La sai l'ultima di Kyrgios? (Crivelli). Trevisan: Vita da sogno, per il resto ci sarà tempo (Nidzegorodcew). "Eli" della Tasmania. E' il nuovo diavoletto (Strocchi). "Non poteva durare. Ora ridateci la Davis"(Martucci). Non è ancora il tennis dei giovani (Mecca)

Australian Open

La sai l’ultima di Kyrgios? (Crivelli). Trevisan: Vita da sogno, per il resto ci sarà tempo (Nidzegorodcew). “Eli” della Tasmania. E’ il nuovo diavoletto (Strocchi). “Non poteva durare. Ora ridateci la Davis”(Martucci). Non è ancora il tennis dei giovani (Mecca)

La rassegna stampa del 14 gennaio 2023

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La sai l’ultima di Kyrgios (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il tempo cambia molte cose nella vita. Il senso, le amicizie, le opinioni. E così, vedere gli ex grandi nemici Djokovic e Kyrgios seduti accanto alla rete a discutere amabilmente e a scambiarsi battute scherzose davanti a 15.000 spettatori che hanno pagato 20 dollari australiani (13 euro) per assistere, prima e dopo l’improvvisato talk show, alla loro esibizione benefica sulla Rod Laver Arena, segna la definitiva consacrazione di una nuova «fratellanza». Non a caso, fu proprio quello il termine usato dal Kid di Canberra prima della finale di Wimbledon giocata a luglio uno contro l’altro per testimoniare il cambiamento dei loro rapporti dopo le fiamme degli anni precedenti. Quando Nick, ad esempio, definiva Nole «un idiota» per aver organizzato in piena pandemia, a giugno 2020, il famigerato Adria Tour in patria che si concluse con un’esplosione di contagi tra i partecipanti, promotore compreso. O, ancora, lo accusava di non possedere l’appeal di Federer e di Nadal e dunque di scontarsi di poter essere amato come loro, rinunciando ad inseguire morbosamente il consenso della gente. Nuovo amore Solo che poi, giusto un anno fa, è capitato il fattaccio della detenzione del Djoker in Australia per la questione della falsa esenzione Covid. E Kyrgios è stato tra i pochi colleghi ad esprimergli solidarietà, definendo disumano il trattamento riservato al campione serbo. Una presa di posizione molto forte che emozionò profondamente Djokovic e segnò l’inizio di un deciso riavvicinamento personale. Una mozione degli affetti rinnovata pure a no vembre dall’australiano, quando non era ancora sicura la restituzione del visto all’ ex numero uno del mondo dalle autorità australiane: «Abbiamo appena assistito al ritiro di una delle leggende dello sport, Federer, e nessuno potrà sostituirlo. Invece Novak e Rafa sono ancora qui, abbiamo bisogno di questi giocatori, di vedere qui i migliori tennisti al mondo. Io, in quanto giocatore professionista, voglio vedere Novak qui». […] Incrocio pericoloso. Quello che tutti speravano e volevano sapere: perché Djokovic e Kyrgios agli Australian Open sono dalla stessa parte del tabellone e potrebbero incrociarsi nei quarti (ma per Nick c’è prima il pericolo Rune) in quella che diventerebbe di gran lunga la partita più attesa del primo Slam stagionale. Nole, dopo la pausa forzata del 2022, insegue il decimo trionfo a Melbourne, mentre l’ex Monello porta sulle spalle la pressione di una nazione intera che attende un trionfo in casa dal 1976 (Edmonson) e in un Major dal 2002 (Hewitt). Un ruolo di cui Kyrgios, dopo una carriera di grandi attese e rare conferme, tra sedie lanciate agli arbitri e i conti con la depressione, è finalmente consapevole: «Di solito negli Slam sono solo un possibile outsider, ma dopo l’ultima stagione mi sento tra i candidati al titolo: è una sensazione nuova per me. È anche la prima volta in cui genuinamente arrivo ad un torneo dello Slam e credo di poter essere uno di quelli che possono vincerlo». E poi torna su un argomento che aveva già toccato a Wimbledon: «Se mi ritirerò in caso di successo? Al cento per cento. Ci vogliono un sacco di allenamento e molto lavoro, io voglio solo essere in grado di mangiare e bere quello che voglio, di rilassarmi. Il nostro è uno stile di vita duro». Intanto, l’attesa degli Australiani in un’atmosfera quasi messianica e l’amore che gli stanno riservando in queste ore di vigilia, decisamente sconosciuto fino a pochi mesi fa, diventa una sorta di risarcimento dopo anni di relazioni burrascose con l’ambiente, sempre poco incline a perdonargli gli atteggiamenti da spaccone pur riconoscendone il sopraffino talento: «Non credo che nessun altro giocatore stia sotto la lente d’ingrandimento dei media per tanto tempo quanto accade con me. Una battaglia quotidiana: devo cercare di usare la notorietà come un privilegio, ma non è sempre facile. Il successo di un giocatore di casa all’Australian Open manca da tantissimo tempo, chissà che non sia arrivato il momento di spezzare questa tradizione sfavorevole. Ci guadagneremmo tutti». Ma prima bisogna bussare alle porte del caro, nuovo amico Djokovic.

Trevisan: Vita da sogno, per il resto ci sarà tempo (Alessandro Nidzegorocew, Il Corriere dello Sport)

“Ho sempre desiderato questa vita, oggi mi sento al posto giusto nel momento giusto. Mi guardo intorno e mi sento fortunata, il tennis professionistico è difficile, bellissimo e non vedo l’ora di vivere nuove emozioni». Raggiante, matura, consapevole, forte: è la versione 2.0 di Martina Trevisan. Attualmente al n.22 del mondo, la giocatrice toscana è stata protagonista nella recente United Cup con il successo su Maria Sakkari che, di fatto, ha consentito all’Italia di raggiungere la finale. E pensare che nel primo match aveva perso nettamente con la brasiliana Haddad Maia. «Non ero al meglio dal punto di vista fisico, probabilmente avevo bisogno di un po’ di rodaggio, ma sono contenta di come ho reagito nei match successivi». Vincitrice nel 2022 del suo primo titolo WTA a Rabat, Trevisan in questi anni ha espresso il tennis dei sogni al Roland Garros: quarti di finale nel 2020 e semifinale nel 2022. La United Cup azzurra è stata un successo. La sensazione è che anche voi giocatori l’abbiate vissuta nel miglior modo possibile. «Mi sono divertita tanto, sia in campo che fuori. Abbiamo condiviso gioie, ma anche momenti meno piacevoli e credo di parlare per l’intera squadra, da Berrettini a tutti gli altri, quando dico che è stata una scoperta continua, umana e sportiva, una trasferta bellissima. Non ci aspettavamo che si creasse un gruppo così unito. Personalmente ne avevo bisogno, essendo per me un momento un po’ triste (alla fine dello scorso anno Trevisan ha perso il papà, ndr)». La fine del 2022 è stata per lei umanamente molto difficile. «È stato uno dei momenti in cui ho sentito il dolore vero, interno. Un dolore che forse non avevo mai sentito. Marco, il mio ragazzo, è stato fondamentale: mi è stato vicino e non mi ha lasciato nemmeno per un secondo». Alla United Cup è riuscita a sconfiggere Marla Sakkari, n 8 del mondo, che aveva già battuto a Parigi nel 2020. «Dopo la sconfitta contro Haddad Maia non ho perso fiducia e la vittoria contro la norvegese Helgo, giocando male ma lottando, mi ha aiutato molto. Sicuramente il precedente del Roland Garros contro Sakkari è stato importante, ma ero comunque sicura di giocarmela alla pari. Credo di aver espresso un buon tennis anche nelle sconfitte con Swiatek e Pegula. Oggi riesco a trovare i lati positivi di ogni incontro». Parliamo di Martina Trevisan 2.0? «il tennis è il mio lavoro e la mia passione. Amo viaggiare, stare a contatto con le persone. Il segno di maturità credo si palesi nell’apprezzare e accettare le difficoltà che fanno parte del percorso di una tennista. Sono consapevole di essere fortunata. Nella vita di tutti i giorni si affrontano tante problematiche, ma spesso vi è tempo per elaborare. Nel tennis questo processo è molto più rapido e si costretti a trovare una soluzione nel minor tempo possibile». Quali sono i pro e i contro di questa vita? «Vi è la possibilità di visitare città splendide, come Sydney in questi giorni. L’aspetto negativo è la lontananza da casa: il tennis non conosce le festività o i weekend. Partire il 24 dicembre per l’Australia, come quest’anno, non è semplice. Mentre ero in volo pensavo al dispiacere di chi era a casa, che ovviamente è anche il mio. I miei cari capiscono e accettano questa vita, consci che la carriera di una giocatrice non dura tutta la vita. Avremo tempo per recuperare». Qual è oggi il suo team? «Il mio coach è Matteo Catarsi e il preparatore Donato Quinto. Dietro le quinte, per me molto importanti, vi sono poi il mental coach Lorenzo Beltrame, l’esperto di video-analisi Danilo Pizzorno e il fisioterapista Andrea Biagini». […] II suo quarto di finale a Parigi nel 2018 ha creato il cosiddetto “effetto traino”. «Non so dirlo, ma se fosse così ne sarei davvero molto felice». Come arriva agli Australian Open? E scaramantica? «Devo tenere sotto controllo un piccolo problema a un tendine, ma sto giocando e lavorando bene. Si, sono molto scaramantica, anche se non ho dei riti particolari. Ogni torneo ha i propri, che nascono a inizio settimana. A breve sceglierò la scaramanzia di Melbourne». 

“Eli” della Tasmania. E’ il nuovo diavoletto (Gianluca Strocchi, Tuttosport)

Le mani sui capelli, prima di lasciarsi cadere a terra, con un sorriso radioso. E’ l’immagine della felicità Elisabetta Cocciaretto, che al torneo Wta sul cemento di Hobart (montepremi 259.303 dollari) ha raggiunto la sua prima finale nel circuito maggiore, eliminando fra l’altro una campionessa Slam. Dopo le affermazioni sulla francese Alize Cornet (n.34 del ranking), sull’altra azzurra Jasmine Paolini (n.64) e sulla statunitense Bernarda Pera (n.44), annullando anche due match-point, la 21enne di Fermo (n.6) nel penultimo atto ha superato 7-54-6 6-1, dopo due ore e 8 minuti, l’altra americana Sofia Kenin (n.280, wild card). […] La marchigiana ha sciorinato un tennis esplosivo (34 vincenti, 9 ace) fatto di colpi anticipati e geometrie esasperate. «Sono felicissima per questo risultato e per come sto giocando questa settimana – ha affermato Elisabetta-. Ero una junior quando Kenin ha vinto il suo primo Slam, per me è un onore affrontarla. Ho colto l’occasione per vincere il primo set ma nel secondo lei è stata più concentrata e aggressiva, ho provato a cambiare un pò nel terzo, ed è stata dura. Il caldo? Sono nata in una città vicino al mare, dove fa tanto caldo e a me non crea problemi». Cocciaretto rigioca 1 titolo con la statunitense lauren Davis (n.84), che in un testa a testa tra qualificate ha regolato 6-3 6-3 la russa Anna Blinkova (n.72). Comunque vada la sfida (disputata nella notte italiana), Flisabetta non dimenticherà l’avventura in Tasmania, grazie alla quale entrerà per la prima vo lta in top-50 (virtualmente è già n.48), seconda italiana nel ranking dietro Martina Trevisan. Una bella iniezione di fiducia per una ragazza che dieci mesi fa, dopo un lunghissimo stop per un problema al ginocchio sinistro, era n.242 della classifica mondiale. Intanto nel secondo Wta 500 di Adelaide (780.637 dollari) i ritiri della russa Veronica Kudermetova e della spagnola Paula Badosa spalancano le porte della finale rispettivamente alla svizzera Bdinda Bencic e all’altra russa Daria Kasatkina. Nel contemporaneo torneo maschile (Atp 250 da 642.745 dollari) con il punteggio di 7-6(4) 3-6 6-3 lo spagnolo Roberto Bautista Agut ha stoppato la corsa dell’idolo locale Thanasi Kokkinakis e nel match clou affronta il coreano SoonwooKwon n, che ha piegato 7-6(6) 6-7(2) 6-3 l’ inglese Jack Draper. Ad Auckland, in Nuova Zelanda ($ 713.495), si giocano il titolo il britannico Cameron Norrie, che si è imposto 6-3 6-4 sullo statunitense Jenson Brooksby, e il francese Richard Gasquet, che ha beneficiato del ritiro del connazionale Constant Lestienne.

“Non poteva durare. Ora ridateci la Davis” (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)

Dopo appena 4 anni è già saltato il matrimonio d’interesse fra ITF e Kosmos: invece dei 3 miliardi di dollari in 25 anni dalla società manageriale dell’ex calciatore del Barcellona, Gerard Piqué, c’è stato il fallimento economico, agonistico e d’immagine della coppa Davis, il primo gioiello di casa. Paolo Bertolucci, da ex giocatore e capitano Davis e da talent tv ha sempre contestato la formula del mondiale di tennis. «Dopo aver vissuto da vicino l’esperienza di Bologna e Malaga è stato ancor più ovvio che era tutto sbagliato, contro i valori dello sport e della Davis». PUBBLICO DI CASA Bertolucci proprio non accetta che la nuova coppa abbia cancellato il fattore reciprocità con l’alternanza di volta in volta degli incontri in casa e fuori fra due nazioni che era il sale della vecchia Davis. «A Bologna il palasport era pieno perché c’era l’Italia ma per Polonia-Svezia non ci sarebbero andati nemmeno i raccattapalle. Mentre la stessa partita, in Svezia, sarebbe stato un successo. Senza il pubblico di casa una gara così non può reggere, nemmeno con il presupposto economico». L’ottima risposta di pubblico spagnolo nella fase finale di Malaga lascia perplesso l’ex numero 12 del mondo: «Non c’era Alcaraz e non c’era nemmeno Rafa, che ha giocato un tour d’esibizioni… Se fossi stato organizzatore o sponsor, senza il numero 1 e il 2 del mondo di casa, mi sarei gettato dalla finestra. Ma che conti economici avevano fatto? Il pubblico di Malaga è stato fin troppo bravo». FORMULA UNITED CUP? Bertolucci, che ha vinto l’unica Davis italiana nel 1976 in Cile, non è convinto che la neonata United Cup ATP con 2 singoli maschili, 2 femminili e un doppio misto in 2 giorni possa sostituirsi alla Davis. «Da tradizionalista, terrei comunque in vita, separate, Davis e Fed Cup. Anche perché diventa difficile trattenere i più forti, uomini e donne che siano, se i loro sforzi non sono compensati da buoni risultati nell’altro settore». FORMULA IDEALE I due singolari e un doppio falsano i valori di una nazione: basta un forte numero 1 ed è fatta. Questo è stato uno dei grandi limiti della coppa Piqué, unito alla rivalutazione del doppio, del tutto irreale rispetto al Tour. «Fra i motivi del fallimento della coppa c’è stato anche questo. Per valutare al meglio la forza reale di un paese, penserei a una competizione di 4 singolari diversi e un doppio, in due giorni. Anche se la formula perfetta non esiste». E ristabilire le partite al meglio dei 5 set che aiutano i Fab Four negli Slam e penalizzano i giovani da sempre abituati a giocare 2 su 3? L’idea non lascia indifferente l’ex capitano della nazionale dal 1997 al 2000. «Federer voleva sempre giocare al meglio dei 5: sulla lunga distanza – che è un altro sport rispetto alla breve – i più forti sanno che possono sempre recuperare. Un’altra competizione oltre agli Slam sui 5 set è corretta, non, com’è successo, che un torneo venga falsato con le partite al meglio dei 3 che poi diventavano al meglio dei 5 per semifinali e finale». PROPOSTA «Qualsiasi formula della nuova Davis sarà migliore della presente», puntualizza Bertolucci. Che, chiamato a delineare una sua proposta, abbozza: «Almeno una volta l’anno le nazioni partecipanti devono giocare in casa propria per dare la possibilità ai tifosi di vedere da vicino i giocatori nazionali che altrimenti guarderebbero solo alla tv o in un torneo pro, e tifare per loro. Bisognerà probabilmente ridurre le nazioni della fase finale solo a 8 e trovare i finanziamenti per dare soldi e punti ATP ai giocatori che sono professionisti e devono essere ingaggiati, al di là dell’amore per la patria e la bandiera».[…]

Non è ancora il tennis dei giovani (Giorgia Mecca, Il Foglio)

Roger Federer gioca a padel a Dubai, Naomi Osaka annuncia di essere incinta, Carlos Alcaraz posa mezzo nudo per una campagna pubblicitaria dal motto Calvins or naked, o Calvin o nudo. A Melbourne stanno per cominciare gli Australian Open (sono in programma dal 16 al 29 gennaio, in diretta su Eurosport) e nessuno tra loro parteciperà: Alcaraz è fuori per infortunio, Osaka per gravidanza, Federer per ritiro. Per la prima volta nel nuovo millennio la stagione del tennis inizia senza di lui ed è un senza irrimediabile, da cui non si torna indietro. Comincia una nuova era, o almeno dovrebbe, a giudicare da Break Point, il documentario appena uscito su Netflix in cui viene raccontato il dietro le quinte dei tornei del Grande Slam dalla voce dei diretti interessati nonché il passaggio di testimone tra il vecchio e il nuovo mondo. “Siamo stati testimoni di una epoca gloriosa. Roger. Rafa. Serena. Novak” dice l’ex tennista Andy Roddick, numero uno al mondo per tredici settimane nel 2003 e anche lui cannibalizzato dall’arrivo dei soliti tre, come succede ancora oggi (o forse ieri) a vent’anni di distanza. “Chi prenderà il loro posto?”, si chiede Roddick nella presentazione della docuserie mentre sullo sfondo si danno il cambio immagini di Iga Swiatek, Carlos Alcaraz, Maria Sakkari, Nick Kyrgios, Ons Jabeur, Andrej Rublev: gli emergenti e gli emersi a metà che la serie vorrebbe immortalare nella loro “ascesa alla gloria”. […] La fiducia è fondamentale nei tennisti ed è giusto crederci sempre, altrimenti non ha senso uscire dallo spogliatoio; la matematica, però, molto più cinicamente racconta che tra i 128 partecipanti a questa edizione degli Open soltanto sei giocatori hanno alzato verso il cielo un trofeo: Nadal, Djokovic, Murray, Wawrinka, Thiem, Medvedev. Tra Nadal, Djokovic e il resto dei vincenti il risultato è di 43 titoli Slam a 8. Il tennis riparte da qui, con o senza palle break, con o senza punti di rottura. L’eterna promessa Zverev ritorna dopo il brutto infortunio che lo ha tenuto fuori dal circuito per otto mesi, i tennisti made in Usa sono sempre più competitivi e lo hanno dimostrato vincendo in finale contro l’Italia la prima edizione della United Cup, il torneo a squadre miste che si è giocato proprio in Australia tra fine dicembre e inizio gennaio, Nick Kyrgios ha finalmente cominciato a credere di poter vincere qualcosa di grande e sembra lavorare in quella direzione (in Break Point a Kyrgios è dedicato il premio episodio, intitolato l’Outsider. “Le aspettative che io sia il prossimo fenomeno sono enormi”, dice a un certo punto l’australiano, da solo nello spogliatoio), gli italiani non sono mai stati così forti: Berrettini, Sinner, Musetti, tutti e tre sono teste di serie a Melbourne, tutti e tre sono tra i primi venti giocatori al mondo e non era mai successo prima nella storia di vedere così tante bandierine azzurre in cima al ranking, Alcaraz non ci sarà, ma un altro teenager non vede l’ora di svecchiare l’albo d’oro: il danese Holger Rune, allenato da PatrickMouratoglou, un coach che sa scegliere i suoi allievi. La testa di serie numero uno è Rafa Nadal. Campione in carica alla Rod Laver Arena, comincia la sua difesa del titolo con un bilancio di sei sconfitte nelle ultime sette partite, un record negativo per lui, costretto a fare i conti con il peggior trend negativo della sia carriera. È forse questo l’ultimo colpo che può davvero portare a un Break Point? Il corpo di Nadal arrivato al punto di rottura, costretto a dare spazio a Rune, Kyrgios, Fritz, Sinner, Berrettini, il futuro? Quasi, se non fosse per Djokovic. Novak Djokovic è arrivato in Australia dodici mesi dopo la sentenza che lo aveva espulso dal paese considerandolo una minaccia per la sicurezza pubblica. Non vaccinato e bugiardo, il governo federale, mentre a Melbourne stava per cominciare il primo Slam dell’anno, gli aveva stracciato il visto costringendolo a tornare indietro. Un anno dopo, però, rieccolo tornare nel posto dove più ha vinto in carriera e dove più è stato maltrattato, recluso, offeso. In questa parte del mondo, sul campo, il tennista serbo non perde dal 2018, una striscia di 34 vittorie consecutive destinata a continuare. Ad Adelaide la scorsa settimana ha sollevato verso il cielo che lo ha rinnegato il novantaduesimo titolo della sua carriera. Un trionfo che somiglia a un riscatto, se non a una vendetta. Con tutto il rispetto per emergenti ed emersi, è ancora lui il grande favorito di questa edizione. Proprio Melbourne, dopo averlo esiliato, potrebbe incoronarlo ancora una volta re del mondo: vincendo infatti ruberebbe il trono ad Alcaraz, diventando il nuovo numero uno al mondo ed eguagliando il record di Nadal di 22 Slam. Sul cemento australiano la vecchia guardia non ha nessuna intenzione di concedere palle break.

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