Un anno di stop dall’Australia all’Australia, 3 sole partite giocate a Brisbane, due vinte, Thiem e Kubler, una persa con Thompson, e ritiri tristemente annunciati sia a Melbourne sia a Indian Wells.
A Indian Wells non ci sono stati pianti e lacrime a dirotto come accade a Roger Federer e allo stesso Rafa Nadal durante la Laver Cup del 2022 – sembra passato un secolo! – tutto è stato annacquato da una dichiarazione più asettica via social, ma il fatto è che quel Rafael Nadal che avrebbe potuto battere tutti, Roger Federer, Andy Murray, Novak Djokovic, e cioè proprio chiunque gli si parasse di fronte, si è dovuto costantemente imbattere nel suo più grande avversario: il suo corpo.
Il problema per Rafa da un anno a questa parte non è mai stato l’avversario al di là della rete, ma lui stesso quando doveva (e voleva) scendere in campo.
Anche prima di quell’Australian Open 2023 Nadal aveva avuto una lunga serie di infortuni, direi dal 2010 in poi. E si sta parlando di quindici anni per un campione sulla breccia da più di un ventennio! Infortuni certo disgraziati e deludenti. Ma non del tutto sorprendenti per qualcuno come Rafa che a giugno avrà 38 anni e ha sempre praticato un tennis terribilmente dispendioso, faticoso. Muscolare perché costantemente aggressivo e, direi, spaventosamente violento. Più di quello di qualunque suo avversario di simil livello.
Ginocchia, piedi, spalle, polsi, anche, niente ha risparmiato Rafa Nadal. E l’anca, alla fine, si è dimostrata l’avversaria più irriducibile.
Proprio come per Andy Murray. Un Murray BraveHeart scozzese che l’anca se l’è fatta sostituire con una di titanio e tutt’oggi non si arrende, non si vuole arrendere. Andy di Slam ne ha vinti “solo” 3, anche se di ori olimpici in singolare ne ha conquistati due di fila (Londra 2012 e Rio 2016) come nessuno altro, e pazienza se non ha vinto 22 Slam come Rafa, né 20 come Roger, per non parlare dei 24 di Nole. 66 Slam in 3 supercampioni, 69 in 4.
Andy, stesso certificato anagrafico di quel “disumano essere di caucciù” (Novak Djokovic, chiarisco…) negli ultimi 10 tornei, di cui 8 nel 2024, ha perso 8 volte al primo turno e 2 al secondo. Ma continua a battersi come un leone, come se nulla fosse, come se potesse ancora vincere quel quarto Slam che non vincerà mai.
Qualcuno ricorda che Federer, otto volte King of Wimbledon, ha capito meglio di Murray, e forse di Nadal, che era giunto il momento di gettare l’asciugamano sul ring – ma nella boxe sono i manager che si preoccupano di farlo… soltanto quando vedono che il loro pupillo è proprio suonato – dopo quel Wimbledon del 2021 nel quale perse tre set a zero da Hubi Hurkacz, con un 6-0 quasi umiliante nel terzo set.
Roger, sconfitto a Doha da Basilashvili al suo secondo turno (anche se erano “quarti”) e a Ginevra al primo dal quasi coetaneo Andujar, non andò oltre 5 tornei giocati nel 2021. E poi ci fu lo straziante addio a Londra nella Laver Cup 2022, con lui e Rafa mano nella mano e lacrime a scendere giù come torrenti in piena.
Allora, come ieri a Indian Wells, ecco susseguirsi le consuete, inevitabili condoglianze. E’ la fine della brillante carriera di Rafa Nadal? O risorgerà per un quindicesimo (oggi improbabilissimo) trionfo al Roland Garros, allo Slam oppure al successivo torneo olimpico in quello stesso stadio? E cioè quando potrebbe godere del vantaggio dei match sulla distanza più corta, quella dei due set su tre, ma pagare al contempo lo svantaggio del mancato giorno di riposo fra un match e l’altro?
I campioni dello sport, di tutti gli sport, hanno comunque l’esclusivo privilegio, rispetto a tutti gli altri esseri umani, di poter morire almeno due volte.
Almeno due volte, perché quelli che non si rassegnano a morire sportivamente una prima volta, ma sono animati da una infinita resilienza come certamente hanno dimostrato tutti e 4 i Fab Four…ritornano finchè non muoiono una seconda volta anche sul campo.
Rafa è stato un campione speciale, come gli altri Fab. Un campione importante in uno sport individuale nel quale non esistono le partite casalinghe di una squadra, ma ci sono semmai tifosi “casalinghi” che diventano fan, leali fino a fine carriera di un campione a prescindere dalla sua nazionalità e sempre protesi a entusiasmarsi di fronte a un recupero impossibile di un rovescio lungolinea seguito da un dritto incrociato formidabile e vincente del loro idolo.
“E’ con una grande tristezza che devo ritirarmi da questo meraviglioso torneo” è stata la dichiarazione resa ai social da Rafa Nadal, ormai abituato a esprimersi pubblicamente, si tratti di annunciarsi ambasciatore del tennis in Arabia (mmm, non mi hanno convinto le giustificazioni ispirate dai suoi manager) oppure d’altro, tramite i social…che hanno soprattutto il merito di sottrarlo a qualsiasi tipo di domanda e di imbarazzo.
Quella tristezza dichiarata da Rafa…la proviamo tutta anche tutti noi. Tutti noi che ci aspettiamo da un anno all’altro, che ci tocchi ahinoi riprovarla nuovamente anche quando un altro grande…resiliente, Novak Djokovic, si troverà nell’ineluttabile impossibilità di continuare a dire come fa oggi “io non mollo, mi batto e vi batto ancora”.
E allora, però, dopo un primo momento di sgomento e rinnovata tristezza, forse ci tornerà il sorriso pensando: “Meno male che esiste Jannik Sinner”. E pure Carlitos Alcaraz.
Perfino nella tradizionale terra d’Albione, il cambio della guardia davanti a Buckingham Palace viene applaudito.