Berrettini, niente Federer: «Svuotato da Roma» (Crivelli). Gli errori di Berrettini. Perde la lezione di Federer (Azzolini). Svaniscono le speranze azzurre (Nigro). Roland Garros, Slam per vecchi (Semeraro). Tra le donne è rissa per il n. 1 (Azzolini). Wawrinka è rinato: «Ho coltivato l'arte dell'attesa» (Crivelli)

Rassegna stampa

Berrettini, niente Federer: «Svuotato da Roma» (Crivelli). Gli errori di Berrettini. Perde la lezione di Federer (Azzolini). Svaniscono le speranze azzurre (Nigro). Roland Garros, Slam per vecchi (Semeraro). Tra le donne è rissa per il n. 1 (Azzolini). Wawrinka è rinato: «Ho coltivato l’arte dell’attesa» (Crivelli)

La rassegna stampa di giovedì 30 maggio 2019

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Berrettini, niente Federer: «Svuotato da Roma» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Lo vedi. E’ un miraggio che può materializzarsi fino a regalarti la vetrina di un incrocio magico con Federer. E invece la realtà ti procura un tonfo pesante, una botta che potrà essere salutare in un percorso di crescita che un pomeriggio balordo non può cancellare. Berrettini sognava il Divino. Un terzo turno sullo Chatrier contro una leggenda vivente. Il ventenne Ruud, figlio d’arte, lo riporta sulla terra con un match solidissimo, ancorato a un dritto che spacca, retaggio dei primi insegnamenti di papà Christian, fin qui il più forte giocatore mai prodotto dalla Norvegia presto destinato a a essere soppiantato dall’erede. Quel dritto che tradisce invece Matteo, clamorosamente privo per una volta dell’arma letale: da quella parte regalerà addirittura 24 gratuiti. Meglio passare oltre: «Il match l’ho perso prima di tutto sul piano nervoso, non ero carico come al solito. Ci ho provato fino alla fine, ma non ero brillante. In fondo la sfida si è decisa su pochi punti, bastava poco per farla girare a mio favore». Magari sfruttare le due palle break concesse dall’avversario sul 3-3 del secondo set avrebbe potuto mutare l’inerzia di una sfida in cui Berrettini va a sprazzi, o ancora gestire meglio il vantaggio di un break ottenuto a inizio terzo set: «La chiave tattica è stata che nei game di servizio lui mi ha sempre messo pressione con il diritto». Una questione di energia: «Nelle ultime settimane ho giocato molto affrontando tanti avversari forti, Zverev, Schwartzman, Kohlschreiber, Pouille. A Roma ho raggiunto il terzo turno e per noi Italiani quello è un appuntamento molto sentito, è un torneo che ti porta via tante energie. Sono arrivato qui con poca benzina, soprattutto dal punto di vista mentale. Non ho avuto forza e energia per replicare alle difficoltà che mi ha presentato l’avversario. Tuttavia le sconfitte che più bruciano sono anche quelle che più servono per crescere e migliorare, l’unica soluzione è ripartire con ancora più convinzione». Intanto però c’è da onorare un torneo di doppio insieme a Sonego iniziato con il botto dell’eliminazione delle teste di serie numero due Murray e Soares: chissà se in coppia potrà togliersi le soddisfazioni che gli ha negato il singolare. […]

Gli errori di Berrettini. Perde la lezione di Federer (Daniele Azzolini, Tuttosport)

A parte i soliti, più o meno Favolosi ma sempre davanti agli altri malgrado età e acciacchi, questo di Parigi è il primo Slam del raggiunto rinnovamento generazionale, nel quale per la prima volta si dà per plausibile che un giovane possa arrivare in alto. Eppure, uno Slam giovanile mostra una serie di aspetti particolari, che un torneo adulto tende naturalmente ad anestetizzare. Certo tipo di foga nell’affrontare i match, per dirne una. E quel genere di errori commessi per disattenzione, perché si sta pensando ad altro. Errori di gioventù, che rendono il torneo più instabile nelle aspettative. Errori in cui tutti cadono, a turno, in nome di una gioventù che è fresca proprio perché sgorga dalla falda più profonda, quella di un carattere ancora da modellare. La corazza arriverà, ma solo con il tempo, fra sconfitte non preventivate ed evitabili, «ché tanto l’ho già capito, più fanno male e più alla lunga porteranno benefici». Parla così Matteo Berrettini, e fa bene a non nascondersi dietro a un dito. Questo è successo ieri contro il ventenne norvegese Casper Ruud, in un secondo turno che non si presentava agevole ma nemmeno impossibile, giocato per guadagnarsi un posto accanto a Federer sul Centrale, in una sfida dai valori già molto alti. «Eravamo vicini, ho buttato via in modo stupido il primo set, nel secondo ho avuto due palle break che mi avrebbero permesso di pareggiare il conto e quello mi ha fatto un ace di seconda che… Per carità bravo lui, ma ha beccato giusto un filo di riga bianca. Al di là di questo, sentivo di non essere nei miei panni migliori, e sapevo che stavo procedendo senza la giusta convinzione». D’accordo, l’abbiamo notato tutti, e poi basta guardare il conto finale: tre set a zero per Ruud con 15 palle break per Berrettini, di cui una sola messa a segno, e 5 per il norvegese, con 4 segni positivi. Ma il problema è perché questa improvvisa insicurezza? «Non so, abbiamo cominciato già a parlarne con quelli del mio Team. Un po’ di desuetudine c’è, inutile girarci intorno. Sono pochi i tornei tre su cinque che ho giocato. E nell’ultimo periodo il tour è stato pieno di impegni: Roma per esempio mi ha sottoposto a una vera centrifuga, mai avvertito un dispendio di energie mentali come in quella occasione». L’occasione persa però resta. Il duello con Federer sarebbe stato simile a un esame da maturando. Dispiace, anche se proprio Federer lancia un salvagente al nostro, parlando dei suoi anni giovanili al termine del match con il tedesco Otte. Gli fanno notare che l’ultima sconfitta al primo turno di uno Slam risale al 2003, proprio su questi campi e contro il cileno Horna. «Fu una sconfitta che mi scombussolò, me la portai dentro a lungo. Avevo già una classifica importante, e invece buttai il primo set. Tutto mi apparve così difficile che non riuscii più a ritrovarmi. Ma non avevo ancora capito che in questo sport si procede punto per punto, che solo quello deve interessare e può fare la differenza. L’ho capito più avanti. E forse Horna mi ha aiutato ad arrivarci prima. Magari, un giorno lo incontro e lo ringrazio». Chissà, magari un giorno Berrettini incontrerà Ruud e lo ringrazierà.

Svaniscono le speranze azzurre (Agostino Nigro, Il Resto del Carlino)

PARIGI – Tante speranze azzurre stanno svanendo sotto il cielo di Parigi. Fin qui il 2019 era stato a dir poco promettente, con risultati eccellenti per Fognini, Berrettini e Cecchinato, tutti vittoriosi in vari tornei. Ma qui al Roland Garros, dove un anno fa Cecchinato centrò una stupefacente semifinale, le cose stanno andando a rovescio. Di undici italiani all’avvio del torneo ne sono già usciti nove prima della conclusione del secondo turno per il quale oggi saranno impegnati Fognini con il mancino argentino Delbonis, n.75 Atp – bilancio dei confronti diretti 4-2 per il ligure – e il qualificato siciliano Caruso n.147 con l’esperto francese Simon, n.33.

Dopo due sconfitte al quinto set, di Cecchinato con Mahut e di Travaglia con Mannarino , è arrivato ieri anche lo scivolone di Matteo Berrettini, n.31 battuto 64 75 63 in 2h e 21m dal norvegese Casper Ruud, n.63 e figlio d’arte. Suo padre Christian, che gli fa anche da coach, nel ’95 era stato n.39,  e i due Ruud sono stati i soli due norvegesi capaci di entrare tra i top-100. Un dato strano se si pensa che la vicina Svezia ha avuto ben 17 top-ten e i top 100 non si contano nemmeno. Troppi gli errori del ragazzo romano 38 contro 20, e troppo più aggressivo fin dalla risposta il norvegese che ha risposto molto meglio e messo in mostra un gran dritto che al prossimo turno potrebbe impensierire perfino Roger Federer, facile vincitore in 3 set del tedesco Otte, così come facilmente si era imposto in 3 set anche Rafa Nadal sull’altro tedesco semisconosciuto Maden. Si è ritirata l’olandese Bertens, affetta da un virus intestinale. Solo Osaka o Pliskova potranno essere n.1 del mondo a fine torneo

Su www.ubitennis.com le interviste di Federer, Nadal, Berrettini. 

Roland Garros, Slam per vecchi (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Truffaut e Godard, i registi della Nouvelle Vague che sessant’anni anni fa se la prendevano con il ‘cinema di papà’, convenzionale e stantio, oggi sarebbero solidali con la Next Gen del tennis. Hai voglia a raschiare il fondo del marketing e tentare l’assalto al potere: i patriarchi del tennis non mollano l’osso. Primo di tutti Roger Federer che elveticamente inossidabile e apparentemente insensibile ai 38 anni che scoccheranno il prossimo agosto naviga sovrano fra le generazioni.  A Parigi, più che a puntare ad un successo francamente improbabile (occhio: non impossibile), Federer che contrariamente ai suoi diretti avversari non ha nulla da difendere, cerca soprattutto la forma giusta e i punti necessari a mettere in sicurezza la classifica (oggi è virtualmente numero 2) per restare fra le prime teste di serie a Wimbledon. Nel frattempo, un po’ come fa a casa con i suoi quattro gemelli, si occupa di educare la gioventù. Ieri in tre set ha riaccompagnato alla porta del Roland Garros il 25enne tedesco Oscar Otte, numero 114 della classifica mondiale, domani al terzo turno dovrà prendere a mano il talentino norvegese Casper Rudd, n.63 Atp, che di anni ne ha appena 20, essendo nato nel 1998: giusto l’anno in cui Roger debuttava nel circuito pro. Casper, che ieri, ahinoi, ha seccato in tre set Matteo Berrettini per altro è figlio d’arte. Suo papà Christian è stato numero 39 del mondo nel 1995 – due top – 100 hanno avuto nella storia i norvegesi, e sono padre e figlio… […] Un altro papà vincente, e al tempo stesso enfant du pays, è Nicholas Mahut, 37 anni come Federer, che a Parigi è campione in carica di doppio.  L’anno  scorso dopo la finale commosse tutti con l’abbraccio in campo al figlioletto Nathanael, replicato tre giorni fa dopo il successo contro Marco Cecchinato. Ieri Nicholas ha superato in tre set anche il 35enne Philip Kohlschreiber infilando il suo Serve e Volley bellissimo e un po’ vintage nel terzo turno del torneo. Statistica sfiziosa, sponsorizzata dal gerovital: prima dei 30 anni Mahut – che tutti ricordano aver perso nel 2010 a Wimbledon contro Isner il match più lungo della storia del tennis – di terzi turni nello Slam ne aveva passato solo uno, da quando è entrato negli ‘enta’ invece sono già sette. Il tennis insomma si ostina a rimanere un paese per vecchi, come dimostra anche il simpatico caso familiare di Ivo Karlovic. A 40 anni e 3 mesi il gigante croato è il nonno del circuito, depositario di molti campo record che hanno a che fare con gli ace e l’età. Martedì ne ha collezionato un altro, vincendo in quattro set contro il 37enne Feliciano Lopez il match più agée a livello Slam dagli Australian Open del 1977 (Rosewall-Tiriac, 79 anni in due) […]

Tra le donne è rissa per il n. 1 (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Da qualche tempo, nel tennis femminile, la corsa al Numero Uno ha perso parte della venatura epica che aveva segnato le imprese del passato. Nessuna donna sola al comando, nessuna sfida diretta alla più forte, nessun duello che possa porre fine a un’epoca. L’ultima Era del tennis al femminile se l’e portata via Serena Williams, fra pannolini, pappe e ruttini, e non è così difficile ipotizzare che quest’aggiunta di carriera ‘post partum’ della trentottenne americana, abbia come unico obiettivo di chiudere con un’ultima vittoria nello Slam, magari da mostrare e dedicare alla piccola Olympia. Ma di concorrere per essere ancora la prima, non sembra gliene importi più di tanto. Dovrebbe tornare a fare vita da tennista, giocare un buon numero di tornei, e forse non ne ha più nemmeno la voglia. Così, la conquista della vetta, molto somiglia in questi ultimi mesi a una rissa da cortile, alla quale partecipano non meno di sette, otto concorrenti alla volta. Tutte contro tutte. Identico spettacolo era atteso al Roland Garros, e lo sarà anche a Wimbledon e nei prossimi appuntamenti più ricchi di dollari e di punti in palio. ll caso ha voluto, però, che il confronto parigino si sia presto diradato di volti e di speranze. L’invito a darsele di santa ragione era stato esteso a Naomi Osaka, numero uno in carica, ormai al comando dal 28 gennaio (e sono 19 settimane), Karolina Pliskova risalita al numero due grazie alla vittoria romana, Simona Halep terza e campionessa in carica a Parigi, Kiki Bertens, Petra Kvitova e Angelique Kerber. Tutte già salite sul podio più alto, tranne Kvitova (per motivi misteriosi) e Bertens (perché prima di quest’anno mai competitiva per questo genere di gare). Poi tutto è saltato, e a fare a botte sono rimaste in due. La Kerber ha pensato bene di perdere al primo turno, la Kvitova ha dato forfait, la Bertens si è ritirata ieri per infortunio e la Halep anche tornando a vincere il torneo finirebbe terza, ma deve stare attenta a non perdere troppo presto per non ritrovarsi in coda al gruppo. Restano Naomi Osaka e Karolina Pliskova… La giapponese in secondo turno è attesa da Vika Azarenka; la ceca, vittoriosa ieri con la Kucova, è in terzo turno. Se Osaka dovesse perdere oggi o prima delle semifinali, la Pliskova dovrà arrivare in finale per superarla. Con la Osaka battuta in semi, Pliskova dovrebbe vincere il torneo.

Wawrinka è rinato: «Ho coltivato l’arte dell’attesa» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Una vita a rincorrere. Perfino nel dolore. Perché se nasci tennista nello stesso paese e nella stessa epoca di Federer, il tuo destino matura per forza nell’ombra. Eppure hai vinto tre Slam durante il più duraturo dominio sportivo che la storia conosca, con tre campioni titanici disposti a lasciare solo le minuzie. Povero Wawrinka: senza il triumvirato, sarebbe un re. E invece l’ingombrante presenza di Roger, Nadal e Djokovic è una compagnia grave da cui Stan non può sottrarsi né in salute né in malattia. Perché quelli, dopo infortuni assortiti e interventi chirurgici, sono tornati forti come prima, mentre tu arranchi, aggrappato a quel ginocchio destro operato nell’estate del 2017 e che ha rischiato di precipitarti in un baratro senza uscita. Però questa è Parigi, questa è la terra dove Stanimal frustrò quattro anni fa il primo sogno di Grande Slam di Djokovic, travolgendolo nell’epilogo con la prestazione probabilmente più esaltante della carriera, unico intruso in un albo d’oro che dal 2005 premia solo i Fab Three. Qui, l’ex numero tre del mondo ha giocato l’ultima delle sue finali Slam, due anni fa, un mese prima del crac. E qui sente di poter recuperare un posto al sole: «Ho giocato la miglior partita da quando sono rientrato, la più completa». E l’avversario non era affatto banale: il cileno Garin, 37 del mondo, un’eccellente passato da junior, è uno dei due soli giocatori in stagione a aver vinto almeno due tornei sulla terra (l’altro è Paire). Stan, in versione animal, lo schianta in un’ora e 40′, con 11 vincenti di dritto e 9 di rovescio, annullandogli cinque palle break su cinque. Sprazzi del vecchio Wawrinka, quello che agli Australian Open 2018, sembrava non poter più avere cittadinanza nel tennis: «Mi sentivo come morto, la cosa più difficile da accettare era la consapevolezza di quanto fossi lontano dal mio livello abituale. Mi sono reso conto che dovevo ripartire da zero e avere la forza di gestire una situazione così complessa». Aggravata dalla separazione di sei mesi prima con Magnus Norman. L’anno scorso Stan è risalito dal numero 263 di giugno al 66 di dicembre (adesso è 28), ma si è anche ritrovato a pensare se non fosse meglio smettere: «Durante la sosta da marzo a maggio la mia mente si è ribellata, lavoravo duro e non vedevo miglioramenti, non sopportavo il dolore e non mi divertivo più. E’ stata durissima». Come accade spesso, il clic scatta dopo una sconfitta brutale, nel primo turno di Washington a fine luglio contro Young, 264 Atp: «Un giorno tremendo. E allora ho deciso di mettere un po’ di distanza tra me e i risultati. Mi sono osservato da fuori, cercando di prendere le cose positive dalle partite. Così ho cominciato a coltivare la virtù della pazienza. Mi consolavo pensando che avevo comunque vinto tre Slam e ero arrivato in finale a Parigi anche nel 2017 nell’ultimo torneo in cui stavo davvero bene fisicamente. Poi ho sentito una voce dentro che mi diceva “Stan, tu vuoi ancora giocare a tennis, non ci può essere una chance che tu lasci tutto adesso”. Non poteva essere un infortunio a fermarmi».

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