Sinner, la prima da favorito: può diventare numero 14 (Scanagatta). Forza Sinner, prenditi Miami (Crivelli). Sinner, missione vittoria (Piccardi). Barazzutti: "Ragazzo pulito per lui l'Italia può impazzire" (Rossi)

Rassegna stampa

Sinner, la prima da favorito: può diventare numero 14 (Scanagatta). Forza Sinner, prenditi Miami (Crivelli). Sinner, missione vittoria (Piccardi). Barazzutti: “Ragazzo pulito per lui l’Italia può impazzire” (Rossi)

La rassegna stampa di domenica 4 aprile 2021

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Sinner, la prima da favorito: può diventare numero 14 (Ubaldo Scanagatta, Giorno – Carlino – Nazione Sport)

Non hanno mai giocato contro in gara, ma l’hanno fatto diverse volte in allenamento. Qualcuna perfino accanto in doppio (Melbourne e Dubai), ma quando sono approdati a una finale i due amici avversari in finale stasera a Miami (ore 19 su Sky tv), Hubert Hurkacz (24 anni) e Jannik Sinner (19), hanno sempre vinto. Erano però, salvo l’ATP NextGen di Milano, tutti tornei ATP 250, non un Masters 1000 come Miami. Due volte era stato trionfo per Hubi Hurkacz (Winston Salem 2019 finale su Shapovalov, Delray Beach 2021 su Korda), 3 volte per Jannik Sinner (Milano Next Gen 2019 su de Minaur, Sofia 2020 su Pospisil, Melbourne 1 Great Ocean Road 2021 su Travaglia). II tennista polacco, oggi con il cannoniere del Bayern Lewandoski con Iga Swiantek, lo sportivo più popolare del suo Paese, ha avuto un tabellone molto più difficile rispetto a Sinner. N.37 nel ranking, ma già virtuale n.24 e futuribile n.16 se dovesse battere Sinner, ha battuto Shapovalov n.11, Raonic n.19, Tsitsipas n.5 (rimontando un set e un break in un match che pareva perso), Rublev n.8, sconfitto 6-3 6-4. A mio avviso ha dritto e servizio – è alto 1 metro e 96, 8 cm più di Sinner – più incisivi rispetto a Sinner, ma meno rovescio e soprattutto minor solidità nervosa nei momenti decisivi. Il modo in cui Sinner ha chiuso i suoi match, sempre in rimonta, con Khachanov e Bautista Agut, testimonia la forza mentale del tennista altoatesino che era n.31 (best ranking) all’inizio del torneo, è già virtualmente n.21 domani a meno che vinca perché in quel caso salirebbe addirittura a n.14 (nonché a n.5 nella Race ATP, la classifica del solo 2021). Ma se la classifica ATP non avesse “congelato” punti ATP del 2019 e del 2020 per via della pandemia a tanti giocatori, Sinner sarebbe già oggi un vero n.10! 14 punti finali di Sinner contro Bautista sono stati da cineteca. Impressionanti. Avevano vinto a Miami da teenager solo Agassi e Djokovic, mai Nadal che lì ha giocato contro Federer la prima di 5 finali perse. Sinner gioca da favorito, ma Hurkacz non ha certo timori reverenziali.

Forza Sinner, prenditi Miami: “Ma non devo avere fretta” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Ci sono attimi che scorrono e posseggono il soffio vitale della storia. Perché segnano un passaggio, la manifestazione di qualcosa che non si era mai visto prima. Quando gli almanacchi ripercorreranno la carriera dorata di Sinner, perché succederà, il game salvato contro Bautista sul 3-3 del secondo set da 0-40 sotto e quello conclusivo del trionfo, bagnato da 4 vincenti uno più meraviglioso dell’altro, verranno ricordati come l’epifania di un campionissimo, l’inizio di un’epoca marchiata dal rosso fuoco dei capelli di Jannik e dal suo straordinario talento. E il giudizio non cambierebbe neppure se stasera alle 19, mentre gli italiani saranno alle prese con i postumi dei bagordi pasquali, dovesse perdere la finale di Miami contro il polacco Hurkacz, giustiziere di Rublev in capo a una partita di grande sostanza. Perché un diciannovenne con la sua forza mentale, la sua visione completa di tutte le fasi del match, la sua idiosincrasia alla sconfitta, è una perla rara, e infatti scomoda paragoni ingombranti, da Agassi a Djokovic passando per Nadal, gli altri teenager terribili. Accostamenti che peraltro non lo scalfiscono: «Bello. Però ho 19 anni e questa finale non significa niente, c’è un lungo processo per arrivare a quello che hanno fatto quei tre». Intanto si è messo in cammino, con una filosofia che discende in linea diretta, perfino nelle parole, proprio dallo spirito guerriero di Rafa: «Quando ti trovi sotto 0-40 non è detto che tu debba perdere il game, anche se non vorresti trovarti in quella condizione. In ogni caso, essere sotto di un break non significa nulla. La sfida non è certo finita». Gli stessi concetti che il satanasso maiorchino ripete come un mantra da tre lustri, e che lo hanno reso immortale. Ma c’è di più, come ha voluto rammentare Bautista dopo la sconfitta: «Jannik ci mette qualcosa di speciale nei momenti difficili». Chiudete gli occhi e vi sembrerà che stia parlando di Djokovic. Del resto, senza il congelamento del ranking, il prodigio di Sesto Pusteria sarebbe in questo momento il nono giocatore del mondo. Favoloso. Una progressione impressionante dal numero 73 di un anno fa, quando il tennis chiuse 5 mesi per pandemia. Da agosto, da quando si è ripreso a giocare, Jannik ha vinto 30 partite, 2 tornei e ha disputato per la prima volta i quarti di uno Slam, a Parigi. Ma la testa non gira, anzi: «Ogni anno che passa sono un giocatore diverso, e fra un anno sarò ancora un altro giocatore, spero, perché non vorrei fermarmi qui come livello. Però non mi metto fretta, la strada è lunghissima. Non vuol dire nulla il fatto di fare una finale qui. Certo, in tutti i tornei che gioco penso di poter andare lontano, ma a volte va bene, a volte meno». L’understatement come ragione di vita e di tennis, una caratteristica che lo accomuna al rivale odierno. Di Hurkacz, ad esempio, Federer ha detto che si tratta del ragazzo più calmo e dolce del circuito. Ovvio che tra due caratteri affini sia bastata la scintilla di qualche doppio giocato insieme per cementare un rapporto vero: «Hubert è una bravissima persona, forse il migliore amico che ho nel circuito – riconosce Sinner — qualche volta ci alleniamo insieme, anche in spogliatoio ogni tanto parliamo. Certo, in finale non ci sarà spazio per l’amicizia. In questo sport c’è solo un vincitore». […]

Sinner, missione vittoria. Un amico è l’ultimo ostacolo (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Eravamo quattro amici al bar. Jannik Sinner, reduce dal kappaò di febbraio a Montpellier con Bedene, coach Riccardo Piatti e i due attendenti — Andrea Volpini, a Miami con l’azzurro, e Christian Brandi — che viaggiano per tornei con il barone rosso quando il boss rimane all’Academy di Bordighera. Piatti racconta: «In Francia, Jannik non mi era piaciuto: ha giocato male. Nulla di preoccupante: ci sono momenti, nella crescita di un giocatore, in cui tra vincere e migliorare si perde di vista il miglioramento. Gli ho ricordato il mantra: vinca o perda, deve sempre comandare il punto, soprattutto nei game di risposta, quando è in difesa. A Marsiglia ha perso da Medvedev, che poi ha vinto il torneo; a Dubai da Karatsev, re degli Emirati. Facciamo uno step in più, ci siamo detti. A Miami non andranno i big? Benissimo, allora proviamo a vincerlo noi, questo Master 1000 Snobbato dagli altri». L’impresa in Florida, la prima finale della carriera in un Master 1000 (la seconda di un italiano dopo Fognini a Montecarlo 2019), è nata così: dalla voglia di spostare i limiti di Jannik un po’ più in là. Stai sicuro che Sinner non si tira indietro, mai. «È agonista dentro — spiega Piatti —. A Sesto Pusteria era il bambino che saliva in cima alla montagna e si buttava giù con gli sci. Questo coraggio se l’è portato dietro: non ha paura di niente, all’Elba si tuffa dagli scogli più alti, va in campo per vincere. E non lascia mai le cose a metà. Perché si diverte. Sta realizzando tutti i suoi sogni sportivi. A volte sembra morto: con Khachanov al terzo turno, con Bautista in semifinale. E invece è lì che combatte: nella lotta, si esalta. E se la gode». Quante cose stiamo scoprendo in corso d’opera del ragazzo che sfreccia verso la vetta del tennis (top 15 se si annetterà Miami, top 25 se invece si arrenderà a Hurkacz) e verso le ATP Finals di Torino alla straordinaria velocità di 19 anni, 7 mesi e 19 giorni. Il rovescio naturale pilotato dai polsi snodabili, il cross stretto di dritto su cui edificare gli schemi più proficui, la testa già da adulto, d’accordo. Ma anche il rifiuto di arretrare di un centimetro, come se i rimpianti per un teenager fossero peccato mortale («E predisposto a restare nel presente: né ieri né domani, per Jannik esiste solo l’oggi» dice Piatti), e il grande rispetto del lavoro, suo e del team: «È stato educato così. Con i genitori ho un accordo: restituirglielo tale e quale è arrivato a 14 anni a Bordighera». Parlava pochissimo italiano, strabordava già di talento ma senza ordine né logica. Cinque anni dopo è un fuoriclasse («Può sbagliare, a 19 anni è un suo diritto. Ha 69 match nelle gambe, deve arrivare a 150. Gli manca l’esperienza ma non deve mai, mai, subire l’avversario») e un uomo in fieri («La fidanzata è la sua boccata d’ossigeno: gli permette di distrarsi, uscire dall’ambiente, parlare d’altro, divertirsi, non essere monomaniaco e monotematico»). […]

Corrado Barazzutti: “Ragazzo pulito per lui l’Italia può impazzire” (Paolo Rossi, Repubblica)

Lui, Corrado Barazzutti, oggi ha 68 anni e ha fatto parte del gruppo (con Panatta, Bertolucci e Zugarelli) degli Anni Settanta che sedusse l’Italia con le racchette di legno. […] Con un Sinner come leader. «Certo. Oggi parliamo tanto di lui perché i suoi risultati ne confermano la crescita». Però, oltre ai risultati, sembra che abbia colpito l’immaginario collettivo. «Perché è un ragazzo pulito. Educato. Si esprime in modo pacato, equilibrato. E rispettoso degli altri, piace per il suo comportamento. E io penso che il comportamento sia un plus». Anche a livello tecnico. «Su questo è concentrato, è in focus sul tennis. E se vuoi certi traguardi devi abbracciare il pensiero unico, come una fede. Come un prete». Non è un po’ rischioso? «Ma non si deve essere un eremita. Si può vivere come i comuni mortali». Ora tutti si chiedono dove può arrivare, questo ragazzo. «Dove? Potrebbe battere tutti i record del tennis italiano. Potrebbe prendersi uno Slam, forse due. Forse, forse… chi può dirlo? Ma io voglio andare oltre». Oltre? Dove? «Vorrei ricordare che non c’è soltanto lui. Penso a Lorenzo Musetti, che ha le sue stesse stimmate di talento. E Matteo Berrettini ha soltanto 24 anni, e Lorenzo Sonego sta entrando nella fase della sua maturità, avendo iniziato più tardi degli altri. E non dimenticate il veterano Fognini…». E quindi? Dove vuole arrivare? «Alla Coppa Davis. Noi, negli Anni Settanta, stregammo l’Italia per le tre finali, e il successo in Cile. Al di là dei successi individuali, questi ragazzi insieme potrebbero combinare degli sfracelli in Davis, e sappiamo quanto sia importante per noi il concetto di nazionale». […]

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