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Al femminile

Simona Halep, finalmente

Arrivata a Parigi da favorita, la numero 1 del mondo ha confermato i pronostici ed è riuscita a vincere il primo titolo Slam

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In conclusione
E così, dopo le difficoltà del primo set, Halep ha definitivamente preso il sopravvento, dimostrando che in questo momento sulla terra di Parigi è la più solida di tutte: anche se alcune giocatrici per porzioni di match hanno forse raggiunto picchi più alti, nessuna è stata in grado di farlo per una intera partita. L’intenso ritmo destra-sinistra, così come la capacità di “chiudere” in un angolo l’avversaria per poi colpire lungolinea nella parte scoperta (sia con il dritto, sia con il rovescio) a lungo andare lasciano un segno decisivo. Nell’arco di un match lo standard di rendimento che è in grado di tenere Simona è risultato insostenibile per chiunque, ed è davvero molto complicato, specie sulla terra di Parigi, resistere alla sua abilità nel costruire geometrie con facilità e naturalezza.

A conti fatti direi che la finale non è stata una sorpresa sul piano tecnico-tattico, ma lo è stato invece l’elemento che ha spostato definitivamente gli equilibri: il fattore fisico. Dopo il primo set non pensavo che Stephens sarebbe scesa così improvvisamente di rendimento, al punto da non avere più nemmeno la brillantezza per ricorrere ad alternative di gioco più tecniche. Alternative che pure in altre condizioni ha dimostrato di saper mettere in campo.

Ma forse più di tutto, sempre sul piano tecnico-tattico, credo sia stato importante questo aspetto: nessuna delle due giocatrici ha deciso di puntare sui colpi di inizio gioco per fare la differenza. E non mi riferisco al basso numero di ace (1 per parte), quanto piuttosto ai pochi rischi presi sulla seconda di servizio (1 solo doppio fallo, di Stephens, in tutto il match) e soprattutto in risposta, anche su seconde che in alcune occasioni avrebbero potuto essere attaccate. Questo significa che nessuna delle due protagoniste era scesa in campo con l’intenzione di regalare punti facili all’avversaria, ma nemmeno di ottenerne.

Naturalmente ogni scelta tattica ha delle conseguenze. E in questo caso la conseguenza è stata piuttosto rara per un match femminile di tale importanza: in pratica si è scambiato su ogni quindici del match, senza i cosiddetti cheap point, i punti facili di inizio gioco. Una situazione davvero anomala, che ha portato le due giocatrici a sostenere uno sforzo inusuale: non tanto per durata, quanto per continuità e intensità. Già la terra rossa rispetto alle altre superfici richiede doti di resistenza superiori; ma affrontati in questo modo (senza cheap point) i 124 minuti di match sono diventati ancora più pesanti.

Ma sarebbe sbagliato e ingeneroso chiudere l’analisi sottolineando solo la superiore resistenza fisica della vincitrice. Ci sono stati altri meriti che hanno permesso a Simona Halep di arrivare finalmente a conquistare a Parigi.

Comincio con una ragione tecnica: rispetto al passato Halep ha dimostrato che, anche se non ha allargato il proprio repertorio di colpi, ha ulteriormente accresciuto l’efficacia dei due di base (dritto in topspin e rovescio bimane in topspin). Colpi a cui affida sia la fase offensiva che quasi sempre anche quella difensiva (alzando le parabole del topspin). In particolare ha dato prova di sapere gestire meglio le palle pesanti e/o a rimbalzo alto, sopra la spalla; situazioni di gioco che aveva sofferto in passato e che le sono costate sconfitte dolorose contro giocatrici come Kuznetsova, Ivanovic e Pennetta (l’ultima Pennetta, quella che “caricava” di più il dritto e che la sconfisse due volte agli US Open). Ecco, se con una macchina del tempo la attuale Halep potesse rigiocare alcuni di quei match persi, potrebbe sperare in esiti differenti.

Infine, la crescita nella tenuta mentale. Forse l’avere dovuto affrontare la finale in rimonta l’ha aiutata a sentire meno la tensione da “braccino”, ma resta il fatto che questa volta non ha tremato: quando ha preso il sopravvento, dal 4-4 secondo set, si è staccata dall’avversaria e non si è più voltata indietro, vincendo con margine. Questa volta, alla terza finale a Parigi, ha dimostrato che per perdere avrebbe dovuto batterla l’avversaria, perché lei da sola non l’avrebbe fatto; troppe delusioni alle spalle per accettare di chiudere un altro Slam con un ulteriore carico di rimpianti e sensi di colpa.

A ventisette anni ancora da compiere (è nata il 27 settembre 1991) Halep si è tolta il peso dello zero nella casella dei Major, che era un fardello che di sicuro non la aiutava a giocare bene nei momenti importanti dei grandi tornei. Certo, non l’abbiamo vista alla prova in un match concluso punto a punto, ma sappiamo tutti che nel tennis non esiste mai un margine di sicurezza assoluto: ogni partita è finita solo quando è finita. A maggior ragione una finale Slam.

P.S. La prossima settimana seconda parte dedicata alla altre protagoniste dello Slam parigino. Ma vorrei anche approfondire le caratteristiche di gioco di Simona Halep, che a mio parere non sempre viene descritta in modo sufficientemente preciso. Non so quando uscirà l’articolo, penso dopo la stagione su erba. Titolo (da confermare): “Simona Halep, lo spazio e il tempo”.

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