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C’era una volta Novak Djokovic

La vita di un fenomeno, dacché si allenava sotto le bombe, alle due persone cui deve tutto. Passo dopo Passo i successi e gli insuccessi, sul campo e fuori. Merita il Grande Slam come Rod Laver? Nessuno più completo di lui

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Novak Djokovic - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
 

UN GIOCHERELLONE CON UNA FAMIGLIA A VOLTE IMBARAZZANTE

Lì, nella sua prima accademia, da dove chiamava casa ogni giorno per i primi mesi per alleviare l’esilio, era conosciuto come “l’uomo elastico”, perché arrivava sempre trenta minuti prima di ogni allenamento per fare un po’ di stretching in più, con la sua borsa, ovviamente ben organizzata. Il culto dello stretching. È nascosto tutto lì, il coraggio e la professionalità, configurati dietro una famiglia che, con il padre patriarca Srdjan in testa, non gli pone limiti e nemmeno grandi scappatoie.

Trasportato dal  talento o appesantito dalla pressione negativa che talvolta ne deriva? I suoi inizi nel tour, caratterizzati da lamenti in campo e dai fumantini familiari sugli spalti, gli hanno dato un’ etichetta di cui non é facile sbarazzarsi, ed è ancora lecito chiedersi se alla fine ci sia riuscito.

 Il mondo del tennis è rimasto sbalordito dall’arrivo di questo personaggio dagli occhi a palla ed i  denti lunghi, ambizioso ma sicuro di sé, scherzoso, al limite dell’insolenza per i più refrattari a questo tipo di personaggi che si distingue in un mondo sempre più sterile. Prima del “Djocosmico”,  e’ stato il tempo del “Djocomico”, noto intrattenitore del backstage, che scende in campo a Bercy indossando una maschera di Zorro o con una parrucca bionda, insieme al suo connazionale Viktor Troicki, facendo riferimento al videoclip girato da Nadal e Shakira. Le sue imitazioni dei colleghi sono spesso geniali, dai tic di Nadal al servizio di Maria Sharapova, prima di interromperle del tutto dato che sembrano essere così fastidiose per l’establishment.

Tutto questo viene fatto con una naturalezza e una disinvoltura che saranno criticate in quanto ritenute opportunistiche, dalle conferenze stampa indossando la maglietta da calcio della nazionale locale, alle pubblicità sull’ala di un aereo e persino in campo, dove invita un raccattapalle a bere con lui sotto l’ombrellone durante una pausa.

Fa balletti su tutte le hit del momento per celebrare le vittorie alla fine della partita, parla più lingue di Federer, si presenta nei talk show americani dove i presentatori sembrano stupiti dal vedere un volto così giovane gia come effigie su un francobollo. “Vuoi leccarmi la faccia?”, chiede il serbo in maniera goliardica. Anche se nel tempo si è addolcito, preferendo interminabili filippiche sul senso della vita nelle conferenze stampa, chi altro oltre a lui può vantare di fare altrettanta notizia al di fuori dal campo?

Ma in campo, il clan sta diventando irrequieto, un po’ troppo per tutti gli standard. I Djokovic si stanno facendo spazio nel mondo del tennis tirando spallate.

Il clan é festoso, come al Roland Garros del 2007, quando tutta la famiglia fu avvistata vestendo di giallo in un angolo dello stadio, ma è anche vendicativo. “Il re è morto, viva il re!”, esclamò Dijana, la madre, il giorno della vittoria del figlio su Federer nel 2008. Sacrilegio! Ancora piu’ odiato é il padre Srdjan, che ha spesso esagerato e oscurato l’ascesa di “Nole” con i suoi eccessi, ovviamente dannosi per l’immagine generale. Eccolo nel box con la testa del figlio sulla camicia. Sempre in missione, nel maggio 2008 a Belgrado, fa irruzione nello studio del telecronista serbo Nebojsa Viskovic durante la trasmissione della semifinale Nadal-Djokovic ad Amburgo. La situazione é assolutamente surreale. I commenti molto aggressivi. “È una vergogna, sei ossessionato da Nadal”. Imbarazzante. Dijana racconterà in seguito che la famiglia vedeva la cosa come una mancanza di rispetto. “Avevamo la sensazione che Nadal e Federer venissero glorificati, come se Novak non esistesse. Agli Open di Francia, ci hanno messo un po’ a darci tanti accrediti quanto quelli concessi a Nadal…”.

Novak Djokovic – Roma 2023 (foto Francesca Micheli)

A peggiorare le cose, Djokovic si è fatto strada da solo nella sua nascente leggenda in partite che non ha esitato ad abbandonare nel bel mezzo di una battaglia, spesso per  un colpo di calore. Agli occhi dei suoi colleghi sembra un uomo inaffidabile, forse a volte subdolo. Il culmine è avvenuto agli US Open del 2005, in un match di primo turno contro Gaël Monfils costellato di interruzioni che fanno sembrare il “toilet break gate” odierno un gioco da dilettanti. “Djoko” ha interrotto il ritmo per respirare, riallacciarsi le scarpe, fare pipì, farsi massaggiare la spalla, fino a crollare in campo sul 4-3 del quinto set, nel bel mezzo della partita, apparentemente stordito, prima di sottoporsi a 15 minuti di MTO. E, soprattutto, prima di vincere. “Un momento, Djokovic è morto. Quello dopo corre come una lepre. Stava scherzando”, sbotterà Thierry Champion, allenatore di Monfils. Più tardi, parlando della partita, il serbo si paragonerà ad “una balena spiaggiata”.

Nel corso di quelle stagioni, i seguaci hanno raccontato i suoi primi successi al pari dei suoi suoi crolli. Un attacco di stanchezza contro Stan Wawrinka nella finale di Umago (Croazia) nel 2006; un’infezione virale in Coppa Davis contro i russi nel 2008; problemi respiratori contro Federer a Monaco nel 2008; un colpo di calore contro Andy Roddick a Melbourne nel 2009; un’allergia contro Filip Krajinovic a Belgrado nel 2010; gastroenterite e vomito contro Jo-Wilfried Tsonga agli Australian Open nel 2010…

In una conferenza stampa che rimarrà negli annali, Roddick, in occasione dello US Open del 2008 in cui il serbo aveva barcollato fino alla semifinale, elencò tutte le sofferenze attribuite al malato immaginario, dall’influenza all’antrace, dai reumatismi al morbo della mucca pazza. Questo episodio segnò il suo rapporto con il pubblico americano. Oggi il texano, come molti altri, non ha più la stessa opinione, come se la storia “ufficiale” avesse impiegato molto tempo a ricordare che Djokovic era riuscito soprattutto a cancellare le sue debolezze piuttosto che ad esaltarle costantemente.

Un tweet di Roddick durante gli US Open 2021 riassume l’inversione di tendenza in una frase: “Lui (Djokovic) ti prende le gambe e poi l’anima”. Sì, nel corso degli anni il 36enne è diventato quasi infallibile, anche se ci vorranno tre anni prima che vinca il suo secondo titolo dello Slam, dopo il primo a Melbourne nel 2008.

Nel 2005, lo stesso chirurgo di Silvio Berlusconi lo ha operato per correggere il naso deviato e migliorare la respirazione. Perdente in mezzo ai grandi, rimane l’immutato numero 3 del mondo. Nel 2007, 2008, 2009. E per un altro anno nel 2010. C’erano due uomini”, dice, “e per loro (Federer e Nadal) ero solo un problema occasionale che poteva finre da un momento all’altro…”.

Traduzione a cura di Bianca Mundo

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