Il trionfo di Rublev a Monte Carlo (Crivelli, Strocchi, Rossi, Semeraro). Alcaraz, Rune e Sinner. Ma dietro la folla preme (Azzolini)

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Il trionfo di Rublev a Monte Carlo (Crivelli, Strocchi, Rossi, Semeraro). Alcaraz, Rune e Sinner. Ma dietro la folla preme (Azzolini)

La rassegna stampa di lunedì 17 aprile 2023

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Principe Andrey. E’ il trionfo più bello (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Finalmente l’opera d’arte che può cambiarti la vita. Rublev è il nuovo principe di Montecarlo e festeggia cosi il primo successo in carriera in un Masters 1000, lui che aveva ormai ottenuto la patente di quello che vince solo i tornei minori. […] Adesso, nonostante abbia fatto del basso profilo e dei toni dimessi la cifra del suo percorso di vita e agonistico, il fresco conquistatore della Rocca, peraltro solido top ten ormai da due anni e mezzo, può forse scrollarsi di dosso l’immeritata nomea di impiegato della racchetta. Anche se durante la premiazione, evidentemente ancora confuso dalla straordinaria giornata di gloria, scambierà la presidentessa del Country Club per la regale consorte del Principe Alberto: «Mi viene da piangere, non so cosa dire ad essere onesto. Non lo so. Sono solo felice, ho lottato cosi tanto per vincere un dannato torneo di questo genere». Il successo, che riporta un russo sul trono di Montecarlo 23 anni dopo un altro Andrei, Chesnokov, e cancella le sue precedenti sconfitte in finale di un 1000 proprio qui (da Tsitsipas) e a Cincinnati (da Zverev), entrambe del 2021, rappresenta il compimento del nuovo percorso di Rublev, troppo spesso in conflitto con i suoi tormenti interiori piuttosto che con l’avversario dall’altra parte della rete. Ci ha lavorato molto in inverno, ha ingaggiato pure un secondo allenatore, Alberto Martin, che affianca lo storico coach Vicente e ha nel cassetto una specializzazione in psicologia, e i risultati sono maturati in fretta. Stavolta, infatti, il moscovita che aveva come idolo Safin, non si sente diminuito a lasciare la scena alle diavolerie del baby prodigio Rune, provando a disinnescarlo sulla diagonale sinistra per poi esplodere il cannone di dritto. Si chiama tennis percentuale, e nel primo set non funziona perché il fenomenale danesino serve troppo bene e possiede troppe variazioni, compresa una tagliente palla corta, per soffrire la tattica di Andrey. Ma non appena Holger cala con le percentuali di prime palle e si incarta sui colpi a rimbalzo di inizio gioco, Rublev gli è di nuovo sopra. Non è una finale da ricordare, gli errori sovrastano le prodezze e, in generale, si avverte la sensazione che i destini del match siano legati agli umori tecnici ed emozionali di Rune. Infatti: avanti 4-1 e con palla-break del 5-1 per stappare lo champagne, il ragazzino si lascia travolgere dalla paura di vincere, mentre il russo rimane dentro il match e lucra da ogni errore altrui. Nell’undicesimo game, Holger paga tutti i suoi sbalzi di gioventù: due smash in rete e un doppio fallo, con conseguente lancio rabbioso di un paio di palline in direzione mare e i buuuu di scherno del pubblico. Il danese si è scottato con le proprie mani, mentre Rublev coglie il meritato premio di chi è rimasto sempre freddo: «Quando ho perso le altre due finali dei 1000, non ero pronto mentalmente, mi rendevo conto che stavo perdendo e non facevo nulla per rovesciare la situazione. Ora invece mi sono detto: “se devi perdere, almeno lotta fino all’ultimo punto”. Ma lo sapevo che facendo le cose giuste fuori dal campo, sarei diventato un giocatore più completo». Il calore del pubblico, poi, per chi ha ancora la residenza e la famiglia a Mosca e gioca sempre senza bandiera, gli ha regalato un’emozione in più: «Essere del paese da cui provengo e ricevere sostegno a livello internazionale significa tanto». D’altronde, lui è stato l’unico giocatore russo che fin dal febbraio di un anno fa ha preso una posizione netta contro la guerra, perorando la pace a ogni partita che giocava: «Ho sempre pensato che fosse l’unica soluzione possibile».

Rublev, grande rimonta che vale il primo 1000 (Gianluca Strocchi, Tuttosport)

Il primo titolo 1000 val bene qualche lacrima a rendere ancora più lucenti i suoi occhi chiari. Sono lacrime di gioia, con un senso quasi di liberazione, quelle di Andrey Rublev, con le braccia levate al cielo sul Campo Ranieri Ili di Monte-Carlo, dove il russo, finalista nel 2021 e semifinalista dodici mesi fa, ha conquistato il successo più importante in carriera, il 13° complessivo dopo cinque 500 e sette 250. Dopo aver raggiunto la finale rimontando lo statunitense Taylor Fritz, il 25enne di Mosca, n.6 della classifica mondiale, ha saputo ripetersi con il 19enne danese Holger Rune, n.9 ATP (da oggi sulla settima poltrona). Un’impresa, la doppia remuntada nelle due sfide conclusive, riuscita in precedenza su questi campi solo a Ivan Lendl (1988) e Ilie Nastase (1971). Agli Australian Open contro il ragazzino di Gentofte dall’atteggiamento da spaccone Rublev l’aveva spuntata al termine di un tie-break del 5° set vietato ai deboli di cuore, annullando due match-point, e anche stavolta la sua resilienza è stata premiata. Il ritmo è stato subito veloce, con colpi aggressivi da entrambe le parti, e il danese bravo a fronteggiare ben 7 palle break, prima di togliere a sua volta la battuta al rivale e incamerare il parziale. Puntuale la reazione del giocatore allenato da Fernando Vicente e Alberto Martin, capace nel secondo set di aggiudicarsi il 90% di punti sulla prima di servizio ed essere più clinico nei momenti importanti in risposta. Ma nel terzo Rune, che inseguiva il suo secondo 1000 dopo il tonfo ad ottobre a Parigi Bercy, ha ripreso in mano l’iniziativa, volando 3-0 e poi 4-1, con addirittura due chance di secondo break. Memore di quanto accaduto in passato, Andrey le ha cancellate e ha rialzato la testa, riagganciando l’avversario. Che invece alla distanza ha pagato lo sforzo compiuto per domare Jannik Sinner (da oggi trai protagonisti più attesi del 500 di Barcellona, dove rientra Carlos Alcaraz) e ha perso lucidità. In particolare sul 5-5, affossando in rete uno smash, steccando un colpo e sul 30-40 commettendo doppio fallo. Rublev non si è fatto pregare, chiudendo i giochi con il 5° ace (33 i vincenti) dopo due ore e 34′. «Ho lottato così tanto per vincere un Masters 1000 – ha sottolineato Andrej ora 5′ nella Race per Torino -. Sotto 1-4 e con palla break, pensavo che non ci fosse più alcuna possibilità. Ma in qualche modo ce l’ho fatta. Nelle finali precedenti non ero pronto e quando ero in svantaggio mi sono lasciato andare mentalmente. Stavolta mi sono detto ‘Credici fino alla fine’. Sono felicissimo e devo ringraziare di cuore anche il pubblico: mi volete bene e non è facile tifare per un giocatore di un Paese come il mio». […]

Montecarlo è di Rublev, il campione sensibile che gioca per la pace (Paolo Rossi, La Repubblica)

Ha vinto il tennista russo più pacifista, Andrej Rublev. E a Montecarlo, quelli del Masters 1000, hanno tirato un sospiro di sollievo. «Ringrazio il pubblico: perché avere il sostegno all’estero, venendo dal paese da cui provengo, è molto importante». Holger Rune, il giovane danese che ha negato la finale a Jannik Sinner, s’era illuso di aver vinto quando — nel terzo set — conduceva 4-1 e aveva una chance per il 5-1. Invece… «Holger, so cosa vuol dire perdere una finale importante, ma tu hai già vinto un Masters 1000 e sei fottutamente giovane, quindi lasciane uno anche a me» ha continuato Rublev. Ha sorriso tanto, Andrej. Un ragazzo sensibile. Troppo. Però consapevole, finalmente, di aver trovato la luce in fondo al tunnel dopo aver sofferto anche di depressione. «È così. Ho sempre pensato fin troppo alla vita e alla morte, ma prima che i miei giorni finiscano continuerò a lottare per quello in cui credo e amo». Per questo, sin da subito, si è espresso palesemente contro la guerra. Per questo, quando Wimbledon ha bandito russi e bielorussi, ha cercato di mediare offrendo soluzioni, inutilmente. «Continuavano a rispondere “il governo russo utilizzerà i vostri risultati per la propaganda”. Ho capito che qualunque cosa dicessi, la risposta sarebbe stata sempre la stessa». Per questo ha giocato anche in doppio con Molchanov, collega ucraino, al torneo di Marsiglia. Per questo a Dubai ha twittato senza pensarci due volte: “Non si tratta di tennis. Non si tratta di sport. Si tratta di avere la pace in tutto il mondo. Dobbiamo sostenerci a vicenda“. Per questo, solo un cuore grande così poteva riprendersi una finale già persa.

Rublev, il tennista dissidente (Stefano Semeraro, La Stampa)

A Monte-Carlo ha vinto il Buono, e il fatto che sia un russo buono, nato a Mosca e con un nome che più russo non si può – Andrey Rublev – di questi tempi, è una notizia. Il numero 6 del mondo, che l’anno scorso in più occasioni si era coraggiosamente dichiarato contrario all’invasione dell’Ucraina scrivendo sulle telecamere «No war» e «Peace is all we need» per tutta la settimana è stato incoraggiato del pubblico, che anche ieri gli ha tributato un lungo applauso. «Grazie per il vostro sostegno – ha detto asciugandosi le lacrime dopo la vittoria in tre set sul danese Holger Rune -. Riceverlo all’estero, per uno che viene dal mio Paese è molto importante». Un punto in più a favore della fine del bando per i tennisti russi e bielorussi che nel 2022 era stato deciso da Wimbledon e dagli altri tornei inglesi sull’erba su pressione del governo dell’allora premier britannico Boris Johnson. L’anno scorso proprio Rublev, pur di evitare l’esclusione, si era offerto di giocare in doppio a fianco di un collega ucraino, mentre a novembre alle Atp Finals di Torino aveva formulato un vero e proprio manifesto della sua generazione di ventenni cosmopoliti che vedono la guerra come un relitto del passato: «Abbiamo Internet, possiamo volare, viaggiare, fare sport, prenderci cura delle nostre famiglie. Nessuno vuole soffrire o combattere. Non ne abbiamo bisogno, eppure tanti Paesi stanno soffrendo. Io penso che l’importante sia stare insieme in pace». […] Il successo di Rublev è il quinto dell’anno (su 19 tornei) di un tennista russo in campo maschile nel circuito professionistico.

Alcaraz, Rune e Sinner. Ma dietro la folla preme (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Erano quattro, un tempo. I Fab Four del tennis. John, Paul, George e Ringo, ma con la racchetta in mano. In una foto ricostruita da mani abili nell’uso di Photoshop, li fecero sfilare in maglietta da tennis sulle strisce pedonali di fianco agli Studios al numero 3 di Abbey Road, il famoso Beatles Crosswalk. Poi sono scesi a tre, chi l’abbia deciso non si sa. i Big Three. E tutti si sono affrettati ad aderire alla nuova insegna, arretrando il povero Andy Murray che la stampa britannica aveva sostenuto a suon di epinici, elogi e panegirici, anche quando lui sosteneva durante i Mondiali di calcio di fare il tifo per qualsiasi squadra incontrasse l’Inghilterra. Con Murray, va da sé, il tesserino per il club dei più forti è stato ritirato anche a Wawrinka (tre vittorie Slam come Andy), Del Potro e Cilic (una a testa). Il tema torna di attualità in queste settimane, tra Indian Wells, Miami e Montecarlo, i primi tre Masters 1000 della stagione, durante i quali l’assenza di Nadal e di Djokovic, poi mostratosi non poco ossidato al suo rientro monegasco, ha proposto l’ennesima discussione sul futuro del tennis. Riattizzata dal Djoker con la nomination – un bel po’ scontata – di Alcaraz, Rune e Sinner a nuovi Big Three del futuro. Poco da aggiungere sui tre, che per età, stile di gioco, vittorie e piazzamenti riportati, e più ancora per la classifica, valgono di sicuro una nomination. Alcaraz è un fenomeno autentico, il sacro fuoco del tennis scorre nelle sue vene, e le conquiste sono pari a quelle che lanciarono Rafa, dal 2005 in poi, verso i Campi Elisi del tennis. All’età di 19 anni e 10 mesi (che è quella di Alcaraz) Rafa aveva vinto il primo Roland Garros, quattro Masters Series (Montecarlo, Roma, Canada e Madrid allora indoor) e 12 tornei del Tour. in classifica era approdato al numero 3 a giugno 2005 e al numero 2 a fine luglio. Più in alto c’era solo Federer. Carlos ha risposto con gli US Open, tre Masters (Miami, Madrid e Indian Wells) e 8 successi nel Tour. Ma è salito al numero uno a settembre dell’anno scorso. Holger Rune mi ha colpito non poco per come ha gestito la semifinale con Sinner. È un arrogante di genio, e un presuntuoso come se ne sono visti pochi nella storia ultra centenaria del nostro sport. Ma ci sa fare. È scaltro e trova subito il machiavello tattico per portare dalla sua il match. Ha capito che cosa fare con Sinner dopo un primo set scapestrato, fondato su accelerazioni che invitavano a nozze il nostro, ma ha del tutto cambiato spartito a inizio del secondo set, allestendo una muraglia di pallettoni lunghi e lenti, sulla quale Sinner si è spiaccicato. Linterruzione per pioggia ha fatto si che anche Jannik, forse imbeccato dal suo team, cambiasse tattica . A quel punto Rune si è rivolto al pubblico. L’ha sfidato apertamente e con gesti a dir poco antipatici è riuscito a interrompere il flusso di attenzioni che faceva da traino a Sinner rivolgendolo contro se stesso, del tutto insensibile a fischi e pernacchie. E il terzo set l’ha giocato meglio lui, meritando alla fine l’accesso al match decisivo poi perso con Rublev. A Sinner i complimenti per aver raggiunto tre semifinali (con una finale) nei tre “Mille” di inizio stagione. Ci sono riusciti pochissimi, ma non gli sono valsi una vittoria. Con due anni di meno, Alcaraz e Rune appaiono più disinvolti nella gestione dei match. Sinner ha tempi più lunghi, sa applicare sul campo ciò che ha provato e studiato in allenamento, ma non riesce ancora a cogliere in tempi celeri quali siano le articolazioni tattiche del match. Se le scelte pianificate nello spogliatoio si rivelano esatte (e per fortuna il più delle volte è così) allora Sinner procede spedito. Se c’è da cambiare, fatica. Tanto più se ha di fronte quei giocatori avvezzi a incasinare le carte. Contro Tiafoe, l’anno scorso a Vienna andò in paranoia. Contro Rune l’altro ieri c’è rimasto male e non ha avuto la sfrontatezza di replicare. Imparerà. Speriamo presto… La qualità davvero non manca. […] Eppure, se il futuro che vogliamo dipingere si limita ai tennisti fino ai 22 anni, non capisco come le nominations possano limitarsi ad appena tre. Dai 18 anni dell’ultimo arrivato, il francese Luca Van Assche fino ai quasi 23 di Jenson Brooksby la Top 100 offre dimora a ben 13 ragazzini. Quattro sono in Top 10, altri due in Top 30 e quattro in Top 50. […] Ma per non correre troppo con la fantasia non vedo come sia possibile, oggi, stabilire che siano fuori dal podio più alto ragazzi di qualità come Auger Aliassime (n. 7 Atp), Musetti (21), Korda (26) Shelton (39) e Draper (56), che mischiano talento a fisicità. […]

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