Stoppini, la meteora del tennis: «Agassi ko e io nel libro» (Rea). A Serena il derby delle mamme; Aliassime demolisce Tsitsipas (Cocchi). Viaggio intorno al mondo di Roger (Crivelli)

Rassegna stampa

Stoppini, la meteora del tennis: «Agassi ko e io nel libro» (Rea). A Serena il derby delle mamme; Aliassime demolisce Tsitsipas (Cocchi). Viaggio intorno al mondo di Roger (Crivelli)

La rassegna stampa di domenica 10 marzo 2019

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Stoppini, la meteora del tennis: «Agassi ko e io nel libro» (Daniele Rea, Corriere del Trentino)

Master 5oo ATP. Game, set, match: 6-3, 6-4. Punto. La storia tennistica di Andrea Stoppini, ex tennista «pro» di Riva del Garda, non è tutta qui ma è, anche, tutta qui. Un tracciante luminoso, bello e breve come una cometa. Washington, Master 500 Atp. Game, set, match: 6-3, 6-4. La storia è tutta racchiusa in questi 19 giochi sulla superficie veloce del torneo statunitense, uno dei più importanti nel circuito ATP. Perché se tu sei un semisconosciuto mestierante che arriva dalle qualificazioni e davanti hai un titano della racchetta come Andre Agassi, l’unica speranza che hai è quella di fare bella figura. Perdere evitando il doppio 6-o sarebbe già buono. Mettere in crisi almeno un po’ il «kid» di Las Vegas vorrebbe dire uscire a testa altissima. Vincere… No, vincere non è contemplato contro uno che è stato per 101 settimane numero uno al mondo. E invece. E invece succede quello che nel tennis a volte accade. Il favorito entra svuotato in testa delle energie che servono, inizia ad attingere alla riserva dei nervi, va fuori giri e perde. E stata una vita sportiva piena di condizionali quella di Andrea Stoppini, tanti “avrebbe” e un imperativo solo. Quello dell’agosto 2006 nella notte di Washington, quando da onesto numero 246 ATP si prende il lusso di battere in casa, su un campo dove ha trionfato cinque volte, Andre Agassi. Il mito assoluto per un paio di generazioni di appassionati e praticanti. E, leggenda nella leggenda, lo batte con una Fisher «sbagliata», 1,5 cm più lunga del dovuto nel manico. Manico che lo stesso Andrea segherà con il padre nell’officina meccanica di famiglia. Una congiunzione astrale durata un giorno ma la vittoria, quella vittoria, vale una carriera intera. E vale anche la citazione, tre righe in tutto ma preziose come l’oro, in Open, l’autobiografia scritta da Agassi e che rappresenta un autentico caso letterario degli ultimi anni. «Vado a Washington e gioco con un italiano che viene dalle qualificazioni, di nome Andrea Stoppini. Mi batte come se a venire dalle qualificazioni fossi io. Perdo e mi vergogno». Tutto qui, ma hai capito cosa vuol dire. Perché tra l’altro il rivano è l’unico tennista italiano ad essere citato da Agassi nel suo libro insieme al bolognese Andrea Gaudenzi.

Stoppini, come e quando si è avvicinato al tennis? «Potevo avere sette o otto anni. Prima un po’ di calcio, poi ho iniziato contro il muro. Da qui a prendere lezioni serie il passo è stato breve». E quello successivo? «Un po’ di talento c’era e a 14 anni ho iniziato al centro tecnico federale, quello è stato il momento in cui ho iniziato sul serio. Da Riva mi sono spostato a Milano, da solo». […]

Lei viene da una famiglia che aveva qualche pratica già con il mondo del tennis? «Per niente, in casa mia si praticava e si seguiva il calcio. Mio padre aveva un’ officina meccanica, soprattutto scooter e moto, mia madre era insegnante elementare. Tutto qui. Ma hanno capito il mio sogno e, visto che un po’ di predisposizione c’era, hanno sempre cercato di facilitarmi in tutto». Buon fisico, colpi potenti, forte sul cemento e sul veloce. Best ranking Atp numero 161: ci si riconosce in questo abito? «Ma sì, quello è. Se penso da dove sono partito credo di aver fatto tanto. Se guardo alle qualità che avevo, un po’ di rimpianto c’è. Tra i primi 50 al mondo ci potevo stare, mi sono ritirato presto, a 31 anni, ma sono in pace». Se azioniamo la macchina del tempo cosa non rifarebbe? «La prenderei proprio come un mestiere. Io fino ai 25 anni ho sempre considerato il tennis come un gran divertimento, con poca programmazione. Un po’ improvvisavo, troppe volte ho fatto di testa mia». Andiamo all’agosto 2006, Washington: le ricorda qualcosa? «Eccome… Dico al mio compagno di allenamenti Beppe Menga che voglio andare negli Usa a giocare. Partiamo e ci facciamo tutta l’estate con i Challenger dove trovo i punti per il Master 500 di Washington. Passo le “quali” e al primo turno supero Goldstein. Poi, al secondo turno, trovo Agassi». Primo pensiero? «Non perdere con un doppio 6-o e tenere dignitosamente il campo». E invece? «E invece mi accorgo di stare bene. Lui era al giro finale in carriera ma stava ancora al 22 del ranking ma con me proprio non girava. Mi porto sul 6-3 al primo, poi lui spacca una racchetta dal nervoso ma io tengo botta, reggo la tensione: i colpi mi entrano, gli strappo il servizio e vinco 6-4». Da non crederci… «Sì, proprio da non crederci… A bordo rete io gli balbetto qualcosa tipo “è stato un onore”, lui mi stringe la mano, sorride e mi fa “good luck”. Tutto qui. E pensare che avrei voluto portarmi a casa quella racchetta che aveva spaccato a terra e che lui regalò a uno spettatore. Peccato, adesso potrei dire di avere in salotto una racchetta usata da Agassi…». A proposito di racchetta, lei ha giocato con una Fischer, diciamo, fatta in casa… «Mi avevano mandato per errore un pacco di racchette più lunghe di un centimetro e mezzo… Le ho segate con mio padre in officina e poi l’ho controbilanciata io. E con quella roba lì ho battuto Agassi…» […]


A Serena il derby delle mamme; Aliassime demolisce Tsitsipas (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Il derby delle mamme, l’incontro tra due ex numero uno che dopo la maternità hanno lottato e stanno lottando per riprendere il loro posto ad altissimo livello. Non poteva esserci match più rappresentativo per l’8 marzo di Indian Wells di quello tra Serena Williams e Vika Azareka, vinto in due set dalla regina di 23 Slam. Una partita combattuta tra due «sorelle» di maternità. La bielorussa ha dovuto combattere oltre un anno per la custodia del figlio Leo in una lunga causa contro l’ex compagno. Tornei saltati e classifica crollata per Vika che adesso è numero 48 del mondo. «È stata dura, ho dovuto lottare per ogni punto — ha raccontato la Williams —, è stata una bella battaglia». Vika e Serena si stimano: «Ha meritato di vincere — ha detto la bielorussa —. Anche se Serena è la più forte rivale che abbia mai dovuto affrontare nella mia carriera, è sicuramente la persona con cui preferisco giocare, è una sfida che mi dà sempre incredibili motivazioni». Dall’ultima volta in cui si erano incontrate, la finale di Indian Wells vinta da Vika, le loro vite sono cambiate. Sono diventate madri: «Entrambe sappiamo quanto è difficile ripartire quasi da zero e lottare per tornare ai livelli di un tempo», ha aggiunto Serena. L’abbraccio affettuoso e sincero che si sono scambiate a fine partita sapeva di stima, rispetto, complicità: «È stata una coincidenza fantastica che un incontro come il nostro si sia svolto proprio nella Giornata Internazionale della donna». Il torneo per Serena continua ora con un terzo turno contro un’altra ex numero uno: Garbine Muguruza. Un ostacolo impegnativo sulla via del primo titolo per lei che aspetta ancora di sollevare un trofeo da quando ha dato alla luce la piccola Alexis Olympia, a settembre 2017. Sul fronte del doppio maschile la coppia formata da Fabio Fognini e Novak Djokovic ha superato con successo per 7-6(5), 6-1 il duo composto da Milos Raonic e Jeremy Chardy. Fognini oggi inizia il percorso in singolare partendo dal secondo turno contro Radu Albot, numero 53 del mondo. Intanto ieri un altro exploit del canadese del 2000 Felix Auger Aliassime che ha eliminato al secondo turno il fresco numero 10 al mondo Stefanos Tsitsipas. Fuori anche Alex De Minaur, finalista insieme al greco delle Next Gen Atp Finals di Milano a novembre scorso, battuto da Giron. Marco Cecchinato sciupa molte occasioni e saluta. L’azzurro, testa di serie numero 15 del torneo cede allo spagnolo Albert Ramos dopo aver giocato alla pari per buona parte del 1° set, quando al settimo gioco spreca tutto da 0-40 e va in tilt venendo poi brekkato. Perso il set 6-4, l’azzurro si innervosisce perdendo rapidamente 6-2 il secondo set.


«Torino può farcela» (Piero Guerrini, Tuttosport)

È stata una bella giornata per il sindaco di Torino, Chiara Appendino, cominciata illustrando ai torinesi attraverso un messaggio video di cinque minuti via social su Facebook la corsa riaperta e anche in buona posizione per le finali Atp della sua città. Trovato l’appoggio politico, Appendino può ora programmare i successivi passi per le finali Atp dal 2021 al 2025. Il sindaco ha spiegato l’importanza di questa candidatura: «Può portare 250.000 spettatori in una settimana e più visitatori, ma soprattutto è una candidatura pluriennale, non si tratterebbe di una sola stagione». Non è il momento di cantare vittoria, ma di gonfiare il petto per il primo risultato ottenuto sì: «All’inizio le candidature erano 40, dunque è un evento che interessa tutto il mondo. Entrare tra le cinque finaliste non è stato facile, decisiva è stata la credibilità di Torino, voi cittadini siete i primi a conoscere le qualità della nostra città e su quelle abbiamo puntato, l’accoglienza, la bellezza, la cultura, le strutture. Poi il secondo passo è stato più difficile, perché non dipendeva più soltanto dalla città, ma dal reperimento di risorse, l’appoggio del governo, in precedenza dell’imprenditoria. E’ dura, affrontiamo città forti, ma è ancora lunga e continueremo a fare la nostra parte. Eravamo già contenti di essere entrati nella shortlist e c’è ancora molto da lottare ma questa città si giocherà le sue carte fino in fondo». Pare che l’Atp tour si voglia prendere qualche giorno in più, intorno a fine mese. E questo consentirà a Torino di fornire tutti i chiarimenti necessari. E dimostra che Atp Tour considera Torino sede molto interessante per la posizione, la struttura ospitante, le strutture vicine e la possibilità di creare una cittadella dell’evento. «E’ un evento che garantirebbe alla città di posizionarsi a livello internazionale – ha continuato Appendino – avere visibilità e fare investimenti pluriennali sul tennis e su tutta la filiera di tennis e sport». [segue]


Viaggio intorno al mondo di Roger (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Fosse nato 400 chilometri più giù… Ai tifosi italiani di Federer, e sono centinaia di migliaia, il pensiero che la più preziosa divinità mai apparsa nel tennis avrebbe potuto farci la grazia di spostare la culla dalle nostre parti e regalarci così il campione più emozionante della storia della racchetta, ha popolato tutti i giorni e le notti in cui Roger ha illustrato il suo talento. Così, bisogna consolarsi con lo speciale feeling che il fenomeno svizzero ha sempre coltivato con l’Italia. Un legame nato fin da bambino, quando i genitori lo portavano in vacanza sulle Alpi in inverno e d’estate e anche per il ricordo dei tornei juniores che disputò a Firenze e Prato (dove vinse) e perché lo vincolano sentimentalmente le splendide memorie di due vittorie che lo hanno messo sulla mappa del tennis che conta, indicandone ante litteram le qualità da futuro dominatore. La prima matura nella primavera del 1999. L’Italia, finalista nell’edizione precedente, affronta la Svizzera in trasferta a Neuchatel nel primo turno di Coppa Davis. Non possiamo schierare Gaudenzi, che ha lasciato una spalla sul campo proprio durante lo sfortunato epilogo di qualche mese prima e, alla vigilia, perdiamo per infortunio anche Diego Nargiso. I titolari in singolare, perciò, saranno Pozzi e Sanguinetti. Sulla superficie indoor veloce scelta dai padroni di casa, dati per persi i due punti contro l’ex n. 9 Marc Rosset, l’obiettivo degli azzurri è cogliere i due punti contro quel giovane n. 123 al mondo e che certo non potrà reggere la tensione e le pressioni di un esordio così impegnativo. Altro che pressione… Il sorteggio mette di fronte Federer contro Sanguinetti nel secondo match, che si apre come da pronostico con i padroni di casa in vantaggio per uno a zero. E chi pensava che il ragazzino si sciogliesse di fronte al peso di un incontro del genere, deve ricredersi. Roger vince il primo set, perde il secondo e, senza tremare, finisce per chiudere la disfida al quarto. Il capitano dell’Italia Paolo Bertolucci commenterà così il pessimo venerdì: «Sapevamo che aveva le doti per esplodere da un momento all’altro, ma sinceramente avrei preferito che lo avesse fatto da lunedì prossimo». Due anni dopo, siamo in febbraio, Federer è già il numero 27 del mondo e al torneo di Milano approda all’atto decisivo contro Boutter. Giudicata con gli occhi di 18 anni dopo e delle meraviglie che in questo lungo intervallo di trionfi Roger ha regalato, sembra fuori da ogni logica la considerazione che prima e durante quella finale i favori di gran parte dei giornalisti e di tutto il pubblico del Forum andassero al francese. In ogni caso, vince Roger in tre set e in fondo è stimolante per l’orgoglio di noi italiani poter vantare che la straordinaria corsa del più grande di tutti i tempi sia cominciata proprio nel nostro paese fino ad arrivare a quota 100 tornei vinti. [segue]

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