Naomi Osaka: “It’s O.K. not to be O.K.”

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Naomi Osaka: “It’s O.K. not to be O.K.”

Riproponiamo in italiano l’op-ed scritto dalla quattro volte campionessa Slam in merito alla sua scelta di ritirarsi dal Roland Garros e da Wimbledon

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Naomi Osaka - WTA Madrid 2021 (MMO21 - ph. Ángel Martínez)
 

Qui l’articolo originale

La vita è un viaggio.

Nelle ultime settimane, il mio viaggio ha preso una piega imprevista ma necessaria affinché io potessi crescere come persona. Ho imparato diverse lezioni importanti.

La prima: non puoi sempre piacere a tutti. Oggi il mondo mi sembra diviso come mai prima nei 23 anni che ho vissuto. Problemi che mi sembrano così ovvi a prima vista, come indossare le mascherine in pubblico o inginocchiarsi in segno di protesta contro il razzismo, sono ferocemente contestati. È incredibile. Così, quando ho annunciato che avrei saltato il Roland Garros solo pochi mesi fa, avrei dovuto aspettarmi le reazioni che mi sono poi arrivate.

La seconda lezione è forse quella che mi ha arricchito di più. Mi è diventato palese che ogni persona a questo mondo abbia avuto a che fare con dei problemi di salute mentale, sia in maniera diretta che indiretta. E la gran mole di messaggi ricevuti in tal senso mi spinge a crederlo. Dopotutto siamo umani, e proviamo emozioni.

Forse le mie azioni hanno mandato in confusione qualcuno, perché entrano in gioco diverse problematiche nel mio caso. Ma nella mia mente si sovrappongono, ed è per questo che ne ho parlato insieme, ma stavolta proverò a dividerli per avere una discussione più lineare.

Il primo fattore è la stampa, ma non i giornalisti in senso stretto, quanto il formato delle conferenze stampa alle quali dobbiamo presenziare. Lo ripeto per chi si possa sentire chiamato in causa: adoro i giornalisti, sono alcune conferenze stampa a non piacermi.

Ho sempre avuto un grande rapporto con la stampa, ho spesso concesso loro anche delle interviste molto profonde e personali. Se escludiamo le grandi stelle del tennis che hanno una carriera molto più lunga della mia (Roger, Rafa, Novak, Serena), penso di essere io la giocatrice che ha dedicato più tempo ai media negli ultimi anni.

Cerco sempre di dare delle risposte sincere, non sono mai stata preparata a confrontarmi con la stampa, per cui quello che vedete è genuino e spontaneo. E per quanto mi riguarda, il rispetto nei confronti dei giornalisti è reciproco.

Ad ogni modo, e questo è solo un mio pensiero, penso che il sistema delle conferenze stampa sia ormai datato ed abbia bisogno di una rinfrescata. Credo fermamente che possa essere migliorato, rendendolo più interessante e godibile per tutti i partecipanti: un confronto più alla pari.

Riflettendoci, non mi sembra che i giornalisti siano tanto d’accordo. Per la maggior parte di loro, il format tradizionale è sacro e non va cambiato: la loro preoccupazione principale era che potessi creare un pericoloso precedente, ma, che io sappia, nessun atleta ha mai saltato una conferenza da allora. Non ho mai voluto ispirare rivolte di qualsivoglia genere, quanto piuttosto spingere a guardare il nostro ambiente di lavoro in modo più critico.

Ho comunicato la mia intenzione di saltare la conferenza stampa del Roland Garros al fine di preservare la mia salute mentale. Gli atleti sono persone comuni: siamo privilegiati a giocare a tennis per lavoro, ma ovviamente nei nostri problemi fuori dal campo siamo come tutti gli altri. E non riesco ad immaginare un’altra professione dove un impegno del genere (perché in fondo ho saltato una sola conferenza stampa in sette anni) possa essere messo sotto una tale lente d’ingrandimento.

Forse sarebbe il caso di poter dare agli atleti la possibilità di prendersi una pausa dalle pressioni dei media senza poi dover incorrere in sanzioni disciplinari.

In qualsiasi altro ambiente di lavoro è concesso prendersi giorni liberi senza conseguenze, tranne quando questo diventa un’abitudine. E non c’è nemmeno bisogno di specificare le motivazioni ai datori di lavoro, perché le HR difendono il diritto alla privacy.

Nel mio caso, mi sono sentita quasi in dovere di parlare delle motivazioni che mi hanno spinta a prendermi una pausa, perché percepivo che la stampa non credeva alle mie parole. Non lo auguro a nessuno, ed è per questo che spero vengano introdotte nuove misure a difesa degli atleti, in particolar modo per quelli più fragili. Spero anche che non ci sarà di nuovo bisogno di discutere della mia cartella clinica davanti a tutti, e per questo chiedo alla stampa maggiore empatia e rispetto per la mia vita privata.

Ci sono giorni dove abbiamo dei problemi che non mostriamo al pubblico, ognuno di noi in quanto essere umano può attraversare un periodo difficile nella propria vita. Ho tante proposte per i vertici di questo sport: la principale è di concedere un certo numero di “giorni di malattia” all’anno che ti esonerano dalle conferenze stampa, senza dover necessariamente discutere della motivazione. Credo che possa portare il tennis al passo con i tempi moderni.

Per concludere, vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno supportata. Avrei troppi nomi da fare, per cui inizio con la mia famiglia ed i miei amici, che sono stati speciali. Non c’è nulla più importante di loro. Vorrei anche ringraziare coloro che si sono esposti per difendermi.

Michelle Obama, Michael Phelps, Steph Curry, Novak Djokovic, Meghan Markle, per citarne alcuni. Ovviamente ringrazio i miei sponsor, anche se non sono sorpresa dalle loro reazioni, perché li ho scelti deliberatamente per le loro visioni liberali e progressiste.

Dopo aver trascorso le ultime settimane con i miei cari, durante le quali ho ricaricato le pile, ho avuto tempo per riflettere sul futuro; non potrei essere più entusiasta di competere a Tokyo! I Giochi Olimpici sono speciali di per sé, ma avere l’opportunità di giocarli in casa, davanti ai fan giapponesi, per me è un sogno che si realizza [l’articolo è stato pubblicato prima dell’annuncio che le Olimpiadi si sarebbero svolte a porte chiuse, ndr]. Spero solo di renderli orgogliosi.

Che ci crediate o no, sono un’introversa per natura, e non amo le luci della ribalta. Cerco sempre di espormi e combattere per ciò in cui credo, ma spesso tutto questo ha un costo, e mi provoca una grande ansia. Non mi sento a mio agio nell’essere il volto delle lotte per la difesa della salute mentale degli atleti, perché è una cosa nuova per me, e non ho la risposta a tutte le domande. Spero però che le persone possano capire che è “O.K. non essere O.K. ed è O.K. parlarne agli altri”: ci sono persone in grado di aiutarci, e c’è sempre la luce in fondo al tunnel.

Michael Phelps un giorno mi ha detto che potrei avere salvato delle vite parlando di questi argomenti; se tutto ciò è vero, allora ne è valsa la pena farlo.

Traduzione a cura di Antonio Flagiello

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