Simona Halep si racconta: "Non c'è nulla di magico nello sport. Devi lavorare e basta"

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Simona Halep si racconta: “Non c’è nulla di magico nello sport. Devi lavorare e basta”

La giocatrice rumena segreti e debolezze. “A rete, è come se il campo si restringesse. Non so dove tirare e la tiro fuori”. Coach Cahill la paragona al diavolo della Tasmania: “A volte gioca anche contro sé stessa”

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Simona Halep - Internazionali d'Italia 2020 (foto Giampiero Sposito)
 

Simona Halep si sta allenando in vista della partenza dell’Australia. Quattro o cinque giorni di pausa, ancora qualche palla da colpire e il viaggio in aereo. Il team la prende bonariamente in giro mentre lei si stiracchia sul foam roller, un rullo in gommapiuma per allenarsi. Coach Cahill si informa se Simo ha parlato bene della squadra. “Nella media” risponde il regista. “Gliela faremo pagare”.

Accadeva circa un anno fa, ma il video è stato pubblicato lo scorso 1° dicembre in occasione della Giornata della Grande Unione, festa nazionale rumena. Non che i piani siano molto diversi quest’anno, per quanto tutto sia diverso. Di sicuro, Halep prenderà parte all’Australian Open – e non era affatto scontato, dopo aver centellinato le apparizioni nella stagione 2020, parte II: Praga, Roma, Parigi e di nuovo a casa. Tra palestra, atletica e il noto rettangolo con la rete in mezzo, Simona si apre su obiettivi, esagerazioni folli e divertenti, ironizza sui cambi di umore repentini (una costante del racconto), nella sua versione più rilassata e loquace che il suo allenatore ha contribuito a crescere.

DI COSA PARLIAMO – “Tutto ciò che faccio quotidianamente è in funzione del tennis. Non vado a letto tardi, non esco perché mi stanco e il giorno dopo non sono al meglio. Può apparire molto professionale o forse un po’ triste, ma è un incipit che sgombra il campo da qualsiasi dubbio sul suo genere di approccio allo sport. “La gente non capisce che non funziona ogni giorno allo stesso modo ai massimi livelli. Dopo una pausa di due o tre settimane, il primo giorno non colpivo un solo cono [la vediamo sul campo intenta a sparare dritti verso i bersagli o ‘cinesini’]. Ci vuole pratica. Ciò che fai in allenamento sono le stesse cose che devi fare in partita. Ho voglia di colpire cento, duecento volte, forse anche più, finché inizio a sentirmi la palla nella mano, finché non sento che non è più la racchetta a connettermi con la palla. Diventa parte di me.

Un risultato che si ottiene con le ripetizioni. “Quando la mia mente è determinata a fare qualcosa, posso farla. Ma devo avere qualcun al mio fianco, non ho mai fatto cose da sola. Neanche un esercizio. Faccio sempre quello che mi si dice. Anche se mi lamento, ‘perché devo farlo?’, lo faccio sempre.

IN PALESTRA – “Teo [Cercell, il preparatore] sa come prendermi: se mi lamento troppo, smette con certi esercizi; se mi lamento solo un po’, mi spinge a continuare. Non mi è mai piaciuto correre per lunghi tratti, come dieci chilometri. Mi fanno male le ginocchia, le caviglie, mi annoio. La nuova squadra applica il principio di allenamenti più brevi ma più intensi. A tennis non devi correre a lungo, lo dice Cahill. Lavorare in sala pesi ti logora perché usi molto i tendini, specialmente quelli dei polsi. Se carico le spalle, la schiena inizia subito a farmi male e le mie prestazioni crollano per una o due settimane. Ecco perché evitavo la parte sulla forza. Ma ho ricominciato perché invecchio e ho bisogno di incrementare la massa muscolare in modo che protegga tendini e ossa”.

GLI INSEGNAMENTI DI VITA – “Ho scelto Darren perché mi è piaciuta la sua pedagogia, come parla, perché mi ha capita. Ha cercato di cambiarmi ma secondo il mio stile. Le sue battute mi rilassano. Prima di incontrarlo non scherzavo, pensavo che, sul lavoro, dovessi essere inaccessibile. Mi ha aiutata ad aprirmi portandomi in un ambiente sereno e giochi dei gran match quando sei rilassata”. Simona ci ha ha messo un po’ a metabolizzare questa positività degli australiani. Per loro, perdi un incontro e ‘andiamo a farci una birra, domani è un altro giorno’. Io no, restavo arrabbiata e triste per tre giorni.

Simona Halep – Roland Garros 2018 (foto via Twitter, @rolandgarros)

TAZ-MANIA – Tornato al suo fianco dopo una breve pausa, Cahill paragona la sua pupilla al Diavolo della Tasmania, il personaggio dei fumetti che gira vorticosamente su sé stesso, corre velocissimo ed è sempre un po’ arrabbiato. “Il coach è importante, la chimica, gli allenamenti, la strategia, ma alla fine è il tennista che fa le cose” spiega Darren. “Andare in campo, dare tutto, se dai il massimo non importa il risultato: tutta questa filosofia da coach è spazzatura. “I giocatori hanno una piccola finestra di dieci, dodici anni, quindi ogni volta che vanno in campo vogliono vincere”. Non ci gira attorno, l’uomo di Adelaide. “Simona è emotiva e si preoccupa sempre della prestazione, ecco perché la vedi arrabbiarsi con sé stessa. A volte non gioca solo contro l’avversaria, ma contro la panchina, contro di sé.

L’AVVERSARIA DENTRO DI TE – Simo conferma che stress ed emozioni sono endogene. “Non penso mai ‘ohi, questa arriva tirandomi chissà quante palle e mi batte’. No, devo giocare anche contro il mio umore, la mia condizione mentale, le mie emozioni”. E c’è chi crede che si tratti solamente di colpire una palla. Le è stato insegnato a non litigare con gli altri. Sembra un buon insegnamento, purché non lo si prenda cavillosamente alla lettera. La parte negativa è che litigo da sola. Quando sono in campo c’è sempre qualcosa di me che mi disturba”.

UN’ENORMITÀ DI TRE MILLIMETRI – “Un singolo punto o colpo possono cambiare completamente lo stato d’animo. I tre millimetri di margine di errore di Hawk-eye, un nastro, un colpo facile che l’altra sbaglia, girano tutto e finisci per dominare un incontro senza neppure rendertene conto. Sei al settimo cielo, sbagli una palla e crolli”. La vediamo imporre la sua velocità di crociera sul mare domato, ma è tempesta tra le paratie. “È demoralizzante lavorare senza sosta per settimane e perdere al primo turno dopo che il tuo gioco era perfetto in allenamento. Non c’è più ragione di lavorare, hai di questi pensieri. Per un periodo, ho giocato così male che volevo solo scappare dal campo. Ci impegniamo tutti nella squadra, lavoriamo insieme, poi io vado in campo e non riesco a fare quello che dovrei. Mi vergogno di me e per loro.

ECCO CHE ARRIVA IL DOLORE – “Il momento peggiore della mia carriera è stato quando mi sono dovuta ritirare a causa del dolore. Preferisco non entrare in campo che iniziare e dovermi fermare. Ma succede che entri con un dolore a livello due e all’improvviso diventa otto, insopportabile, e devi smettere. È frustrante”. Halep è senz’altro riconosciuta come una delle ragazze più atletiche e fisicamente in forma del circuito, ma qualcosa scricchiola. “I movimenti del tennis sono rischiosi per la colonna vertebrale perché non puoi controllare la velocità alla quale ruoti o quanto ti allunghi per raggiungere una palla. Ho quattro ernie, non sono facili da gestire; devo rinforzare molto i muscoli vicini alla colonna in modo che tengano i dischi allineati”. Si aggrappa a una frase di Rafa Nadal, la stessa con cui i suoi compari la stuzzicavano all’inizio del video: se non fa male, c’è qualcosa di sbagliato. “Si convive con il dolore” conclude.

BAMBINA CATTIVA – “Quello che mi piace del tennis è che ogni giorno è un nuovo inizio a prescindere. Vinci, perdi, il giorno dopo fai esattamente la stessa cosa, punto dopo punto. Quando sbatto o lancio violentemente la racchetta per terra rovinandola è perché non sopporto quello che sto facendo, errori da principiante. Poi mi sento in colpa, era una racchetta buona e preziosa. Mi prendo cura delle mie racchette, sono mie amiche. Ma non in quei momenti. Sulle immagini dell’allenamento che rendono queste parole una didascalia perfetta, Simona ride di queste sue affermazioni. Sì, perché quando parte con qualche filippica da farti pensare che si lamenterebbe di meno lavorando come operaia turnista in un’azienda stagionale che inscatola sugo di pomodoro, la mette sempre sul ridere, conscia delle sue esagerazioni, delle sue manie.

“Quando sto così, ho la sensazione che quelli del mio team non soffrano con me e allora mi arrabbio. Sono un po’ sulle montagne russe durante gli incontri, ma loro lo capiscono e ormai non si arrabbiano più. Non ho più l’impulso di straparlare e incolpare qualcuno. Il mio maggiore progresso è stato dimenticare immediatamente l’errore e andare avanti. Ma sono ancora una ragazzina, posso incazzarmi e succede anche spesso. A essere onesta, mi diverte.

CANALIZZARE – La diverte e le serve, fa parte del suo gioco. “Mi libera dallo stress. Mi tiro delle racchettate in testa, mi schiaffeggio, mi maledico, ma è un po’ il sale della faccenda. In un doppio capita che ti colpiscano quando sei a rete. Stavano vincendo 6-0 e la tipa mi tira addosso così forte che penso di venire istantaneamente sfigurata. Abbiamo vinto il set 6-1 e poi il match perché ero talmente arrabbiata che non volevo lasciare andare un solo punto. È un bene quando l’avversaria mi fa arrabbiare perché mi motiva.

UNA RAGAZZA NORMALE – “Non voglio nascondere i nervi, il cattivo umore e neanche la gioia in campo. Ma non sono neanche capace di strafare. Non mi sono buttata a terra [quando ho vinto] al Roland Garros , perché avrei dovuto? Ho guardato in alto perché è quello che sentivo e ho guardato quelli del mio angolo perché con loro avevo lavorato giorno dopo giorno. Ero pronta a vincere i grandi tornei visto l’impegno che ci metto e il numero di incontri importanti che ho perso. È normale che qualcosa di buono mi accadesse. Quando ho vinto, ho detto ‘ ragazzi, ho meritato davvero’”.

THE WALL – “Non sono il tipo di giocatrice che serve a 200 km/h. Proprio no. È frustrante sul campo quando ti sparano tre ace in fila. Giochi con Pliskova che tira a 190 e oltre e tu ti sposti da un lato all’altro. È irritante”. A ognuna le proprie caratteristiche. Halep punta su corsa, agilità e allungo, reparti in cui è in vantaggio rispetto alle giocatrici alte. Spesso le altre mi chiamano il muro, ma è il mio punto di forza correre da un angolo all’altro e mettere a segno punti incredibili da posizioni strane, lontanissima dal campo. Toglie loro le armi, le rende più vulnerabili ed è in quel momento che spingo a tutta sull’acceleratore”.

INTRAPPOLATA NELLA… – Che Halep non sia a proprio agio nei pressi della rete è fin troppo evidente. Ma l’abbiamo vista in difficoltà anche quando viene attaccata costantemente, come ha fatto Taylor Townsend allo US Open 2019. “Vedo l’avversaria venire avanti ed è come se il campo si restringesse. Non so più dove tirare e la tiro fuori. Mancare undici metri di campo mi fa arrabbiare”. Dal divano, quella sera, avremmo tutti giocato qualche lob.

NOT A KIND OF MAGIC – “Secondo mio padre, se non mi diverto sul campo, non sarò in grado di fare tutto. Mi diverto” assicura la protagonista, “ma quando hai il punto del game e sbagli, set point e sbagli, match point, sbagli e perdi, non resta granché del divertimento”. Ma, per la ventottenne di Costanza, essere da anni fra le primissime senza mai il desiderio di fermarsi è prova che il tennis le piaccia, senza dimenticare che non c’è alcunché di magico nello sport. Devi lavorare e basta. Il mio obiettivo principale è vedere quanto brava posso diventare. Mi piacerebbe trovarmi di nuovo in una certa situazione e cercare di fare meglio alcune cose. Cose diverse nei match che ho perso. È così che vorrei raggiungere il vertice, per vedere se ho fatto progressi come essere umano”.

SEMBRA IERI CHE… – “C’è un’altra sfida adesso con quelle giovani, la next generation, diciannove, vent’anni. Quando sono entrata in classifica a 21-22 anni, pensavo che una di 28-30 fosse vecchia. Signore anziane. E ora ci sono arrivata io. A Shenzhen, quando ho visto che ero la seconda più vecchia dopo Kvitova, ho pensato ‘però, è cambiato tutto’. Potrebbe anche essere una specie di preparazione alla vita in generale, perché alcune cose cambiano quando arrivi quasi a trenta.

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