte del gioco dove sono migliorato di più negli ultimi mesi, mi sono rimesso in carreggiata. La preoccupazione più grande prima del match era sapere gestire i tre set su cinque sulla terra, mentre l’ambiente o l’importanza del torneo non li avvertivo come un peso. A essere sincero mi sono tremate molto di più le gambe a Roma, perché è la mia città»…..

 

Berrettini continua la sua scalata

 

Valentina Clemente, il corriere dello sport del 28.05.2018

 

I sogni sono fatti per essere cos-truitl, materializzati, vissuti e ieri Matteo Berrettini con la vittoria su Oscar Otte (3-6 7-5 6-2 6-1), la sua prima in uno Slam, ha messo un nuovo punto fermo nella sua carriera da pro’. Il 22enne romano ha ammesso che la terra del Roland Garros l’ha emozionato comunque meno di quella di Roma, sua città natale, e questo l’ha aiutato senza dubbio a raddrizzare una partita che, anche se non era iniziata nel migliore dei modi, alla fine gli ha dato più di una semplice soddisfazione. «Questo è il primo Slam in cui entro in tabellone senza «Prima del sorteggio volevo solo evitare Nadal» passare dalle qualificazioni, prima volta tre set su cinque sulla terra, un’esperienza interessante e importante. Per me era la prima, sono partito in maniera un po’ confusa, avevo tanti pensieri in testa e questo non mi ha permesso di concentrarmi a dovere, ma sono stato bravo a reagire, a ritrovare i miei colpi e renderti più ordinati. Alla fine sono riuscito a prendere il mano la partita nel secondo set, quando sono riuscito a portare a casa il break e sono andato via». Fondamentale è stato trovare quella continuità nel gioco su cui Berrettini ha lavorato tanto nell’ultimo periodo, in modo da poter elevare la qualità degli scambi». Quando arrivi a questi livelli è necessario fare il salto di qualità [osto cercando d’imparare dal campo e ogni occasione è importantissima. In campo contro Otte faceva caldo, all’inizio le palle scappavano via veloci, quindi c’è voluto un po’ per trovare le misure al mio avversario ealla situazione che stavo vivendo ero curioso di sapere come mi sarei comportato sui cinque set dopo l’esperienza in Australia». Seguito da Vincenzo Santopadre, in collaborazione con Umberto Rianna, Matteo è un ragazzo con i piedi per terra, ma rispetto ad altri coetanei sembra avere una marcia in più per l’approccio al lavoro quotidiano. «In generale sono un ragazzo curioso, cerco sempre di seguire i consigli delle persone di cui mi fido: Vincenzo è un tipo particolare, come allenatore a volte mi porta a situazioni estreme, ma a me piace provare. Poi, se vedo che la tecnica non porta frutti, cerco di cambiare: lavoriamo bene insieme»….

 

Quando il Maggio francese impedì ai tennisti di giocare

 

Paolo Rossi, la repubblica del 28.05.2018

 

Maggio 2018, il giudice di sedia James Keothavong ammonisce il pubblico: «Vi preghiamo di tenere i telefonini spenti, per non disturbare i giocatori». Maggio 1968, un altro giudice di sedia – Jacques Dorfmann – intonava tutt’altra richiesta, stanco del brusio sempre più incalzante: «Vi preghiamo di abbassare il volume delle radio». Era tutto un altro Roland Garros, quello di 50 anni fa: il primo Slam dell’Era Open, ma anche quello in pieno Maggio francese: i comitati studenteschi, le sassaiole, i Campi Elisi invasi, le vetture incendiate, gli scioperi generali. Eppure il torneo francese sopravvisse: «Alla fine fu un successo di pubblico. La gente veniva al Bois de Boulogne perché non aveva nulla da fare, visto che la vita della città era paralizzata». Lo ricorda l’unico italiano presente, Sergio Palmieri. In tabellone c’erano anche Nicola Pietrangeli e Sergio Tacchini, ma non si presentarono. Perché? «Attesero troppo e non riuscirono più a trovare mezzi di trasporto per Parigi». Sergio Palmieri perse al primo turno con il sudafricano Maud. «Cercai di evitare situazioni complicate, una sera non potei fare a meno di andare ai Campi Elisi, dove c’era il mio ristorante preferito, Pizza Pina, che piacque anche a Lendl poi: la rabbia della gente metteva paura». Rosewall vinse su quel Laver che l’anno successivo avrebbe rifatto il Grande Slam del ’62. Come fecero a presentarsi in tempo? «Semplice: erano già in Europa, e si spostarono con mezzi propri. Come feci io, peraltro: io fui l’unico italiano presente. Grazie all’amore. Avevo una liason con una giocatrice belga, mi trovavo a casa sua. Ne parlammo, e io proposi di prendere una macchina. Il Roland Garros era pieno, ma si sentiva che mancava quella scintilla di spensieratezza». Non si presentò neppure il ceco Jan Kodes, per lo stesso motivo di Pietrangeli. Anche la sua Praga stava vivendo una Primavera. «Mia madre», racconta «mi svegliò alle quattro di mattina per dirmi che c’erano i carri armati. Voce di popolo voleva che fossero stati i nostri governanti a chiedere l’intervento russo per “normalizzare”. A me, campione internazionale, non crearono problemi. Ma a tanti giovani che avrebbero potuto emergere sì». Cinquant’anni dopo, sono storie dal sapore vintage.

 

Il tennis fa la guerra all’asciugamano (e a Nadal)

 

Marco Lombardo, il giornale del 28.05.2018

 

Nella guerra tra il tennis e l’asciugamano è entrata in campo una spada di Damocle che pende sopra la testa dei giocatori. In pratica al Roland Garros da quest’anno succede che gli organizzatori hanno cominciato a tagliare le partite: per ora dalle qualificazioni, ma la minaccia per il prossimo futuro è che valga per tutti. Per i vertici mondiali gli spettatori stanno cominciando ad annoiarsi e in tutto questo entra in campo l’asciugamano, appunto: una vera coperta di Linus che i tennisti si portano appresso – dicono loro – per asciugarsi. Ma la domanda è: asciugarsi da cosa? La scena in effetti a volte è a dir poco esilarante: parte l’incontro, primo colpo, ace, strofinata. E dopo secondo colpo pure. Così, per evitare inutili maratone, ecco spuntato nel prologo di Parigi un cronometro in bella vista che fa il conto alla rovescia, da 25 secondi a zero, tra un servizio e l’altro. E chi non lo rispetta perde il punto. Il caso asciugamano è dunque deflagrato e in realtà l’oggetto ormai serve più per pensare che per rimediare al caldo. Goran Ivanisevic, grande ex con la lingua lunga, ha più volte espresso il suo parere: «Noi avevamo segatura, polsino e fascia in testa. Adesso arrivano in campo e sono lì ogni due secondi con ‘sto tovaglione fradicio in mano. Che schifo». Il vero problema però è un altro: l’asciugamano, oltre alla perdita di tempo, è diventato sinonimo di maleducazione. Un paio d’anni fa, per esempio, a Wimbledon perfino Novak Djokovic aveva maltrattato una raccattapalle fino alle lacrime perché non gli aveva passato il tergisudore con la dovuta celerità. E l’abitudine è andata estendendosi, con lanci in malo modo verso i ragazzi a bordo campo e giustificazioni più o meno plausibili. II francese Gael Monfils, che tra l’altro secondo i ball boys del circuito pare sia l’unico a ringraziare ogni volta che gli viene passato l’asciugamano, ha affermato che gli è necessario «perché sono nero e sudo più degli altri». Fatto sta che anche ieri, primo giorno dello Slam parigino, le lavanderie hanno avuto il loro daffare. E i raccattapalle pure. Perché anche quelli del Roland Garros ormai fanno la figura dei maggiordomi. Soprattutto nei match di Rafa Nadal (alla caccia dell’undicesimo titolo, esordirà oggi contro Bolelli), re anche nella esasperante routine: un asciugamano e destra e uno a sinistra a fondo campo e poi il rito di passarserlo su braccio-faccia-orecchio-faccia-altro orecchio ad ogni colpo. Se poi ci mettiamo quello che fa prima di servire, passa un minuto buono. Pensando (anche, ma molto) a lui l’Atp ha deciso che alle finali Next Gen di Milano – tra i vari esperimenti – verrà allestito un apposito trespolo fai-da-te. Ma Nadal, consultato sull’argomento, non è stato particolarmente diplomatico: «Se questo è il modo per velocizzare le partite, mi sembra che sia abbastanza stupido». Come dire: cronometro o no, per cambiare il tennis ci sarà comunque da sudare.

 

Parola di Shapovalov: “il mio tennis rap è spettacolo puro Merito della mamma”

 

Stefano Semeraro, la stampa del 28.05.2018

 

Denis Shapovalov, in arte «Shapo» è il futuro del tennis che piace: 19 anni, mancino, canadese ma nato a Tel Aviv da genitori russi, ha la faccia giusta, colpi che incantano — specie il rovescio – e il carattere da campione-cucciolo che già ama la ribalta. Se Federer è Mozart, Denis è un hip-hop travolgente. «Sono un grande fan del rap», ammette, ravviando il ciuffo biondo che ricorda il primo Borg. «È la musica più bella, ascolto Eminem, Big Sean, Kendrick Lamar». «Rappa» anche lei? «No, no. Però, chissà, un giorno…» Intanto è già n. 26 del mondo e sta facendo bene anche sulla terra: stupito? «Madrid e Roma sono state una sorpresa anche per me. Sono cresciuto sul cemento, questa in teoria è la mia superfide peggiore, è una grande soddisfazione scoprire che posso giocare bene anche sul rosso». A Roma dopo i match ha scritto «Daje Roma e Ciao belli» sulla telecamera: parla italiano? «Ci sto provando. Il mio fisioterapista (Stefano De Pirro, ndr) è italiano e io amo questo paese, amo la lingua. E un processo un po’ lento ma credo che in un paio di anni me la caverò». Le piacciono le sfide, allora. Anche sui campi che contano? «Gioco sempre meglio quando c’è un sacco di gente che mi guarda. E la cosa più divertente. Sono contento che i fan amino il mio tennis». Eppure l’anno scorso, dopo il successo su Nadal in Canada, ha sofferto l’improvvisa celebrità. «Mi è arrivato tutto addosso all’improvviso. Sono passato dall’essere un signor nessuno ad essere riconosciuto nei centri commerciali, alle partite di hockey. Sono sempre stato piuttosto timido, abituato alla mia privacy, a starmene con i miei amici. Invece ho iniziato a viaggiare molto, e non ero pronto. Gli altri si vedevano al college, io ero alle prese con gente molto più grande di me. Avevo nostalgia di casa». Come ne è uscito? «Nella pausa invernale ho avuto un paio di settimane per riflettere. Parlando con il mio team ho capito che questo è il mio mondo, il lavoro che voglio fare, interviste comprese. Ho realizzato che se ci sono persone che stanno lì ad ascoltare quello che ho da dire, come lavoro non può essere male». L’hanno paragonata a McEnroe, a qualcuno ricorda Laver… «Ah!…». Conosce i tennisti del passato? «Sì, guardo i loro video, ad esempio studio le volée di Pat Rafter. Il tennis però è cambiato tanto, non è facile paragonare il mio gioco a quelli di altri. Ovvio che mi fa piacere essere avvicinato a certe leggende, ma per ora considero solo me stesso». Il suo è un tennis particolare: chi è stato il suo maestro? «Mia madre. È stata lei che mi ha impostato con il rovescio a una mano. Ho provato anche a due mani, ma alla fine è stata lei che mi ha detto che a una mano colpivo con più naturalezza. Non mi ha mai imposto nulla, se non di accorciare il movimento perché avevo un’apertura molto ampia. Devo ringraziare lei se ora il mio rovescio piace così tanto alla gente. Tutto quello che mi vedete fare è frutto del tempo che ha speso a insegnarmi». Obiettivi per il 2018? «Vincere un torneo Atp. Sono diventato il n.1 in Canada, un piccolo shock, ma devo continuare a lavorare. Ho solo 19 anni, gli altri sono più grandi di me: se non miglioro, mi distruggono». Segue altri sport?…..

 

Ostapenko? La regina cede lo scettro del Roland Garros

 

Ilvio Vidovich, il Quotidiano Nazionale del 28.05.2018

 

Il programma degli Internazionali di Francia che, ha al solito quale favorito il numero 1 Rafa Nadal (dieci volte re a Parigi) e la non meno solita incertezza fra le ragazze, è cominciato con un doppio botto… al femminile nella giornata d’avvio. Jelena Ostapenko regina al Roland Garros nel 2017, numero 5 Wta, e Venus Williams, numero 9, 38 anni e alla ventunesima partecipazione qui, sono già state schizzate fuori al primo turno. Eppure con appena 32 primi turni sui 128 possibili fra uomini e donne, pareva una giornata proprio moscia per via dei tre soli italiani in gara degli undici ai nastri partenza (Schiavone e Errani, più Matteo Berrettini), la scontata passeggiata del favorito n° 2 Zverev su Berankis (ha vinto 61 61 62) e poco altro. INVECE un’irriconoscibile Jelena Ostapenko, 21 anni da compiere l’8 giugno, è finita ko subito (75 63) per mano dell’ucraina, Katerina Kozlova numero 66 che l’aveva sì battuta due volte quando Jelena (2014 e 2016) era ancora bambina, ma negli Slam una sola volta aveva passato un turno. L’ultima volta d’una regina di Francia detronizzata al primo turno era successo 13 anni fa (era la russa Myskina). Ben tredici doppi falli, errori a ripetizioni tirando a tutta randa — ma nel tennis le righe hanno un senso e la rete va scavalcata — zero senso tattico, la ragazzina lettone che un anno fa stupì il mondo trionfando qui da numero 47 nel suo primo torneo, ha fatto di tutto per perdere pur avendo brekkato quattro volte la Kozlova che non è granché, ma si muove meglio e con le smorzate la faceva apparire goffa. Anche una delle sei cinesi in tabellone, Qiang Wang, numero 85, aveva passato una sola volta un round in uno Slam. Ma i 38 anni hanno appesantito Venus Williams che i suoi sette Slam li ha raccolti fra Wimbledon (5) e Us Open (2). Il «rosso» non è mai stato il suo forte. Ha perso 64 75. Domani si vedrà se mamma Serena Williams (contro la Krystina Pliskova) sta meglio. Qui se ne dubita. SARA ERRANI ha sciupato un vantaggio d’un set e il 2-0 del secondo con la francese Cornet (26 62 63). Francesca Schiavone, Slam numero 70, ha perso due tiebreak con la battibile slovacca Kuzmova. Bravo Matteo Berrettini, prima vittoria nel suo primo match 3 su 5 (36 75 62 61 al tedesco Otte n.157) e in uno Slam: 80.000 euro (meno tasse). Al prossimo round troverà Gulbis o Muller. Oggi 5 italiani in campo: SeppiGasquet, Bolelli-Nadal, Cecchinato-Copil, Chiesa-Bencic, GiorgiMin. Leggi e ascolta interviste di Parigi su www.ubitennis.com.

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