Brooksby: la sentenza completa, il (falso) problema dei whereabouts e le repliche del tennista

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Brooksby: la sentenza completa, il (falso) problema dei whereabouts e le repliche del tennista

Jenson Brooksby testato dall’antidoping poco dopo l’annuncio della sospensione: ”Non hanno a cuore la salute mentale dei giocatori”. Un riassunto con la sentenza che lo ha sospeso per 18 mesi, i confronti con il caso Ymer e la sostenibile pesantezza dei controlli fuori dalle gare

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Jenson Brooksby - Australian Open 2023 (foto Twitter @atptour)
 

Mentre Jannik Sinner continua a rubare la scena principale dando sempre più valore a quel quarto posto del ranking che è dietro ma non davvero dietro gli altri tre (vabbè, facciamo due, tra Alcaraz che dopo l’inaspettata sconfitta con Medvedev allo US Open non ne ha più azzeccata una e la bestia nera Daniil passata in candeggina), succedono altre cose. Per esempio a Jenson Brooksby, del quale avevamo dato immediata notizia della squalifica per l’assenza a tre controlli antidoping, ma non della sentenza completa successivamente pubblicata e delle conseguenti esternazioni sui social media del ventitreenne di Sacramento, dal quale ci aspettavamo un 2023 di alto livello e invece i guai, fisici e non solo, si sono messi di traverso.

I whereabouts

Per prima cosa, ricordiamo che un tennista top 100 a fine stagione viene inserito nell’International Registered Testing Pool per l’anno successivo e dovrà pertanto compilare un modulo specificando dove si troverà nei successivi tre mesi – dove alloggia, si allena e gareggia in quel periodo –, aggiornandolo quando necessario, in modo che possa essere raggiunto per essere sottoposto ai test “out-of-competition”. Deve quindi fornire i cosiddetti whereabouts, termine che useremo più volte anche come metonimia per il relativo modulo.

Per ogni giorno, va specificata una fascia oraria di 60 minuti tra le 5 e le 23 in cui è disponibile in un determinato luogo. Lo stesso Independent Panel (il gruppo di legali ed esperti tra i quali il Presidente nomina di volta in volta i tre giudici del Tribunale) ha più volte riconosciuto la gravosità dell’onere per cui “gli atleti rinunciano a una notevole quantità di autonomia e privacy in nome di uno sport pulito”. È responsabilità dell’atleta fornire informazioni sufficienti per consentire al funzionario di trovare il luogo indicato, accedervi e trovare l’atleta senza preavviso; da parte sua, il funzionario che non localizzi immediatamente l’atleta deve restare nel luogo indicato per il resto della fascia oraria e fare quanto ragionevolmente possibile per trovarlo, così da evitare un “test mancato” quando il tennista era in effetti presente. Non risultare reperibile e/o non compilare il modulo per tre volte nell’arco di dodici mesi costituisce una violazione delle norme antidoping.

È importante sottolineare che, arrivato alla reception di un hotel e mostrate le sue credenziali, il funzionario non deve chiedere il numero di stanza, ma farla chiamare dall’addetto che parlerà direttamente con l’atleta. Entrando nel caso specifico, Brooksby ha confermato di aver ricevuto nel dicembre 2021 la notifica della sua inclusione nel Testing Pool, con tutte le indicazioni e informazioni riguardo ai suoi obblighi. Jenson ha dato un’occhiata alla documentazione per poi delegare tutto al suo agente Amrit Narasimhan.

I tre test mancati

La prima assenza di Brooksby è datata 19 aprile 2022. Non era nel luogo dichiarato (il suo abituale campo di allenamento) perché lo aveva cambiato all’ultimo momento dimenticando di aggiornare il modulo. Precisamente, aveva supposto che il proprio coach lo avrebbe comunicato a Narasimhan. Il tennista ha risposto alla conseguente notifica dell’ITIA dicendo che avrebbe fatto “meglio d’ora in avanti” e che, pur sapendo di avere egli stesso la responsabilità dei whereabouts, si fidava del suo entourage che viceversa non aveva fatto il proprio lavoro.

Il secondo test mancato è del 4 giugno successivo. Alle 6 del mattino il funzionario arriva all’hotel indicato, mostra le credenziali all’addetto alla reception spiegando la natura della visita. Gli viene risposto che il giocatore non ha ancora fatto il check-in e che è atteso nel primo pomeriggio. Con sorpresa del funzionario, gli viene addirittura mostrata la prenotazione presente nel sistema che provvede a fotografare. Oltre alla data di check-in del 4 giugno, sono presenti le indicazioni “515” e “twin” sul significato delle quali non si informa perché la parte che conta è appunto la data di arrivo. Il funzionario rimane in attesa nella hall, controlla il database per assicurarsi che non vi siano state modifiche dei whereabouts, non ritiene di dover interloquire con le poche persone che vede passare e alle 6.56 chiama il cellulare di Brooksby: “non raggiungibile o disconnesso”. La chiamata al telefono mobile negli ultimi cinque minuti della fascia oraria è una failsafe non obbligatoria.

Brooksby ha in seguito richiesto una revisione amministrativa sulla decisione di considerarlo un test mancato: lui era effettivamente dove dichiarato a partire dal 31 maggio, ma fino al giorno 4 la stanza (la n. 515) era sotto il nome del fisioterapista, il quale aveva ottenuto delle condizioni economiche migliori in virtù del proprio status (inventiamo, è cliente platinum del sito reservemethis.com) e aveva cancellato la prenotazione di Brooksby. Rimaneva invece quella del tennista a partire dal 4 giugno, giorno dal quale la stanza sarebbe stata a nome suo (l’agente ne era stato informato).

Per assicurarsi che il funzionario potesse eventualmente raggiungerlo, ha poi spiegato Jenson su richiesta dell’ITIA, all’arrivo aveva mostrato il passaporto alla reception che gli aveva però detto che non era necessario. Uno o due giorni dopo, richiedendo un’altra chiave della stanza perché l’aveva persa, Brooksby ha chiesto che il proprio nome fosse aggiunto alla prenotazione insistendo sull’importanza della cosa per via della reperibilità. L’addetto ha risposto che non era possibile e lo ha annotato su un foglietto.

Il terzo test mancato è del 4 febbraio. Brooksby era andato da Dallas a Los Angeles per contattare un nuovo allenatore pensando di tornare la sera stessa. Ha cambiato idea e lo ha detto al proprio agente, ma il modulo non è stato aggiornato. In realtà, su questo punto c’è una discrepanza nei due paragrafi della sentenza: come base di partenza e di non rispettato ritorno, il n. 51 indica la Florida, quello successivo Dallas. In ogni caso, notifica di test mancato, il terzo, e nessuna contestazione da parte di Brooksby. Un po’ anticlimax, no?

Davanti al Tribunale – Le conclusioni delle parti

Torniamo allora al secondo test, quello sul quale il Tribunale deve quindi decidere. L’argomentazione di Brooksby è che il funzionario non abbia fatto quanto ragionevolmente possibile dopo aver visto il numero della stanza e che era una “twin” e non una “king” (due letti singoli e non un matrimoniale). Avrebbe dovuto domandare alla reception perché la stanza fosse assegnata al giocatore se non era ancora arrivato, quante persone ospitasse, se il giocatore fosse in effetti già arrivato. In via alternativa, Brooksby sostiene che non c’è stata mancanza di negligenza da parte sua perché non avrebbe potuto fare nulla di più prima del 4 giugno per notificare al receptionist che occupava quella stanza, il quale avrebbe dovuto saperlo per via degli accordi per trasferire la stessa stanza a proprio nome il giorno 4.

Dal canto suo, l’ITIA asserisce che il funzionario ha fatto tutto in modo ragionevole in quella situazione e che il tennista non può respingere la presunzione di negligenza. Avrebbe dovuto comprendere il rischio derivante dalla mancanza del proprio nome nella registrazione e non ha fatto nulla per porvi rimedio. Tre test mancati, quindi violazione del regolamento antidoping.

Cosa dicono i giudici

Secondo il Tribunale, non è in discussione che Brookby fosse nella stanza all’ora stabilita, ma la semplice presenza non è sufficiente perché il dovere dell’atleta è di essere disponibile e raggiungibile: una disponibilità da valutarsi sulle base delle informazioni fornite nei whereabouts.

La valutazione della ragionevolezza delle azioni del funzionario è oggettiva e indipendente dalla situazione dell’atleta e il Tribunale conferma che il funzionario si è attenuto al Protocollo non parlando con le persone viste nella hall, primo perché non aveva motivo di ritenere che conoscessero Jenson, secondo perché deve evitare che l’atleta sappia in anticipo del controllo. Il funzionario ha anche chiamato il cellulare, un’ultima risorsa che può (nell’originale, may) utilizzare negli ultimi cinque minuti. Alla reception ha fatto le richieste riguardo alla stanza dell’atleta e staff e manager che, dopo aver più volte controllato, gli hanno risposto che non aveva ancora fatto il check-in, che non si trovava nell’hotel e che era atteso più tardi quel giorno. Non solo il funzionario non aveva l’obbligo di chiedere cosa significasse quel 515, ma il Protocollo stabilisce esplicitamente che non deve chiedere il numero della stanza.

Rispetto al caso di Alizé Cornet, a casa propria e salvata da “il citofono era rotto” (non provateci durante le fasce orarie della visita fiscale, non vale), il funzionario non aveva motivo di indagare ulteriormente nel momento in cui gli è stato detto che il giocatore non era ancora arrivato.

La presunzione di negligenza può essere respinta se l’atleta dimostra, sulla bilancia delle probabilità (il 50% più 1), che nessun comportamento negligente da parte sua ha causato o contribuito all’assenza al test. Negligenza è “l’inosservanza di quell’obbligo di diligenza che ci si aspetta da un atleta in una simile situazione”. Nonostante sapesse che la stanza era a nome del fisio, Brooksby non ha aggiornato il modulo con il numero della stanza e non ha gli ha chiesto di assicurarsi che anche il proprio nome fosse incluso nella prenotazione né al check-in né in un successivo momento.

Il giocatore conferma di non aver risposto al telefono perché in modalità silenziosa. Solo all’udienza Brooksby ha menzionato il fatto di aver chiesto alla reception di scrivere il proprio nome su un pezzo di carta rimarcando l’importanza nel caso di visita del funzionario. Vero o meno, ciò non è sufficiente a rigettare la negligenza sia perché alla reception si alternano gli addetti, sia perché in un sistema computerizzato un eventuale foglietto potrebbe facilmente andare perduto o essere ignorato. La responsabilità non può essere attribuita allo staff dell’hotel. La negligenza rimane e con essa la violazione del regolamento antidoping, la prima di Brooksby.

La decisione

La sanzione prevista è di due anni riducibile fino a uno in base al grado di colpa. Colpa che secondo Jenson (nel caso fosse confermata la violazione) dovrebbe “ricadere nel punto più basso della scala”. L’ITIA è del parere opposto: colpa significativa e nessuna riduzione. Secondo il Programma Antidoping del Tennis (TADP), fattori nello stabilire il grado di rischio sono, per esempio, “l’esperienza del giocatore, il grado di rischio che avrebbe dovuto essere percepito dal giocatore”.

Brooksby è un tennista di élite ventiduenne – dicono i giudici –, conscio dei suoi obblighi derivanti dall’inclusione nel pool, non ha letto per intero le regola della ITIA, ha rifiutato i seminari e altre occasioni informative e ha delegato i suoi obblighi all’agente. Dopo due test mancati, l’atleta avrebbe dovuto prestare la massima attenzione per evitare il terzo, cosa che non ha evidentemente fatto. Alto grado di colpa, dunque, secondo il Tribunale, che giustificherebbe una sospensione di 24 mesi. Tuttavia, considerando il caso Ymer – atleta con più esperienza rispetto a Brooksby e che aveva anch’egli delegato gli obblighi al proprio agente – la sanzione è di 18 mesi come per lo svedese.

Il caso Ymer, uguale ma diverso

Ricordiamo che Mikael Ymer era stato invece assolto dal Tribunale Indipendente. Nella sentenza, i giudici avevano sì ritenuto che il funzionario aveva fatto tutto quanto richiesto per trovare il giocatore; tuttavia, né a Ymer né al suo agente poteva essere attribuita negligenza. […] nessuna colpa può essere attribuita al giocatore per aver delegato i propri doveri riguardo i whereabouts. Nello specifico, poiché il giocatore non sapeva il nome dell’hotel dove avrebbe alloggiato il 7 novembre 2021, non aveva un’imprescindibile ragione per informare l’agente e chiedergli di aggiornare il modulo dopo aver ricevuto l’informazione di essere nell’hotel sbagliato. Il giocatore ha anche confermato che di solito l’agente gli dice che alloggerà presso gli hotel ufficiali piuttosto che specificare il nome degli hotel”.

L’ITF aveva poi fatto ricordo al CAS di Losanna che ha ribaltato la sentenza del Tribunale. Una prima decisione che, a parere di chi scrive, permetteva con troppa facilità aggirare gli obblighi. Una volta resosi conto del cambio di hotel, a Ymer sarebbe bastato tirare fuori il cellulare, aggiornare i whereabouts (cioè adempiere al suo obbligo) e adesso starebbe giocando a Parigi-Bercy. Va notato che lo statunitense ha contestato il secondo test mancato, Mikael l’ultimo: chi dei due è stato più… “superficiale” nella terza occasione sapendo che sarebbe stata fatale?

La nuova difesa social di Brooksby

Per l’argomento che qui ci interessa, i social media sono un mezzo potente che permette all’atleta di mantenere per quanto possibile il controllo della narrazione. Così aveva fatto Simona Halep, per esempio, trascinando nell’indignazione milioni di appassionati per i ritardi nella sua udienza, poi ben spiegati nella sentenza, letta però da diversi milioni in meno. Nel messaggio su Instagram postato dopo la sentenza, Jenson scrive tra l’altro:

“Ero nella mia stanza per tutta l’ora […]. Per qualche ragione, quelli dell’hotel hanno detto al funzionario che non avevo ancora fatto il check-in, ma gli hanno mostrato lo schermo del computer che aveva già il numero della mia stanza nell’elenco. Perfino con quella informazione, il funzionario non ha mai chiesto di chiamare la mia stanza.”

Da quanto emerso dall’udienza, il funzionario non lo ha fatto perché non sapeva che si riferisse al numero di una stanza (che, peraltro, dal sistema dell’hotel risultava sotto un altro nome) e soprattutto perché Brooksby non l’aveva indicato nei whereabouts. La ragione per cui gli hanno detto che non aveva fatto il check-in è che non l’aveva fatto.

Presto arriva un altro post del tennista:

“Sono stato testato dall’IDTM [International Doping Tests & Management], solo alcune ore dopo l’annuncio della mia sospensione. Chiunque abbia preso questa decisione non ha a cuore la salute mentale dei giocatori. È il quinto test da marzo 2023, compreso uno fuori dalla fascia oraria. Non ho mai fallito un test.”

Brooksby ha detto che presenterà ricorso, quindi non resta che attendere che venga esaminato dal CAS di Losanna. Lo stesso vale per il ricorso di Simona Halep.

Nel frattempo, ci si domanda: un “bonus” di due test saltati è troppo poco? La sanzione (due anni riducibili fino a uno) è eccessiva nei confronti di qualcuno che, in fondo, non è stato trovato positivo e si ritrova con una sospensione maggiore rispetto alle “assunzioni involontarie”? Il fatto è che la possibilità di più assenze e sanzioni inferiori possono indurre a valutare come decisamente appetibile il rapporto rischi/benefici coloro con poche remore etiche o di altro tipo quando di tratta di imbrogliare. Ed è fin troppo facile replicare al “mai trovato positivo” con un iperbolico “mai trovato punto”.

Un altro aspetto riguarda i funzionari che sembrano non darsi da fare più di tanto nel trovare l’atleta effettivamente presente. L’ITF si è trovata al centro di critiche l’anno scorso quando il Daily Mail ha scoperto che in più occasioni i tennisti erano stati avvertiti in anticipo dei test per il passaporto biologico, per esempio in occasione del Miami Open 2022. È chiaro che avvertire che ci sarà un controllo a sorpresa “sembrerebbe una violazione dello spirito, se non della lettera, del codice della WADA” commentava il professor Roger Pielke dell’Università del Colorado. Qualche stortura a parte, però, lo scopo del Programma è “l’effettuazione efficiente ed efficace di test senza preavviso”, che implica una grossa differenza rispetto a un generico fare dei test. Per questo la telefonata “failsafe” va fatta non prima degli ultimi cinque minuti della fascia oraria. Probabilmente dovrebbe essere obbligatoria e non discrezionale per evitare disparità di trattamento (sia Ymer sia Brooksby sono stati comunque chiamati).

L’onere che questa reperibilità comporta è indiscutibilmente notevole e certo molte cose possono andare storte, compreso il funzionario “disorientato”, ma quanto spesso arriva una violazione antidoping? Insieme a quello di Igor Marcondes, si tratta di tre casi sanzionati quest’anno, ma restano tre in cinque anni perché, se la memoria non ci inganna, bisogna tornare indietro al 2018 per trovarne un altro (Alizé Cornet, peraltro non ritenuta colpevole). Considerando che nel Testing Pool 2023 figurano 284 tennisti, probabilmente tutto quello che può andare storto non sempre lo fa.

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