II quinto set scoperto quando i tennisti divennero Pro (Clerici). Nadal: "Su questa erba mi trovo a meraviglia" (Azzolini). Wimbledon, vietato guardare in tribuna (Lombardo). Giorgi, riprendi il sogno che arriva da lontano (Crivelli)

Rassegna stampa

II quinto set scoperto quando i tennisti divennero Pro (Clerici). Nadal: “Su questa erba mi trovo a meraviglia” (Azzolini). Wimbledon, vietato guardare in tribuna (Lombardo). Giorgi, riprendi il sogno che arriva da lontano (Crivelli)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

 

II quinto set scoperto quando i tennisti divennero Pro

 

Gianni Clerici, la repubblica del 9.07.2018

 

Ci voleva una radio inglese per ricordarmi che si può diventare involontariamente importanti, se ci si trova al posto giusto nel momento giusto, come ha detto Tolstoj. II posto giusto, nel mio caso, era Bournemouth, dove si svolgevano abitualmente i Campionati di Gran Bretagna sulla terra, e il momento giusto dal 22 al 27 aprile 1968, per il primo torneo Open della storia. Eravamo in tre giornalisti che non fossero inglesi, il conosciutissimo americano Bud Collins per il Boston Globe, la francese Judith Elian per l’Équipe, e io per Il Giorno. Il primo torneo Open, e cioè Aperto a cosiddetti dilettanti insieme a professionisti, cioè a giocatori che non percepissero ufficialmente un soldo, insieme ad altri soggetti alle tasse, era succeduto al periodo in cui, nel cricket, gli spogliatoi accoglievano con scritte diverse i giocatori, i Gentlemen e i Guest (gli Ospiti). Nel tennis, a cominciare dagli Anni Trenta, il primo giocatore del mondo riceveva da un organizzatore l’offerta remunerata di esibirsi in pubblico, e la successiva squalifica dalla federazione, com’era accaduto alla mia amata Suzanne Lenglen per prima nel 1926, e, primo tra gli uomini, a Big Bill Tilden nel 1931. Ora un grandissimo tennista, l’americano Jack Kramer, vincitore di Wimbledon ’47, dello US Championships 1946 e’47, aveva organizzato una troupe professionistica che aveva sottratto alle federazioni molti campioni. La federazione britannica, trascinando quella francese, ma non ahinoi quella italiana, aveva spinto in favore dell’apertura ai Pro, e il torneo di Bournemouth avrebbe preceduto un Wimbledon trionfale, o meno riuscito secondo i detrattori. A Bournemouth, come vi sbarcai, rividi i volti di amici che avevano, insieme, vinto venti Slam, Gonzales 2, Emerson 12, Stolle 2, Rosewall 4, e che ne avrebbero vinti ancora. Il torneo, ricordo in un sorta di riassunto, dimostrò che i Pro non erano abituati ad incontri best of five, perché passavano il loro tempo a viaggiare, e a giocare più al due su tre. Fu vinto da Rosewall, il mio amico trentaquattrenne, che avrebbe due mesi più tardi trionfato al Roland Garros assediato dai giovani rivoluzionari. Un Rosewall che era stato per più di dieci anni professionista, ricordo, e che quindi aveva dovuto limitarsi a vincere 8 Slam su 40 illeciti. Alle semifinali di Bournemouth ebbe accesso anche un dilettante semisconosciuto, il britannico Mark Cox, che dimostrò la vecchiezza del quarantenne Pancho Gonzalez e di un altro mito, Roy Emerson dai 12 Slam. Tra tutti quei grandi mancò la presenza di un Nicola Pietrangeli che la Fit stipendiava, ma non poteva dichiarare se non dilettante, e che l’Associazione Amici del Tennis, di cui fui fondatore, fece invano di tutto per schierare con i Pro.

 

Nadal “su questa erba mi trovo a meraviglia”

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 9.07.2018  

 

Nei panni del buon Samaritano, Roger Federer esorta a dare da bere a tutti i fili d’erba assetati. In quelli di un gran capo Sioux, esegue di nascosto una vorticosa danza della pioggia, nel salotto della sua reale suite. Girano vignette che la dicono lunga, sulla natura calda di questi Championships ormai rimasti a secco. Ma non piove, non c’è verso, e se i giardinieri non saranno stati più che generosi, ieri, nella domenica di mezzo, con le razioni d’acqua, l’erba di Wimbledon diventerà presto l’erba di Nadal. Come quando Rafa vinse contro Roger, nella finale culto del 2008, dieci anni fa. Cinque set, terminati quasi a notte, una grande e inutile rimonta di Federer, Nadal che fa a pezzi il cerimoniale, saltando come un grillo sulla piccola tettoia di fianco al Royal Box per salutare il principe Felipe e la sua diletta sposa, e di lidi nuovo in campo, con la sciarpa del Real Madrid lanciatagli dall’allora presidente Ramòn Calderon Ramos. Quattro oree 4 minuti, un match che rimarrà nella storia, anzi, lo sarebbe rimasto comunque, perché se a vincerlo fosse stato Federer, i suoi successi consecutivi a Wimbledon sarebbero saliti a sei, uno in più del miracoloso quinquennio di Bjorn Borg. «Fu un grande momento», racconta Rafa, che l’ottavo raggiunto conserverà al numero uno anche al termine di questi Championships. «Avevo ottenuto risultati prestigiosi, e con la vittoria a Wimbledon giunse anche il numero uno. Fu importante allora. Sentivo di meritarlo. Oggi lo è di meno… Ovvio, meglio essere numero uno che numero dieci, va da sé, ma non è la mia priorità. Preferisco star bene, sentirmi in salute, giocare i tornei che mi piacciono libero dagli acciacchi. L’anno scorso è stato magnifica Quest’anno sta andando alla grande. Anche sull’erba Ho giocato tre buone partite, finora, sempre in crescendo». Potrebbe essere di nuovo il suo torneo, lo pensano in molti. Malgrado non siano stati mai programmati più di tre incontri sul Centrale, la maggior parte al femminile, cosa che la dice lunga sulla volontà di preservare il campo principale. Caldo e sole potrebbero trasformare l’erba in terra, e i Championships in una dependance del Roland Garros. Federer fa gli scongiuri. Rafa invece fa il filosofo… «Non credo che il caldo stia migliorando il mio gioco. Di sicuro però influenza il mio umore. Caldo e sole mi rendono felice, ed è quello che conta di più». Vi sono ancora battaglie da sostenere, più di quante non tocchino a Federer. Il Big Monday, con tutti gli ottavi in campo, maschili e femminili, gli porta in dote lid Vesely, il ceco che ha battuto la peggior versione di Fognini vista da mesi a questa parte. Uno a zero per Rafa, i precedenti, ma sulla terra, e fu una vittoria faticosa. Poi i quarti, con Del Potro. E la semifinale con Djokovic o Nishikori. Percorso impervio, non c’è che dire… Federer se la vede con Mannarino, poi con Anderson o Monfils, verso una semifinale contro Raonic o Isner. Roger e Rafa non hanno ancora perso un set. La sfida è aperta.

 

Wimbledon, vietato guardare il calcio in tribuna

 

Marco Lombardo, il giornale del 9.07.2018

 

Warning, mister. Niente di eccezionale durante una partita di tennis, se non fosse che stavolta l’ammonizione arriva fuori dal campo. Siamo a Wimbledon, e in questi giorni di follia britannica esiste un’isola verde football free. «It’ coming home», scrivono i tabloid: forse, ma non a Church Road. Dove gli attenti steward fanno la guardia vicino ai court. chiunque venga sorpreso con uno smartphone collegato al Mondiale viene immediatamente allontanato. «Ci è stato detto di avvisare che così si disturba il gioco – spiega uno degli addetti sottovoce -, a volte siamo un po’ in imbarazzo…». Sabato è stato il punto di non ritorno: mentre i Leoni erano in campo, perfino a Sir Bobby Charlton è stato sigillato. Il grande ex, seduto nel Royal Box, ha giusto increspato il labbro verso un sorriso quando ha capito da un fremito che l’Inghilterra aveva segnato il primo gol. Ma non si è mosso dal posto, né l’hanno fatto gli spettatori sul Centrale, ignari di quanto stava accadendo. E d’altronde sono banditi pubblici annunci, così come è confermato che la quasi contemporaneità delle due finali (quella maschile domenica parte solo 2 ore prima rispetto a quella di Mosca) non sposta nulla: pur con l’Inghilterra in campo, il calcio è fuori. Insomma mentre i primi echi del pallone esplodono circa un chilometro più in là nei pub di Southfields (dove la fiumana di gente diretta al club esce dalla metropolitana), c’è chi si rassegna. «Avere un biglietto, per la finale poi, è una lotteria», fa sapere uno dei fortunati prescelti dal ballot. Quanto fortunato, lo deciderà la Croazia.

 

Giorgi, riprendi il sogno che arriva da lontano

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 9.07.2018

 

«Questa è la storia di una giocatrice israeliana alla seconda settimana dello Slam più glamour e prestigioso». Avrebbe potuto cominciare cosa, il racconto della vigilia degli ottavi della Giorgi a Wimbledon, se in uno dei tanti irrequieti pellegrinaggi da ragazzina al seguito di papà Sergio, a Tel Aviv le avessero concesso il passaporto chiesto per lei dal ciclonico genitore dopo il millesimo litigio con la Federazione. E invece Camila («Mi piace con una elle, è più originale»), malgrado una vita tennistica con cento e cento cambiamenti e altrettante turbolenze, porta nel cuore del torneo più affascinante l’unico vessillo tricolore. AMBIZIONI Verrebbe da dire tutto normale, a 14 anni era già la più promettente juniores azzurra e non aveva dubbi su come sarebbe andata al piano superiore: «Sarò numero uno e vincerò Wimbledon». Il tempo è passato, gli anni sono quasi 27 (li farà a dicembre), la miglior classifica è stata il 300 posto e le ambizioni si sono scontrate con la dura realtà. Eppure, in un’edizione che ha già perso nove delle prime dieci del seeding (mai successo), un posto al tavolo della speranza è apparecchiato pure per lei, che l’unico torneo (s’Hertogenbosch 2015) l’ha vinto sull’erba e ha un gioco particolare: nessuna possiede quell’anticipo sulla palla che fece dire a un estasiato Panatta «questa tira come Agassi». GINNASTICA E PAPÀ A cinque anni, Camila è una ginnasta di interesse nazionale. Il c.t. ucraino, quando le bambine sbagliano, le fa appendere alle travi e se si lasciano andare tornano a casa. La Giorgi non cade mai: «Io volevo stare lì e finire l’allenamento». I fratelli, intanto, ci provano con il tennis dal maestro Torresi a Civitanova e la sorellina, per diletto, ogni tanto prende in mano la racchetta. Fermi tutti: con quell’arnese è un portento. Papà Sergio, nato in Argentina da genitori italiani, reduce delle Falkland con erratici studi di medicina e senza nessuna esperienza nel coaching, ne diventa così l’unica guida, mutuando i primi allenamenti proprio dalla ginnastica. Per i maschi sono stati i soldi, sempre troppo pochi in famiglia, a opporre un muro alla gloria, ma Camila ha troppo talento per lasciar cadere l’opportunità. Mamma Claudia, marchigiana, insegnante d’arte e designer, porta a casa lo stipendio, l’irrequieto marito gira il mondo per trovare l’ambiente giusto: Pesaro, Milano, Bollettieri in Florida, Como, Barcellona, Valencia, Maiorca e Mouratoglou in Francia. Vita dura, militaresca, virile (infatti lei apprezza solo il tennis degli uomini e tifa Sampras), sponsorizzazioni che prima entrano e poi si volatilizzano, sfiorando anche il penale: «Ma se ho sbagliato — dirà Sergio — l’ho sempre fatto in buona fede». SPERANZA Il tennis ha conosciuto fior di padri ingombranti che non avevano mai preso una racchetta in mano, da Peter Graf a Richard Williams, ed è inutile chiedersi dove sarebbe adesso la Giorgi senza l’ombra di papà: intanto quel signore senza nessuna conoscenza diretta l’ha portata tra le 30. E poi il dramma del 2011, la morte in un incidente stradale di Antonella, l’altra figlia, li ha uniti ancora di più. Oggi all’angolo ci sarà pure lui, assente fin qui per impegni personali….

 

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