Berrettini ecco lo stop. Ora scopre l’America (Crivelli). Sprazzi di Murray. Battuto Edmund: «Finalmente felice» (Crivelli). Storia del tennis milanese (4) - Romanoni, Bossi e Sada. I sogni spezzati dalla guerra (Clerici)

Rassegna stampa

Berrettini ecco lo stop. Ora scopre l’America (Crivelli). Sprazzi di Murray. Battuto Edmund: «Finalmente felice» (Crivelli). Storia del tennis milanese (4) – Romanoni, Bossi e Sada. I sogni spezzati dalla guerra (Clerici)

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Berrettini ecco lo stop. Ora scopre l’America (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Nessun biglietto per l’otto volante. Si ferma a sette la striscia di partite vinte consecutivamente da Berrettini in questa estate che ha trasformato una promessa in un progetto di campione. Una dimensione acquisita con il trionfo a Gstaad e che la sconfitta ai quarti di Kitzbuehel contro Jarry certo non scalfisce, in attesa del cemento americano e delle sue nuove risposte. Il cileno, nipote della gloria andina Jaime Fillol (è figlio della figlia), che fu nostro avversario nella Davis 1976, è un rivale tignoso e di difficile lettura, come tutti i giocatori che si affidano alle cannonate di servizio e poi cercano subito il punto, scarnificando gli scambi. Matteo, tuttavia, paga la stanchezza, soprattutto mentale, degli ultimi dieci giorni e per una volta non è incisivo nei momenti clou, come quando perde il servizio nell’11° game del primo set da 40-15 con un doppio fallo e un gratuito di rovescio, oppure nelle quattro palle break complessive non sfruttate, per finire con l’errore di dritto che spiana all’avversario la strada verso il break fatale nel secondo set. Jarry, che a 16 anni (adesso ne ha 22) stava optando per la cittadinanza statunitense prima che Mano de Piedra Gonzalez lo convincesse a rimanere in Cile («Là sarai uno dei tanti, in patria diventeresti un eroe»), a marzo perse la finale di San Paolo contro Fognini e quindi la sconfitta di Berrettini non può certo sminuire quanto fatto nelle ultime due settimane, come riconosce anche coach Santopadre: «Quando si affrontano due giocatori con quel servizio, la partita si decide su pochi punti. Sicuramente Matteo non è stato così determinato in qualche suo turno di battuta, però ci ha provato fino in fondo. Ma non possiamo che essere soddisfatti del cammino dell’ultimo mese, adesso un po’ di riposo fino a Ferragosto e poi andremo a Winston Salem qualche giorno prima del torneo. Se dovessero arrivare wild card dai Masters 1000 americani? Il programma non cambia, la stagione è stata intensa». Degli italiani impegnati questa settimana resta in corsa perciò solo Fognini a Los Cabos, dove ha approfittato delle usanze locali per presentarsi con vezzosi dreadlocks ai capelli prima di battere all’esordio il francese Halys, n°150 del mondo che a maggio rifiutò una wild card dal Roland Garros perché non si sentiva all’altezza. Nella notte italiana Fabio ha affrontato il giapponese Nishioka, sceso al numero 247 del mondo dopo essersi sfasciato i legamenti di un ginocchio l’anno scorso a Miami (quando era 58) per raggiungere una palla nel match contro Sock: tre mesi a letto e nove mesi senza tennis. Un sopravvissuto.

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Sprazzi di Murray. Battuto Edmund: «Finalmente felice» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Aveva accolto la notizia con il consueto humor che ne fa uno dei giocatori più arguti e intelligenti del circuito. Sceso al numero 832 del mondo, Andy Murray si era lanciato in un sapido commento su Twitter, mostrando la schermata con il numero: «Orgoglioso di me». Ma gli incubi che si inseguivano nella sua testa dopo il lungo stop per l’operazione all’anca destra sembrano finalmente sul punto di evaporare: a Washington (dove gioca con il ranking protetto) l’ex numero uno ottiene la vittoria più importante dal rientro vincendo il derby con Edmund. Cinque settimane fa a Nottingham, sull’erba, vinse il giovane Kyle con un doppio 6-4 e qualche giorno dopo Andy decise che i tre set su cinque di Wimbledon non erano ancora ideali per le sue condizioni fisiche. Rientrato sul cemento americano, Muzza regala finalmente una versione deluxe, servendo 10 ace e rimanendo sempre propositivo: «Al primo turno mi ero solo difeso, ero molto lontano dalla linea di fondo campo: non è il modo in cui voglio giocare. Stavolta sono sceso in campo per comandare maggiormente lo scambio e credo di averlo fatto, soprattutto nei momenti decisivi del terzo set. Sono stato più aggressivo. E sono molto felice». Il torneo della capitale ieri notte ha tenuto a battesimo la prima sfida in famiglia tra i fratelli Zverev, con Sascha (campione in carica) entusiasta dei 4 giorni passati in Florida con Lendl, fino a prevedere una possibile, futura collaborazione. Il suo mentore in Davis Boris Becker, invece, è di nuovo nei guai: come riporta il «Daily Express», l’ex campione ha ordinato ad amici e familiari di non far entrare Lilly Kerssenberg, la seconda moglie da cui ha divorziato a maggio dopo 9 anni di matrimonio, nella casa coniugale di Londra per recuperare le sue cose dopo la separazione. Solo con l’intervento della polizia la situazione si è risolta e la donna, in lacrime, è riuscita ad accedere all’abitazione.

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Storia del tennis milanese (4) – Romanoni, Bossi e Sada. I sogni spezzati dalla guerra (Clerici)

Parlava poco, il modesto Valentino Taroni, ma imparava alla svelta. Ammalatosi Rado, al suo fianco venne presto a schierarsi un rampollo della nobiltà industriale, Ferruccio Quintavalle, soprannominato Illo. Quintavalle era focoso e estroverso quanto Valentino silenzioso e pacifico. Avevano tutti e due un diritto violento, certo superiore a due rovescetti difensivi. Avevano anche il senso del doppio, e non tardarono a far coppia in molte Coppe Davis. La Davis era stata lasciata a Milano, sul campo Porro Lambertenghi che assicurava non solo il pienone, ma anche un’intensa e a volte faziosa partecipazione del pubblico. Nel 1937, Taroni avrebbe fatto suo, proprio a Milano, quel titolo italiano che il romano Palmieri andava vincendo da non meno di 5 anni. Non era, però, l’inizio di una cavalcata solitaria. La diffusione del gioco, l’avvento di un ottimo tecnico austriaco, Fritz Weiss, avevano prodotto una schiera di giovani talenti. Da Fiume era arrivato Gianni Kucel, ribattezzato Cucelli dal partito, dopo che l’ignaro pubblico viareggino aveva sostenuto, contro di lui, il francese Pelizza. Bologna intanto applaudiva l’universitario Vanni Canepele, bicampione di tennis e basket. A Roma si affacciava un bambino prodigio, Marcello Del Bello. Fianco a questi artisti del gioco, dai nostri Navigli era salita un’ondata di ben tre promesse. Francesco Romanoni, Renato Bossi, Carlo Sada. Non è semplice immaginare quali traguardi avrebbero raggiunto questi ragazzi se la guerra non ne avesse interrotto la carriera. Insieme a Cucelli, Romanoni fu il protagonista del tennis di guerra, che ci vide opposti ai tedeschi, agli iugoslavi travestiti da croati, ai neutrali svizzeri, e soprattutto ad un grandissimo tennista ungherese, Joseph Asboth. Romanoni dovette limitarsi a capeggiare la nostra classifica tra il 1940 e il ’43, a vincere moltissimi tornei con palle sempre più sgonfie e riciclate. Romanoni aveva avuto in dono il più bel rovescio che mai si fosse visto nel paese, e gli altri colpi ben si accordavano al suo grande senso del tennis. Preferì sottrarsi al rischio di una guerra in cui non credeva, passò in Portogallo e in Spagna, paesi neutrali, e divenne professionista. Gli altri due milanesi di quei tempi furono meno talentuosi, ma tuttavia ottimi tennisti. Splendido atleta e splendido giovanotto, Renato Bossi tentò le vie del cinema, accoppiato ad una star tedesca dei tempi, Anneliese Uhlig. E un’altra Anneliese sposò, la Ullstein, acquistando così ai nostri colori una delle più forti tenniste europee. Quel meraviglioso ragazzo corteggiato e mondano doveva purtroppo finire molto presto, vittima di una malattia che già aveva colpito la più forte giocatrice di ogni tempo, Suzanne Lenglen. Morì di leucemia, mentre a lungo gli sopravvisse Carletto Sada. Mancino, di purissimo sangue ambrosiano, Carletto giocò a livello mondiale sul diritto, e sul terribile servizio tagliato. Non fu all’altezza il rovescio, non lo furono gli spostamenti, ma nelle giornate di vena Sada era irresistibile, sia nelle trovate tecniche che in quelle verbali. Tra le donne, molto giocò e molto fu ammirata un’altra lombarda, Vittoria Tonolli da Como. Faceva sempre pubblico, la bicampionessa italiana, non soltanto per il suo grande rovescio, ma per il sottanino dalle misure davvero minime che fece esclamare al giovanissimo commediografo Franco Brusati: «Bisogna mostrare il viso, dovunque esso si trovi!». (continua)

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