Osaka, una difficile scelta per la regina

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Osaka, una difficile scelta per la regina

Tra pochi mesi Naomi Osaka potrebbe essere costretta a scegliere tra il passaporto giapponese e quello americano

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Naomi Osaka - Australian Open 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Dopo aver mantenuto per il rotto della cuffia la leadership nella classifica WTA al termine del Sunshine Double, Naomi Osaka è tornata prepotentemente a far parlare di sé anche senza scendere in campo. Durante i primi giorni di aprile, infatti, non solamente è stato reso noto il suo cambio di scuderia da Adidas a Nike, accompagnato da un insolito permesso concesso dall’azienda americana di continuare a indossare i banner promozionali sui suoi abiti, ma è anche emersa una imminente questione burocratica che la vedrà protagonista prima della fine di quest’anno.

Qualche giorno fa il New York Times ha attirato l’attenzione sullo speciale status di Naomi Osaka che, in virtù della diversa nazionalità dei suoi genitori, al momento gode di doppia cittadinanza. Naomi, infatti, è nata in Giappone da madre giapponese e da padre di discendenza haitiana ma con passaporto americano, e all’età di tre anni si trasferì negli Stati Uniti per vivere con i nonni paterni. In base alla legge giapponese, che è fortemente orientata allo ius sanguinis (diritto di sangue), i figli di coppie miste (ovvero in cui il padre e la madre hanno nazionalità diversa) possono mantenere la doppia nazionalità solamente fino al ventiduesimo anno di età, dopodiché devono scegliere tra il passaporto giapponese e l’altro di cui sono in possesso. Dal momento che Osaka compirà 22 anni il prossimo ottobre, si avvicina per lei il momento di questa scelta tra il paese che formalmente rappresenta, il Giappone, e quello nel quale ha passato gran parte della sua vita e nel quale tuttora vive, gli Stati Uniti.

La situazione, tuttavia, è più ingarbugliata di quanto non sembri. Anche se dal 1985 esiste questa legge in Giappone che proibisce la doppia cittadinanza per gli individui maggiori di 22 anni, di fatto non è mai successo che lo Stato giapponese abbia forzosamente fatto rispettare questa normativa. Secondo il New York Times, che cita fonti del Ministero della Giustizia nipponico, ci sono circa 890.000 giapponesi che sono anche in possesso di un passaporto di un altro Paese, e non è mai accaduto che sia stata revocata la cittadinanza a un individuo che fosse giapponese dalla nascita. Diversa è invece la situazione per chi sceglie di naturalizzarsi: in questo caso il Giappone richiede che si rinunci alla cittadinanza giapponese, come invece non accade in sempre più Paesi oggi giorno, ivi inclusa l’Italia.

Di fatto quello che succede per la maggior parte degli hafu (letteralmente “metà”, come vengono chiamati in giapponese coloro che hanno i genitori di nazionalità diverse) è che al compimento del ventiduesimo anno si cerca di evitare il più possibile l’argomento “passaporto” e si continua a mantenere entrambe le cittadinanze per un periodo indefinito. Tuttavia questa sembrerebbe una strada difficilmente percorribile da Osaka: data la sua enorme popolarità, soprattutto alla vigilia dei Giochi Olimpici di Tokyo, sarebbe abbastanza complicato per lei “volare sotto i radar” e tentare di sopravvivere a lungo in questa inconsueta “zona grigia” stranamente tollerata da un Paese solitamente inflessibile nel rispetto delle regole.

Paradossalmente, la grande notorietà di Naomi potrebbe dare un’occasione al Governo per dare un “giro di vite” alla questione, dato che se Osaka dovesse mantenere due passaporti in maniera più o meno plateale potrebbe essere considerata una circostanza imbarazzante per l’esecutivo di Tokyo. Oppure la delicata situazione della numero 1 del mondo potrebbe costituire la molla per far cambiare una legge, quella sull’inammissibilità della doppia cittadinanza, che in un mondo sempre più globalizzato sta diventando sempre più anacronistica.

Infatti mentre un tempo era piuttosto usuale che per ottenere un passaporto si dovesse rinunciare a quello di cui si era già in possesso, negli ultimi decenni la tendenza è stata quella di iniziare a permettere la doppia cittadinanza. In campo tennistico il caso più emblematico è quello di Tommy Haas, tedesco di nascita e ora naturalizzato statunitense dopo aver vissuto per tanti anni in Florida e sposato una cittadina americana, che in Germania causò più di un malumore quando, nonostante la sua scelta di ottenere il passaporto con l’aquilotto e di cambiare addirittura la sua nazionalità sportiva, ottenne il permesso di mantenere anche il passaporto tedesco, fatto questo che di norma non sarebbe stato consentito.

La Germania infatti è un Paese ancora piuttosto restio a riconoscere la doppia cittadinanza: costretta dall’Unione Europea a permettere il doppio passaporto con gli altri Paesi dell’Unione e con la Svizzera, le eccezioni per i Paesi extra-europei erano e sono solamente concesse quasi esclusivamente per motivi di sangue (ovvero se uno dei genitori era originario di un altro paese), mentre Haas ottenne il privilegiò in virtù dei suoi trascorsi di rappresentante della Germania in competizioni internazionali (come la Coppa Davis).

Tornando alla vicenda di Osaka, se si effettua una valutazione slegata da considerazioni di tipo emotivo, ci si potrebbe anche domandare che tipo di vantaggio avrebbe Naomi a mantenere il passaporto americano, dal momento che ha scelto di giocare rappresentando il Giappone e non ha mai dato indicazioni di voler cambiare idea. Al momento la ragazza risiede in Florida, quindi se dovesse perdere il passaporto americano, per continuare a vivere lì dovrebbe ricominciare da capo con visti e permessi di soggiorno, non difficili da ottenere per un’atleta del suo livello, ma sicuramente tediosi dal punto di vista burocratico.

In alternativa, potrebbe decidere di trasferirsi altrove, ottenendone un non trascurabile effetto collaterale: i cittadini americani, infatti, sono tenuti a dichiarare all’IRS (Inland Revenue Service, il fisco americano) tutti i loro redditi mondiali e pagare al governo federale una percentuale (solitamente piuttosto bassa, intorno al 4-5%) di questi guadagni, indipendentemente dal luogo di residenza. Rinunciando al passaporto americano Osaka non dovrebbe più adempiere a quest’incombenza ed evitare di pagare le tasse agli USA: considerando il suo potenziale di guadagno nei prossimi 10-15 anni, è probabile che si tratti di un risparmio non trascurabile, e se poi dovesse trasferirsi in un paradiso fiscale, come le vicine Bahamas, potrebbe migliorare la sua situazione tributaria in maniera significativa.

Non rimane che attendere gli sviluppi della vicenda che con ogni probabilità si risolverà entro la fine dell’anno e sicuramente prima delle prossime Olimpiadi, quando Naomi Osaka sarà uno dei volti di Tokyo 2020. Sempre che per quella data sia ancora una cittadina giapponese.

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