Federer, vittoria pigra. Semifinali alla portata (Marianantoni). Federer survivor tra le polemiche (Marcotti). Per Djokovic rischio Zverev (Azzolini). Sergio Palmieri: «A Londra in missione per sostenere Torino» (Semeraro). Panatta, il tennis come musica (Clerici)

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Federer, vittoria pigra. Semifinali alla portata (Marianantoni). Federer survivor tra le polemiche (Marcotti). Per Djokovic rischio Zverev (Azzolini). Sergio Palmieri: «A Londra in missione per sostenere Torino» (Semeraro). Panatta, il tennis come musica (Clerici)

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Federer, vittoria pigra. Semifinali alla portata (Luca Marianantoni, La Gazzetta dello Sport)

Male la prima, benino la seconda per Roger Federer che rimane in vita al Masters con un comodo successo in due set sull’austriaco Dominic Thiem, dopo la sconfitta iniziale con Kei Nishikori. Lo svizzero è concentrato, attento, ma a tratti anche irriconoscibile, pigro negli spostamenti, falloso da fondo e troppo morbido alla risposta. E’ sufficiente comunque per battere un Thiem a disagio su una superficie che non ama e scomposto quando tenta di giocare aggressivo per togliere il tempo allo svizzero. Ma un Federer al 60% basta e avanza per domare il rivale. Lo svizzero arriva subito alla palla break e nel 3° game aumenta il passo. Con un ace Federer sale 3-1, Thiem arranca fino al 3-2, poi 5 game di fila per l’ex numero 1 del mondo che prima chiude il set con un dritto in contropiede e poi allunga 2-0 a inizio di 2°. Sul 3-1 Thiem tiene ai vantaggi, Federer non perde colpi e si assicura, avanti 5-3, di servire almeno per il match. Non gli serve, basta l’errore di Thiem a rete a regalargli una vittoria che fa morale. «Ci voleva – racconta Federer a fine match – una reazione del genere dopo l’incontro con Kei. Era molto importante fare bene. Non volevo avere l’attitudine negativa di domenica, ma semplicemente andare in campo per divertirmi». La vittoria consente a Federer di giocarsi il tutto per tutto contro Kevin Anderson, ma molto importante sarà anche il risultato della sfida tra Thiem e Nishikori. Una vittoria del giapponese porterebbe alla ribalta il quoziente set o addirittura il quoziente game. Un’ora e spiccioli di fuoco e fiamme bastano a Kevin Anderson per mettere un piede in semifinale (al sudafricano è sufficiente fare 3 game per passare il turno). La sfida è un monologo a senso unico del sudafricano. Dai blocchi di partenza Anderson esce solido; tiene a 15 il primo game e poi piazza subito il break. In due turni di battuta colleziona 5 ace, con Nishikori che annaspa tra scelte tattiche errate (improbabili serve and volley) e macroscopiche imprecisioni (un paio di dritti che escono di diverse spanne). Senza servizio e con un dritto ballerino, Kei va sotto anche di un secondo break e poi di un terzo dopo aver tentato invano di reagire annullando due palle del 6-0. Ma il game del cappotto arriva inesorabile dopo appena 32′. Non è giornata per il giapponese. La testa non risponde, il fisico nemmeno. Mancano 3 minuti allo scoccare della prima ora di gioco e Anderson si trova sul 6-0 5-0. Ma prima della resa incondizionata, Nishikori prova a mettercela tutta pur di tenere un game, che arriva tra il boato del pubblico che non fa altro che aggravare una situazione altamente imbarazzante. «Sono veramente dispiaciuto – racconta il giapponese – di aver fornito una prestazione così scadente. II break iniziale mi ha ridimensionato. Da quel momento non sono più riuscito a colpire pulito». Chi se la ride invece è Anderson: «E’ stata una delle migliori partite della mia carriera. Ho fatto un ottimo lavoro, sono stato costante e ho pressato fino alla fine mantenendo un ritmo elevato. Volevo la vittoria a tutti i costi e sono soddisfatto per il modo con cui l’ho raggiunta. La fiducia conta molto e in una giornata così se ne immagazzina tantissima. Posso dire d’aver realizzato molti dei miei sogni, spero di essere fonte d’ispirazione per i bambini del mio Paese».

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Federer survivor tra le polemiche (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)

Prima la netta sconfitta contro Kei Nishikori. Poi l’attacco, del tutto inatteso, da parte di un suo collega. Chissà se almeno la vittoria di ieri sera, contro Dominic Thiem, ha risollevato l’umore di Roger Federer, tornato abbastanza centrato dopo aver rinunciato ad allenarsi martedì e ieri mattina. All’inseguimento del suo titolo n. 100, il campione di Basilea ha vissuto un inizio di settimana insolitamente controverso. Il pessimo esordio di domenica alle ATP Finals, e la vittoria di Kevin Anderson ieri, lo avevano costretto a vincere contro l’austriaco per evitare l’eliminazione anticipata. Una pressione extra, in un momento di forma psicofisica non ottimale. Un match, quello di ieri sera alla 02 Arena, preceduto dalle parole al vetriolo di Julien Benneteau, dal 2019 capitano francese di Coppa Davis, il quale ha apertamente criticato Federer per il suo coinvolgimento economico nell’organizzazione della Laver Cup che rischia – secondo Benneteau – di oscurare la Coppa Davis. «Per Federer è tutto ok, ma la Laver Cup è un’esibizione, che Federer promuove attraverso la sua agenzia, – le parole di Benneteau – La Laver Cup non ha una legittimità sportiva, è soltanto un’operazione economica, che offre a Nick Kyrgios 750.000 dollari per giocare qualche match». Ma l’attacco di Benneteau non si è limitato agli interessi economici di Federer; ha anche stigmatizzato il trattamento di favore che Roger riceverebbe invariabilmente dagli organizzatori. Soprattutto in occasione degli Slam, come in Australia, dove – per evitare le alte temperature – i suoi match sono programmati sempre la sera. «Negli ultimi due anni degli Australian Open ha giocato quattordici match, dodici o tredici dei quali di sera». Anche Marin Cilic si è lamentato del diverso trattamento ricevuto negli anni passati. In difesa di Federer si è schierato, in maniera sincera, proprio Djokovic, che ha sottolineato il contributo eccezionale portato dallo svizzero. «Alla fine Roger merita un trattamento speciale – le parole del serbo – perché è stato sei volte campione in Australia, e probabilmente è stato il miglior tennista di sempre. Se non si aiuta lui, chi altro?». Anche perché Federer – per il 16° anno consecutivo – ha appena vinto il premio come “giocatore preferito dai tifosi”. «La gente vuole veder giocare Federer sul campo centrale e vuole vederlo giocare all’orario migliore, cioè in prima serata – ha aggiunto il n. 1 al mondo – Bisogna rendersi conto che Roger è una forza portante del tennis in termini di incassi, di esposizione mediatica, e così via. Giocatori come Julien e altri traggono costante beneficio da ciò che lui ha fatto per questo sport».

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Per Djokovic rischio Zverev (Daniele Azzolini, Tuttosport)

È il terzo confronto, ma anche il primo vero assalto di Sascha Zverev al numero uno di Novak Djokovic. Una chiave di lettura obbligatoria per il confronto di questo pomeriggio alla 02 Arena, tanto più se si vuole assegnare ai Next Gen (e Sascha ne fa ancora parte) il compito di mandare definitivamente a nanna la generazione dei Fab Four, quella che da sedici stagioni è sempre sulla cima più alta del tennis. Djokovic sa di che cosa stiamo parlando… Di recente è uscito sfrondato di molte delle sue convinzioni dalla sconfitta rimediata nella finale di Bercy contro Karen Khachanov, russo di 22 anni e Next Gen fino all’anno scorso. E in generale si potrebbe pensare che Nole li soffra, questi ragazzi, che un po’ giocano come lui, e un po’ (un bel po’) come Del Potro, con due colpi e via… Sascha è ormai al terzo mese di allenamenti con Ivan Lendl, proprio il tecnico che condusse Andy Murray a strappare i gradi di numero uno dal completino di Djokovic. Accadde a Parigi Bercy nel 2016, e furono le giornate conclusive di una lunga rimonta che videro il britannico recuperare in cinque mesi oltre settemila punti di ritardo in classifica. Bercy offri lo scenario del sorpasso, le ATP Finals di Londra, subito dopo, quello della conferma, con Murray che stracciò il Djoker nell’atto conclusivo del Master.

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Sergio Palmieri: «A Londra in missione per sostenere Torino» (Stefano Semeraro, La Stampa)

Londra chiama, Torino risponde. Oggi alle 13.30 la sindaca Appendino sarà nella capitale inglese per incontrare i vertici dell’Atp — il Presidente Chris Kermode, il vice Ross Hutchins e gli advisor di Deloitte — e discutere della candidatura della città a ospitare le Atp Finals dal 2021 al 2026. Con lei Diego Nepi Molineris, direttore Marketing e Sviluppo del Coni, il direttore del Parco olimpico Daniele Donati e Sergio Palmieri, storico organizzatore e manager di John McEnroe, oggi direttore del torneo degli Internazionali di Roma, delle Next Gen Finals di Milano e presidente del comitato lombardo della Fit.

Palmieri, che cosa si deciderà nell’incontro con l’Atp?

Sarà un incontro importante, sia per noi sia per l’Atp. Da parte nostra c’è il dossier di candidatura che ha una parte economica, una logistica e una di presentazione della città. Noi del tennis sappiamo bene cosa significa il Masters, la sindaca Appendino potrà rendersi conto di persona dell’importanza dell’evento e dello sforzo organizzativo che richiede. Del resto basta dare una scorsa alle sedi passate delle Atp Finals per capire che il torneo, tranne pochissime eccezioni, è stato ospitato in città di prestigio.

Parliamo delle rivali attuali: Torino dovrà confrontarsi con Tokyo, Singapore, Abu Dhabi, Londra – che le Finals le organizza dal 2009 e vuole tenersele -, inoltre si parla di una metropoli sudamericana. Ci sono concorrenti europee?

Non lo so, l’Atp non lo dice, ma mi stupirebbe il contrario. L’Europa è molto strategica per il tennis, sia per la sua posizione sia per il fatto che tutti i più forti oggi sono europei. Credo sia la location più indicata.

Torino come può reggere lo scontro economico con piazze così importanti?

Torino ha una struttura straordinaria come il pala Alpitour e ha dimostrato di saper organizzare eventi di importanza assoluta come le Olimpiadi invernali o i mondiali di pallavolo. Il tennis in Italia non si ferma a Roma con gli Internazionali, ci sono altri grandi eventi, a partire dalle Atp Next Gen Finals, che da due anni stanno ottenendo successo e ne meriterebbero anche di più. C’erano altre città molto importanti che si erano fatte avanti, ma l’Atp le ha assegnate a noi fino al 2021. Qualcosa vorrà dire… Noi siamo convinti che Torino possa farcela. Il primo passo sarà entrare nella short list di tre città che verrà annunciata fra il 15 di dicembre e fine anno. A marzo durante il torneo di Indian Wells verrà poi proclamata la vincitrice. Noi come Fit, ma anche il Coni, il Comune e la Regione Piemonte, con l’appoggio del governo, non andiamo certo a Londra tirando al risparmio. Siamo convinti che l’assegnazione all’Italia e a Torino in particolare sia possibile.

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Panatta, il tennis come musica (Gianni Clerici, La Repubblica)

Mi è giunta, un po’ misteriosamente, la bozza di un libro del mio amico Daniele Azzolini, dal titolo Il Tennis è Musica. Mi domandavo se non fosse il sedicesimo libro dedicato a Federer – ne ho 15 in biblioteca – nell’ammirare la foto di Roger, una volée di diritto, ma nell’aprirlo, e nel leggerne le prime pagine, mi sono reso conto che il vero titolo era più in alto, sulla copertina, era Adriano Panatta. Non era la prima biografia di Adriano che avessi letto, perché a mia conoscenza ne avevo sicuramente già vista una, Più diritti che rovesci, sempre di Azzolini, e un’altra, di Luca Liguori, si chiamava Io e il Tennis. Detto questo, mi sono messo a leggere, e mi sono detto che, attraverso la presenza di Adriano, Daniele aveva trovato modo di raccontare gli ultimi 50 anni di tennis, perché manca l’inizio della sua vita, la volta che, al Tennis Parioli, l’impiegato Ascenzio mi disse: «Dottore, ho un bambino che al tennis ci vuol giocare. Lo vuol vedere?». Temevo di dover offrire la tipica risposta positiva che un papà attende su suo figlio, quando nel vedere il bambino giocare con un socio di quattro o cinque anni più grande trasecolai. Trasecolai come l’altra volta, in cui avevo giocato con un altro giovane socio del Parioli, che avevo addirittura battuto, rendendomi conto che quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta. Si chiamava Pietrangeli. Già che ci sono, parlo di un’altra occasione che non figura in questo buonissimo libro, che avrei voluto firmare io stesso. Era il 1976, Panatta aveva già battuto due volte Borg al Roland Garros, era alfine riuscito ad affrontare la finale contro Solomon, che Lea Pericoli definiva Il Sorcio Maledetto, dopo avere in semi affondato Dibbs, altro grande regolarista. Per ragioni di conoscenze ero allora autorizzato a penetrare negli spogliatoi, e dopo aver ammirato Adriano condurre 2 set a 1, avevo notato che, ai suoi attacchi sul rovescio esterno, Solomon iniziava a passarlo con maggior agio. Tentai allora di parlare con Panatta, e mi affannai a ripetergli di attaccare non sempre lo stesso angolo, ma più spesso verso il centro. Cosa di cui entrambi ci ricordiamo, e che non esiste nel libro, come certamente avrei scritto io. Insomma, sono riuscito a parlare di un bellissimo libro, tentando – forse invano – di entrarci anch’io. Non mi rimane altro che suggerirvi di acquistare “Adriano Panatta” ammettendo la mia ammirazione, e anche la mia frustrazione di non farne parte.

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