Federer no all'Australia. Cancella ATP Cup e Slam. Tornerà a fine febbraio (Cocchi). Lorenzo Musetti: "Nel mio tennis antico il segreto è respirare" (Rossi). Fabio Fognini: "In campo per tre anni, Sinner mi stimola" (Crivelli). Lisa Pigato: "Parigi ha riacceso la mia passione" (Bertellino)

Rassegna stampa

Federer no all’Australia. Cancella ATP Cup e Slam. Tornerà a fine febbraio (Cocchi). Lorenzo Musetti: “Nel mio tennis antico il segreto è respirare” (Rossi). Fabio Fognini: “In campo per tre anni, Sinner mi stimola” (Crivelli). Lisa Pigato: “Parigi ha riacceso la mia passione” (Bertellino)

La rassegna stampa di lunedì 28 dicembre 2020

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Federer no all’Australia. Cancella ATP Cup e Slam. Tornerà a fine febbraio (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Aveva illuso i tifosi e gli appassionati che lo aspettavano in Australia. Una fiammella che si era riaccesa dopo che, poche settimane fa, aveva allontanato l’ipotesi di rientrare per il primo Slam stagionale. La colpa sempre del ginocchio destro operato due volte e non ancora recuperato alla perfezione. Ma Roger Federer, fino a ieri iscritto già alla Atp Cup, il torneo per nazioni al via a Melbourne dal 2 al 5 febbraio, antipasto dell’Australian Open, ha ufficializzato la sua assenza dalla competizione e anche dallo Slam di apertura del 2021. La comunicazione ufficiale è arrivata da Toni Godsick, manager e socio dell’ex numero 1 al mondo.

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Lorenzo Musetti: “Nel mio tennis antico il segreto è respirare” (Paolo Rossi, La Repubblica)

Sarebbe stato il Natale perfetto per lui, se da Melbourne fosse arrivata la letterina di Babbo Natale. Ma la wild card sperata e attesa non è pervenuta e dunque, Lorenzo Musetti, si è accontentato del cenone in famiglia, cosa che comunque non gli accadeva da qualche anno. Lorenzo Musetti ha solo 18 anni, anche se ormai è un frequent flyer. È il ragazzo che ha incantato agli Internazionali di Roma, a settembre, eliminando Stan Wawrinka e Nishikori e diventando il più giovane italiano a qualificarsi agli ottavi di un Masters 1000 nell’era Open. Ora il mondo del tennis lo attende per l’esplosione definitiva nel 2021. Alla fine quei giorni che un giovane atleta sogna sono arrivati. «Li aspettavo, sapendo che prima o poi il lavoro paga sempre, ma erano inaspettati e quindi la ricompensa è stata più bella». Orgoglio e rivalsa, o quali altri sentimenti? «Orgoglio, nonostante il ritorno delle pacche sulle spalle». Come accadde già dopo iI trionfo agli Australian Open juniores. «Esatto, poi però ricordo anche i momenti bui successivi». E quindi ora è vaccinato su questo. «Ho avuto la forza di rialzarmi anche quando nessuno mi considerava. So come va il mondo, e capisco come nessuno vuole affiancarsi ai perdenti. Per questo bisogna affidarsi alle persone che ti vogliono veramente bene». Che poi sarebbero? «La mia famiglia, il mio coach e il mio team. Con il tempo inquadro subito gli opportunisti». Sembra che sia nel tennis da una vita. «Ma è così Faccio questa vita da tanti anni ormai: ho iniziato la mia esperienza professionale con Simone Tartarini che avevo nove anni, da Carrara a La Spezia fino a San Benedetto del Tronto». Un percorso di formazione e di crescita. «Con un unico mentore: Simone. Alla fine sto più con lui che con i miei genitori. Io sono curioso, ma Simone mi sprona ulteriormente. Vuole che segua le cose del mondo, niente Tik Tok o simili. E quando siamo per tornei andiamo a vedere le città, siamo in giro anche per distrarci: per dire, conosco Melbourne come fosse Carrara e la passeggiata lungo lo Yarra, dalle parti di Flinders street, è d’obbligo». Magari sono utili per farsi amicizie. «Di solito il mio compagno di viaggio è Giulio Zeppieri. Ormai siamo quasi un team unico, considerando le avventure da juniores».

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Poi c’è iI suo gioco, I suoi gesti tecnici tosi diversi dal resto del mondo. «Mi dicono che lo sia all’antica, con il mio rovescio a una mano, le smorzate. Ma a me piace, è il mio modo di giocare e non lo cambierei mai, anche se poi l’estro a volte mi sfugge e faccio confusione». Ma adesso aiutano gli esercizi respiratori. «Soffrivo la pressione, quasi misi bloccava il diaframma e in campo non riuscivo ad esprimermi: non ero abituato a stress e aspettative. Poi mi hanno fatto conoscere Fabio Brucini, che ha lavorato anche con Umberto Pelizzari, e mi ha dato delle lezioni». Sott’acqua? In apnea? «Ma no, no: nessuna lezione in acqua, tutto a secco con tanti consigli ed esercizi da fare: si è aperto un mondo, e così sono riuscito a meccanizzare in partita il tipo di respiro».

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Come In fondo à questa generazione azzurra dl tennisti. «Beh, voi che siete dall’altra parte dovreste esserne contenti. Siamo tanti, siamo giovani, siamo vogliosi: però bisogna prima uscire dalle paludi dei challenger. Ma il futuro del tennis italiano sarà in buone mani».

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Giovane, e già pronto per la carriera diplomatica. «Ma non faccio catenaccio, questo è il mio carattere. Il fatto è che il tennis assorbe, e io devo ancora crescere». Ecco, su quall punti? «Migliorare fisicamente, creare una muscolatura più forte. Tecnicamente stiamo lavorando sugli appoggi. Infine . mentalmente: devo consolidare lo step di crescita». Ma si gioca più per 1 soldi o per la gloria? «Prima c’è la passione, poi serve anche il resto. Perché i sacrifici ci sono, e i viaggi all’inizio son belli ma possono anche essere pesanti: sapeste quante feste comandate che ho già saltato…»

Fabio Fognini: “In campo per tre anni, Sinner mi stimola” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Sembra passato un secolo, e invece sono appena venti mesi: il trionfo a Montecarlo, il successo che vale una carriera, il premio a un talento scostante ma limpidissimo. Poi sono arrivati i guai alle caviglie, il coronavirus, il timore di dover lasciare il mondo in cui è diventato uomo, fino a una nuova speranza. Fognini è ancora qui. Fabio, di solito si cambia allenatore perché si pensa di avere ancora qualcosa da dire. «È così, io ritengo di essere ancora competitivo ad alti livelli, purtroppo il 2020 è stato un anno perso tra l’operazione alle caviglie e poi la positività al Covid di ottobre. Ho giocato appena 16 partite, in pratica devo ricominciare da zero. Ora sono smanioso di ripartire».

Cosa chiede al nuovo coach, Alberto Mancini? «Prima della scelta ho parlato con Barazzutti (che lo ha allenato fino all’autunno, ndr)e mi ha detto che non sarebbe riuscito a seguirmi sempre e a viaggiare spesso con me. Adesso invece ho bisogno di qualcuno che stia al mio fianco con continuità: Alberto deve aiutarmi soprattutto a migliorare poi a stabilizzarmi dal punto di vista fisico, perché se sto bene i risultati torneranno ad arrivare». Intanto riparte dal numero 17 del mondo, mica male. «Il ranking non è un’ossessione, soprattutto in questi momenti. So che all’inizio farò fatica, perché devo mettere insieme i match che non ho giocato la scorsa stagione, e poi quando la classifica verrà di nuovo scongelata cambierà tutto. L’obiettivo è di ritrovare la condizione per i tornei sulla terra della prossima primavera e restare nei 30 per essere testa di serie negli Slam». La pandemia non è ancora sconfitta e il calendario è un’incognita.

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C’è stato un momento in cui ha pensato che non sarebbe tornato a giocare? «Sono d’ accordo con quanto disse Federer: quando ti infortuni e non ti è mai successo prima, ti prende la paura. A me è venuta il giorno in cui sono uscito dall’ospedale, con il medico che mi ha portato la sedia a rotelle: mi sono detto “Fabio, e se fosse finita qui?”. Ho voluto le stampelle, erano il primo segno che stavo per ribellarmi all’idea». Quanto è stata importante la famiglia nei mesi della riabilitazione e del lockdown? «Senza di loro non ce l’avrei fatta, all’inizio ero ovviamente nervoso e pieno di dubbi. Ma stare accanto a Flavia, ai bambini, ai miei genitori a poco a poco mi ha regalato la pace interiore e ho ritrovato il mio equilibrio.

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La sua autobiografia continua ad essere un successo editoriale: se lo aspettava? «Credo semplicemente fosse il momento giusto per rivelare come sono davvero. Immagino che il pubblico abbia apprezzato la mia onestà: nel libro non c’è finzione, quello è Fognini. Prendere o lasciare». ? Pensa che il libro possa cambiare l’immagine negativa che tanta gente ha di lei? «Non mi interessa, spesso si tratta solo di pregiudizi. Ho fatto degli sbagli, ho pagato un prezzo al mio carattere, ma ci ho sempre messo la faccia. Perciò non ho rimpianti». ? Ha detto che le vittorie di Sinner le mettono il fuoco dentro, ma che non è geloso. Però sembra che ormai il tennis italiano sia rappresentato solo da lui. «Ci sta, è il gioco della popolarità e Jannik è davvero molto forte, spero che tenga alto per anni il nome dell’Italia. Però…». ? Dica.. «Io ho giocato nella stessa epoca dei tre più grandi di sempre e in aggiunta c’erano Murray, Del Potro e Wawrinka. Tra cinque anni, con la generazione dorata a godersi il meritato riposo, probabilmente per lui sarà più facile ottenere grandi risultati». Ha già pensato a cosa fare dopo? «Di certo non farò l’allenatore. Ho già avuto qualche proposta per rimanere nel tennis: interessante, ma per tre anni mi vedrete ancora in campo».

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A novembre ci saranno le Finals a Torino: cosa rappresentano? «Un sogno, anche se nel 2019 quando ho deciso di privilegiare la possibilità di qualificarmi, non mi ha portato fortuna. Ma se potessi scegliere, preferirei rivincere a Montecarlo»

Lisa Pigato: “Parigi ha riacceso la mia passione” (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Un 2020 in chiaroscuro quello vissuto dall’emergente bergamasca Lisa Pigato, classe 2003 e tessera agonistica perla Canottieri Casale, in serie Al a squadre femminile: «E’ iniziato con una finale non disputata in un Grade I in Marocco (la massima categoria junior) a causa dell’emergenza sanitaria. E’ seguito il lockdown durante il quale sono in ogni caso riuscita ad allenarmi. Poi un brutto incidente, la rottura del polso sinistro cadendo in montagna. La ripresa è stata lunga e graduale. Ho perso circa tre mesi ma sono riuscita a dedicarmi ad altro riflettendo e capendo determinate cose legate al mio tennis e alla mia voglia di progredire. In questo senso è stato positivo il lavoro introspettivo.

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Ho disputato quattro tornei ITF in Italia e in un 25.000 $ ho anche raggiunto la semifinale». Poi la grande gioia, inattesa, al Roland Garnos, con il titolo junior in doppio, a fianco delllaAlvisi: «Sono rimasta fuori dal singolare per poco e il rammarico è stato grande. Ormai eravamo li e ci siamo dette…proviamoci. Così match dopo match siamo cresciute ed abbiamo conquistato il titolo, che rimarrà nelle nostre menti e nelle nostre bacheche».

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Lisa Pigato è figlia d’arte e fa del tennis la sua vita, prendendo anche l’allenamento con il sorriso sulle labbra: «Non mi pesa e amo questo sport. In futuro vorrei farlo diventare la mia professione». Lisa si allena circa 8 ore al giorno, 4 di preparazione atletica e le altre di tennis, seguita dallo staff della Milano Tennis Academy presso il TC Milano 2: «L’obiettivo è migliorarmi su tutto progredendo nella crescita verso il professionismo. Non ho idoli particolari ma certo la vicinanza con Francesca Schiavone, alla quale posso regolarmente chiedere consigli, è importantissima. Mio padre supervisiona il tutto ma da alcune stagioni non mi segue più direttamente. Lo fa il coach Giacomo Oradini». Il torneo dei sogni non manca a Lisa: «Ovviamente Roma che per noi italiani è sempre qualcosa di speciale. Credo però di potermi esprimere bene anche sul veloce. Lavoro per comandare il gioco, non amo essere passiva. Leggo bene le situazioni e cerco di poterle sfruttare».

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