È vero che i tennisti più forti alzano il proprio rendimento sotto pressione?

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È vero che i tennisti più forti alzano il proprio rendimento sotto pressione?

Partendo dall’esempio di Emma Raducanu, il Guardian ha raccontato di uno studio che ha analizzato le prestazioni nei punti importanti dei migliori giocatori al mondo

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Emma Raducanu - US Open 2021 (Darren Carroll/USTA)
 

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Emma Raducanu si sta già dimostrando maestra nel sovvertire le aspettative: a Wimbledon alcuni avevano messo in dubbio il suo temperamento dopo che si era ritirata dal quarto round con difficoltà respiratorie, ma due mesi dopo gli stessi critici sono stati costretti a rimangiarsi quelle parole dopo la straordinaria vittoria riportata allo US Open.

Emma ha aggiunto nuove sfumature a come viene percepita dal pubblico e dai media in occasione di un evento celebrativo nella sua città natale: il 24 settembre, al National Tennis Center di Toronto, ha infatti mostrato il suo lato pratico e spietato, rivelando di aver rinunciato ai servigi di quello che era stato il suo allenatore a New York, Andrew Richardson. Certo, è stata la decisione giusta: Richardson aveva un contratto a breve termine e poca esperienza nel circuito WTA. E, anche a 18 anni, Raducanu è abbastanza grande da sapere che le favole possono presto essere fatte a pezzi, soprattutto nel feroce mondo dello sport professionistico.

Ma Raducanu ha anche detto qualcosa che merita una certa attenzione quando le è stato chiesto cosa avesse fatto per affrontare meglio i match dal punto di vista mentale nel periodo intercorso tra gli stenti patiti contro Ajla Tomljanovic a Wimbledon – quando un errore non forzato si è trasformato in un altro e poi un altro – e lo US Open, dove si è dimostrata coriacea come granito: “Sono abbastanza resiliente e quando sono giù, o affronto delle avversità, normalmente tendo a riprendermi abbastanza velocemente e a non lasciare che la delusione mi colpisca“. Ma come comportarsi quando si commette un errore non forzato su un punto importante come può esserlo uno allo US Open, come cercare di assicurarsi che non accada di nuovo? “Cerco solo di riconoscere quello che è successo in quel colpo e di non ripetere l’errore in seguito“, ha risposto.

Gli psicologi hanno una frase per questo: “expertise-induced amnesia” [amnesia indotta dalla competenza acquisita, ndr], usata per descrivere la natura automatica e inconscia delle prestazioni sportive o professionali. E forse aiuta a spiegare perché Raducanu è stato in grado di affrontare così bene gli occasionali momenti di difficoltà vissuti a New York.

Questa informazione è contenuta in un nuovo affascinante studio, “Psychological pressure and compounded errors during elite-level tennis”, (pressione psicologica ed errori cumulativi nel tennis d’élite), che ha esaminato più di 650.000 punti giocati in ogni singolare maschile e femminile nei 12 tornei del Grande Slam dal 2016 al 2019 per cercare di comprendere meglio il persistente enigma che circonda chi sa far fronte alla pressione, distinguendosi così da chi invece tende a soffrirla. Per ogni punto, il team di accademici dell’Università di Exeter e del Royal Holloway ha posto due domande chiave:
1) qual era il livello di pressione sui giocatori?
2) cosa hanno fatto in quella situazione? Hanno colpito un vincente, un errore non forzato o un doppio fallo?

Se, ad esempio, un giocatore era sotto 30-40 sul proprio servizio sul 4-5 nel set decisivo, questo creerebbe il punteggio massimo di pressione, rispetto a uno molto più basso in una situazione di 5-0 in proprio favore.

E quindi cosa hanno scoperto i ricercatori?

Primo, che il tasso di errori non forzati per i punti importanti, dove la pressione cresce, era superiore di ben 1,75 volte rispetto a quello riscontrato nei punti a bassa pressione. Non è stata una sorpresa, e né forse è sorprendente la rivelazione che, quando un giocatore o una giocatrice hanno commesso un errore non forzato, le possibilità che lo facciano di nuovo aumentino significativamente nei punti successivi.

Tuttavia, cosa più intrigante, i ricercatori hanno anche scoperto che questi due effetti interagiscono anche per creare un “ciclo di pressione: confusione, più pressione, di nuovo confusione”, come spiega uno degli autori, il dottor David Harris. Questo è interessante. Nello sport, si sente molto parlare della “mano calda” – la situazione in cui un colpo andato a segno tira l’altro, poi un altro, e all’improvviso il commentatore urla “è in trance agonistica!” e l’atleta non sembra poter più sbagliare. Tuttavia, gli accademici suggeriscono provvisoriamente che questo studio potrebbe essere un’ulteriore prova della teoria della “mano fredda“, in cui errori e voci interiori negative portano a più errori e ad una spirale discendente.

La ricerca contiene un’altra scoperta interessante. I più grandi nomi del tennis maschile e femminile sono spesso considerati più “centrati” sotto pressione – in altre parole, giocano ancora meglio quando la posta in gioco è più alta. Tuttavia, gli accademici non hanno trovate molte prove di questo luogo comune. Naturalmente i giocatori di successo hanno un miglior rapporto tra vincenti ed errori non forzati in ogni situazione. “Tuttavia, per i punti caratterizzati da un livello di pressione più elevata, le distribuzioni dei vincenti rispetto agli errori non forzati erano molto simili alle distribuzioni complessive“, hanno osservato gli accademici, “indicando che i giocatori di successo hanno semplicemente mantenuto il loro vantaggio generale sotto pressione e non hanno in qualche modo ‘aumentato il loro livello di gioco’ in corrispondenza di questi frangenti”. Schemi simili sono stati trovati nell’NBA, con i giocatori ritenuti “centrati” che in realtà non migliorano la loro percentuale di tiro negli ultimi cinque minuti di gioco, sebbene abbiano effettuato più tiri che potrebbero aver alterato le percezioni.

Allora qual è la migliore strategia per far fronte alla pressione? Come notano gli accademici, “i benefici delle routine pre-tiro per l’esecuzione sotto pressione sono vari e non ancora del tutto spiegati scientificamente“. Tuttavia, l’approccio punto per punto di Raducanu per far fronte alla pressione è notevolmente simile a come Annika Sörenstam, una delle più grandi golfiste di sempre nel Ladies PGA Tour, reagiva agli errori. Nelle interviste, la svedese ha affermato di ricordare a malapena di aver commesso un errore sul percorso. Dopo un brutto colpo, analizzava brevemente l’errore e passava subito oltre, concentrandosi sul “now shot”, il prossimo colpo da eseguire.

L’approccio di Raducanu è molto simile: “Quando ero più giovane ero piuttosto emotiva e tendevo ad arrabbiarmi in campo, ma è stato un atteggiamento che ho dovuto superare abbastanza rapidamente. Ai miei genitori non piaceva, quindi sin da piccola ho dovuto sviluppare questa mentalità e mantenere la calma“. Qualcuno provi a spiegarlo con calma a Piers Morgan [il controverso personaggio televisivo britannico che l’aveva duramente attaccata a Wimbledon, ndr], ma finora l’atteggiamento della giovane tennista sembra funzionare.

Traduzione a cura di Michele Brusadelli

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