“Tutto è bene quel finisce bene” è stato il commento del giornalista francese Xavier Coffin che ha riportato l’accaduto. Relativamente bene, diciamo noi. Ci riferiamo alla sesta edizione dell’Open de Bourg-de-Péage, torneo di esibizione maschile e femminile che è stato tale (maschile e femminile) oltre le legittime aspettative di chiunque.
È successo che Marta Kostyuk, tennista ucraina che avrebbe dovuto sostituire in finale l’infortunata Donna Vekic contro la sedicenne russa Mirra Andreeva, è stata costretta a rinunciare al match (non lo ha “boicottato” come ha scritto qualcuno distratto) per le pressioni ricevute sui social. Marta, hanno spiegato gli organizzatori, ha concluso la sua mattinata con i ragazzi del club, fatto foto, firmato autografi e tutto quanto, scusandosi ancora: “Vuole solo calmare gli animi e soprattutto smettere di ricevere minacce in rete”. E qualche fenomeno, al calduccio del suo divano, protetto da migliaia di chilometri e alcuni Stati che lo separano dalla Russia, l’ha pure attaccata per questo.
Ma siamo qui a parlare di sciocchezze, non di sciocchi, quindi concentriamoci sull’occasione involontariamente fornita dal forfait di Kostyuk. Perché la Finale Femme andata in scena ha visto affrontarsi la citata Mirra e Yanis Ghazouani Durand, che non sappiamo chi sia (ci arriviamo dopo) e il giusto ci importa se non per la parte che è un uomo. L’occasione, spesso invocata da tanti, è appunto quella di una “battaglia dei sessi”. Insomma, pare che non ci sia pace se non si combatte. Spoiler: ha vinto Ghazouani in due set.
Con Battle of the sexes si intendono gli incontri di esibizione tra un uomo e una donna, il più celebre dei quali è stato quello del 1973 tra Billie Jean King – uscita vincitrice – e Bobby Riggs (che aveva battuto Margaret Court quattro mesi prima), al centro dell’omonimo film del 2017 interpretato da Emma Stone e Steve Carell, “doppiati” in campo da Vince Spadea e Kaitlyn Christian, bravi a disimparare il loro tennis per rendere quello dell’epoca, anche se ci viene in mente un dritto a sventaglio in salto sforbiciato di Kaitlyn, che sarebbe come vedere Russell Crowe nel Gladiatore impugnare uno smartphone. Altro incontro celebrato, quello del 1992 tra Martina Navratilova e Jimmy Connors, vinto da quest’ultimo per 7-5 6-2.
Non si può dimenticare la doppia sfida tra il tedesco Karsten Braasch e le sorelle Williams. Correva l’anno 1998, durante l’Australian Open. Venus e Serena, rispettivamente di diciassette e sedici anni, avevano affermato di poter battere qualsiasi tennista maschio fuori dalla top 200. Numero 203 ATP in quel momento, si fece avanti il trentenne Braasch, mancino dal servizio molto dinamico e dai colpi a rimbalzo parecchio storti. “Dopo una mattinata di golf, un paio di birre e mezzo pacchetto di sigarette” secondo il quotidiano The Irish Times, Karsten batté 6-1 Serena (n. 97, avrebbe finito l’anno al 20° posto) e 6-2 la n. 21 del mondo Venus (n. 5 a fine stagione). Il tedesco si vantò poi di aver tirato i servizi al 50% perché era lì “per divertimento”, e di aver giocato da numero 600. Il tutto davanti ai giornalisti, fra cui Ubaldo Scanagatta, Rino Tommasi e Gianni Clerici e a poche centinaia di spettatori, senza giudici né raccattapalle.
Arriviamo così a domenica 17 dicembre, quando a causa dello scarso preavviso gli organizzatori non riescono a trovare una sostituta e, volendo offrire agli spettatori i due match promessi (l’altro è la finale maschile) chiamano il numero 1 del… club, Yanis Ghazouani Durand, anche n. 88 di Francia e 1146 ATP.
Dal suo profilo sui siti dell’ITF e dell’ATP (che cambia layout proprio mentre scriviamo, non benissimo), apprendiamo che Yanis ha conquistato il primo punto valido per il ranking lo scorso settembre, al sesto torneo dell’anno che è poi anche il sesto della carriera, raggiungendo il secondo turno al M25 di Plaisir. “Ça me fait plaisir” potrebbe aver commentato, ma non abbiamo prove documentali al riguardo.
Il classe 2000 ci prende gusto e supera il primo turno nei due successivi eventi, sempre battendo qualcuno oltre la millesima posizione in classifica o senza ranking. In ottobre, a Villers-les-Nancy, mette a segno la prima vittoria contro un top 1000 (“top mille” suona un po’ come un ossimoro, ma milioni di praticanti farebbero fatica a vincerci un punto a set). Infine, a Mulhouse, M25 più ospitalità, due vittorie che significano quarti di finale e 3 punti che lo spingono al best ranking di 1129. In Italia potrebbe essere classificato 2.3.
Eccolo dunque in campo contro la Newcomer of the year Mirra Andreeva, sedicenne di cui la WTA ignora il luogo di nascita (Krasnojarsk, se l’associazione vuole aggiornare la scheda di una delle probabili stelle del suo immediato futuro), n. 57 del ranking con un picco a inizio novembre al 46° posto. È probabile che sia il pubblico più numeroso davanti al quale Ghazouani abbia mai giocato (e contiamo solo i giudici di linea e i raccattapalle per non mettergli troppa ansia), per di più nel suo circolo. Se perde, per tutti sarà quello battuto da una ragazzina; se vince nettamente, fa comunque una brutta figura. D’altro canto, è una cosa improvvisa e improvvisata, senza tutto l’hype (in italiano, ehm, battage) di una “battaglia” che si rispetti, quindi senza giorni passati a rimuginarci sopra. Stiamo cercando di immaginare lo stato d’animo di Yanis, ma ci pare verosimile.
Cosa passi per la testa di Mirra, invece, forse neanche dovremmo tirare a indovinare: è vero che perdere da uno sconosciuto non dev’essere il massimo per lei che è sì appena arrivata sul Tour, ma con una notevole dichiarazione di intenti; tuttavia, è pur sempre una teenager contro un uomo – vogliamo anche farla giocare con la sinistra? O magari non le interessa affatto, se non per un “vabbè, facciamo sto favore e torniamo a casa”. E il suo manager cosa starà pensando? Ci torniamo tra poco.
L’incontro va proprio come chiunque giochi a tennis aveva immaginato. Nello specifico, 2-0 per Andreeva con l’altro che sbaglia tutto e recupero sul 2 pari. Avanti seguendo i servizi, molto brava Mirra a salvare il set point sul 4-5 approfittando anche di un dritto francese in risposta tirato da fuori del corridoio. Capitola invece al dodicesimo gioco, incapace di contenere il dritto avversario. In discesa il secondo set per Yanis, con il 3-0 iniziale diventato 6-2, ma non prima che Andreeva salvi, determinata e rocambolesca, un primo match point. Risultato finale 7-5 6-2 (come Connors-Navratilova) in un’ora e mezza.
Accontentati dunque tutti: i curiosi sinceri, quelli che retoricamente chiedono “perché non organizzano mai un match tra un uomo e una donna, così vediamo la differenza” e coloro che “tanto non conta, è una cosa buttata lì all’ultimo momento”. Tornando al manager di Mirra, qualcuno potrebbe pensare che non abbia gradito la soluzione degli organizzatori e sarebbe interessante (oppure no) avere la possibilità di domandarglielo, ma alla fine si tratta sempre della percezione del pubblico: avrà più difficoltà a strappare milionari contratti dopo che la sua cliente ha perso da uno che neanche è nei 1000?
Sicuramente l’ha presa bene Mirra che si è complimentata con l’avversario e ha ricevuto la coppa della vincitrice perché si è trattato di un’esibizione (cioè, il tutto era un’esibizione, quindi la finale era una meta-esibizione). “In effetti, è la prima volta che finisco con il trofeo in mano dopo aver perso” ha detto scatenando l’ilarità del pubblico, “spero sia l’ultima volta che va così”.
Chi abbia vinto la finale maschile, beh, una volta appurato che l’hanno giocata due maschi, non interessa a nessuno.