Noah Rubin: “Molti giocatori abusano di alcol e sostanze per tirare avanti”

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Noah Rubin: “Molti giocatori abusano di alcol e sostanze per tirare avanti”

Il tennista newyorchese racconta la depressione diffusa e come molti colleghi la affrontano

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Noah Rubin (foto via Instagram, @behindtheracquet)
 

Noah Rubin è l’ideatore di “Behind The Racquet”, l’account Instagram dove i pro possono raccontare le loro esperienze che di solito restano ben lontane dal clamore dei grandi tornei, delle vittorie epiche, dei soldi a palate. Storie spesso di sofferenza, di depressione. In un’intervista a The Telegraph, Rubin parla proprio di questa condizione, di come sia legata all’organizzazione del tennis professionistico e delle sue conseguenze. Noah, ventitreenne di Long Island, ondeggia tra la duecentesima posizione della classifica fino al suo “best” di 125. Non solo poco conosciuti Challenger per lui, ma anche la Rod Laver Arena contro Roger Federer nel 2017. Uno che sa di cosa parla, insomma, e che vuole “provare a far capire alla gente cosa succede davvero nel tennis”.

Per quanto lui ami giocare, auspica dei cambiamenti radicali per ovviare a quelle che ritiene le due principali criticità: così com’è organizzato adesso, il tennis sta distruggendo gli atleti e scoraggiando gli appassionati. Questo perché è troppo “lungo” e mette la quantità prima della qualità. Stagioni più corte, quindi, perché “undici mesi sono qualcosa di brutale” che non ha riscontri negli altri sport. Per chi non è fra i primi 50, naturalmente, partecipare a più tornei possibile per raccogliere punti diventa una necessità e, allo stesso tempo, “il vero problema, perché ci si fa più male”. Dietro alla vetrina dei soliti noti che alzano trofei prestigiosi, ci sono quelli che se ne vanno in giro per il mondo per quasi tutto l’anno, soli ed esausti. “Come per i match truccati, molti buttano via gli incontri perché stanchi o per un aereo da prendere. Magari la gente pensa che prendano dei soldi per fare così, ma spesso, semplicemente, non vorrebbero essere là fuori”. Il senso di fallimento è un bagaglio per molti inevitabile e la depressione è diffusa; c’è molto abuso di alcol e sostanze perché è così che le persone affrontano il tennis”. Noah non beve, ma conosce chi lo fa per 12 ore “per resistere e prepararsi alla settimana successiva”.

L’aspetto economico non può non assumere un particolare rilievo. Riguardo all’importo spettante a chi vince uno Slam, Rubin calcola in circa 400.000 sterline la somma “non necessaria”, suggerendo che potrebbe invece essere spalmata tra i partecipanti alle qualificazioni. Va comunque precisato che gli sconfitti al primo turno di quali allo US Open riceveranno 11.000 dollari, una cifra superiore del 50% a quella spettante a Pedro Sousa, domenica scorsa vincitore del Challenger di Meerbusch. Ciò porta inevitabilmente il discorso sui ricavi derivanti dai tornei minori, per quanto il montepremi complessivo degli eventi sotto l’egida dell’ATP sia più che raddoppiato dal 2008 a oggi. E puntualizza che c’è anche chi fa fatica a incassare, come la belga Greet Minnen che ha dovuto aspettare tre mesi per avere i 1.543 dollari (sempre lordi) dei quarti raggiunti al W60 di Istanbul.

Ma Rubin non ne fa una semplice questione di montepremi, quanto di “costruire uno sport tale che la gente voglia pagare di più per vederlo. Tolti i tornei dello Slam, ci sono posti vuoti dappertutto”. Non proprio dappertutto, se lo scorso anno il Tour ha registrato 4,57 milioni di presenze, il secondo numero più alto dopo il 2017. Partendo dalla constatazione che “non puoi dire a un bambino di otto anni di guardare un incontro di tennis per quattro ore”, la sua soluzione a questa ovvietà è di cancellare i tre set su cinque, “un’assurdità, non importa cosa dice la gente”.

È il solito discorso sul tennis che non attrarrebbe nuovi fan, nato dalla lettura – invero parziale o “parziale” – della statistica sull’età media di chi guarda lo sport in TV negli Usa: 61 anni per il tennis maschile – età comunque in crescita per tutte le discipline, WTA esclusa. I dati non tengono però conto di chi si affida a PC, tablet e smartphone, ovvero le fasce più giovani. Rubin non convince appieno neanche a proposito dell’assurdità del 3 su 5 di fronte all’innegabile successo degli Slam, ma resta senza dubbio un personaggio animato dalle migliori intenzioni con il grande merito di dare voce ad argomenti che resterebbero altrimenti inespressi, troppo seri e “reali” per trovare visibilità tra le luci abbacinanti del grande palcoscenico.

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