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C’era una volta Novak Djokovic

La vita di un fenomeno, dacché si allenava sotto le bombe, alle due persone cui deve tutto. Passo dopo Passo i successi e gli insuccessi, sul campo e fuori. Merita il Grande Slam come Rod Laver? Nessuno più completo di lui

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Novak Djokovic - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
 

“DJOKO”, MR INDISTRUTTIBILE

Indebolito da un infortunio al gomito, per molti mesi ha preferito tentare – invano – soluzioni alternative, convinto che il corpo abbia la capacità di automedicarsi, e ha rifiutato qualsiasi intervento chirurgico. Nel mondo dello sport professionistico, dove gli infortuni sono una minaccia costante, questa è una posizione molto rara. Forse questo spiega l’estrema attenzione prestata a un corpo che è stato santuarizzato e infine calibrato per resistere a quasi tutto.

Nel corso della sua carriera, Djokovic non ha mai subito un infortunio alla parte inferiore del corpo. Le sue ginocchia, le sue caviglie e i suoi piedi non lo hanno mai costretto a rinunciare a un incontro, mentre i suoi più grandi rivali cercano di rimediare. Ed è stato con il cuore pesante e un senso di colpa che si è protratto per diversi mesi che ha deciso di operarsi al gomito all’inizio del 2018.Carriera finita? No. A distanza di cinque anni, dall’Open di Francia 2018, ha vinto undici dei diciassette Slam in cui ha giocato, l’ultimo ieri a Porte d’Auteuil sulla terra di Nadal. È stata una marcia gloriosa, nonostante le prove e le tribolazioni che gli si sono presentate costantemente, forzate o provocate, come se nulla potesse accadere nel suo mondo in perenne subbuglio.

Novak Djokovic – ATP Roma 2023 (foto Francesca Micheli, Ubitennis)

Nemmeno Netflix potrebbe immaginare una saga più stravagante. La squalifica agli US Open 2020, quando colpisce accidentalmente con una pallina vagante una delle poche persone presenti nell’immenso campo Arthur-Ashe, deserto a causa del Covid; la denigrazione a Melbourne 2021 per la gestione del muscolo intercostale lacerato, poi ancora al Roland Garros, con le sue interruzioni; il crollo totale fino alle lacrime nella finale degli US Open, a un passo dal leggendario Grande Slam, quando aveva appena sfilato a Tokyo, finalmente riconosciuto come campione universale dai suoi pari. Tutto questo prima della sua espulsione da Melbourne nel gennaio del 2022, lui, il giocatore non vaccinato, trattenuto al Park Hotel, considerato un pericolo pubblico dalle autorità che dubitavano della validità del suo visto e della sua esenzione.

Non si trattava più di tennis, ma della storia di un uomo che, dopo il trauma australiano, si sarebbe ricostruito ancora più forte, nonostante il passare degli anni, deciso a nonvenire meno ai suoi principi. Ha perso alcuni tornei e uno Slam, ma non si è mai vaccinato. Incrollabile nella sua determinazione, anche a costo di sembrare irresponsabile, preferisce preservare la sua inespugnabile cittadella (il suo corpo) e la sua logica al record di successi, in nome degli stessi principi che lo hanno guidato fin dall’inizio. Irragionevole? Forse sì. Ma questa è la sua storia.

Traduzione a cura di Bianca Mundo

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