II pianto di Djokovic battuto da Del Potro «Giorno tristissimo» (Bianchir), Djokovic Del Potro lo fa uscire in lacrime (Semeraro), L'umano Djokovic Piangere per un ko (Sisti), Il virus del tennis fa piangere Djokovic (Lombardo), Martin Del Potro, la rivincita del "quinto beatle" (Scanzi)

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II pianto di Djokovic battuto da Del Potro «Giorno tristissimo» (Bianchir), Djokovic Del Potro lo fa uscire in lacrime (Semeraro), L’umano Djokovic Piangere per un ko (Sisti), Il virus del tennis fa piangere Djokovic (Lombardo), Martin Del Potro, la rivincita del “quinto beatle” (Scanzi)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

II pianto di Djokovic battuto da Del Potro «Giorno tristissimo»

 

Luca Bianchir, la gazzetta dello sport del 9.08.2016

 

Ci hanno insegnato che gli uomini non piangono. Le donne sì, loro possono essere fragili, lasciarsi andare, perdere il controllo. Questa però non è Sparta, la città dei soldati: qui gli atleti sono tutti figli di Olimpia e, quando capita, non si vergognano di mostrare un’emozione. Djokovic-Del Potro si è giocata quando in Italia era notte e i pochi lavoratori di agosto dormivano per prepararsi al lunedì. Chi ha potuto resistere, ha visto una delle storie dell’Olimpiade. Il risultato è facile: 7-6 7-6 Del Potro con Djoko, numero 1 del mondo e grande favorito, a casa dopo il 1 turno. Può essere che il torneo offrirà partite più belle, ma non è per niente scontato. ll risultato però conta meno dei sentimenti. La foto di copertina della partita ha Nole e Delpo (ieri al 2 turno ha eliminato il portoghese Sousa 6-3 1-6 e-3, match interrotto da una rissa tra un tifoso argentino e uno brasiliano che ha richiesto l’intervento dei militari) abbracciati alla fine. Hanno pianto tutti e due. Del Potro con le mani sulla faccia, di gioia, pensando al passato: è risalito da una storia di infortuni e contrattempi. Nole apertamente, di tristezza, pensando al futuro: a Tokyo avrà33anniein4 anni succedono un sacco di cose. CHANCE Era questa la vera occasione per vincere un oro olimpico e completare il Golden Slam, riuscito solo a Nadal e Agassi: Australian Open, Roland Garros, Wimbledon, Us Open e Olimpiade, ovviamente in anni diversi. Per questo, vada come vada, Djoko sarà tra i grandi delusi dei Giochi. A Pechino aveva perso in semifinale da Nadal, a Londra sempre in semifinale da Murray (e proprio Del Potro gli aveva tolto il bronzo). Ci risiamo. E’ strano perché Rio, città dell’allegria, sta portando storie di lacrime. La foto delle ultime ore è Ashley McKenzie, judoka eliminato, rannicchiato a piangere dietro un cassonetto della differenziata. Ha elevato la spazzatura a teatro. ACQUA Ai Giochi qualcosa del genere succede sempre, un pianto in campo o in piscina, acqua su acqua. Si piange per senso di ingiustizia: Vanessa Ferrari nel 2012, quarta per un dettaglio regolamentare. Si piange per dolore: Derek Redmond, inglese dei 400 piani, a Barcellona ’92. Si fece male presto – uno strappo – ma continuò saltellando. Papà dribblò gli addetti alla sicurezza e arrivò a sostenerlo, in una scena da lacrimoni collettivi. Si piange, per fortuna, di gioia: Victoria Pendleton nel ciclismo a Londra. Aveva pianto anche quattro anni prima di delusione, un torrente da record mondiale: due ore di occhi lucidi no stop. Ognuno poi ha il suo ricordo: Phelps che invita a piangere i compagni di staffetta Ileld e Dressel, la nazionale di volley italiana dopo la finale di Atlanta 96, Tania Cagnotto a Londra, Guendalina Sartori domenica nell’arco. Djokovic però va forse un passo oltre perché lui è un campione. Se un atleta normale perde la gara della vita, è normale che il corpo si ribelli. Djoko invece ne ha viste, vinte e vissute tante. Questa piacerebbe a De Coubertin: un milionario in lacrime perché considera i Giochi un torneo speciale. AMC! I primi commenti, quando ormai in Italia era notte fonda, hanno confermato le sensazioni: è stata una partita speciale con legami speciali. Djokovic: «E’ uno dei giorni più duri della mia vita. Delpo ha giocato meglio e meritato di vincere. E’ lo sport, mi devo complimentare….

 

Djokovic Del Potro lo fa uscire in lacrime

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 9.08.2016

 

Le Olimpiadi sanno creare e sgretolare sogni e storie enormi in un istante, centrifugano vite e carriere, e non importa se sei uno sconosciuto o il numero uno del mondo, ferite e gioie vanno diritte al cuore. E ci restano. Per sempre. E quello che ha pensato Novak Djokovic uscendo dal campo dopo aver perso 7-6 7-6 da Juan Martin Del Potro in uno dei primi turni più atroci e splendidi della storia del tennis, il remake della finale per il bronzo di Londra 2012. Piangeva come un ragazzino, il numero 1 del mondo, che quest’anno ha vinto due Slam e in banca si ritrova un conto da centinaia di milioni di euro, ma che nel 2020 a Tokyo, a 33 anni, potrebbe essere troppo vecchio per mettersi in tasca quell’oro che voleva disperatamente perla sua Serbia E piangeva anche Delpo, la testa nascosta dall’asciugamano in mezzo a uno stadio impazzito e diviso, serbi e brasiliani per Djokovic, argentini per Palito. A rete si sono abbracciati. Novak ha sussurrato a lungo all’orecchio dell’amico, poi sono state solo lacrime: un video da rimandare a nastro in faccia a chi questa Olimpiade l’ha snobbata, magari sostenendo, come l’austriaco Thiem, che i Giochi per i divi del tennis «valgono quanto un’esibizione». Del Potro, che prima del match era rimasto bloccato per 40 minuti in un’ascensore, è definitivamente tornato quello capace di vincere gli US Open del 2009 prendendo a ceffoni prima Nadal e poi Federet Quarantuno vincenti, un tennis da primi due-tre posti del mondo. Dopo il bronzo di Londra, conquistato proprio contro Djokovic, il gaucho dalle cartilagini di cristallo ha vissuto quattro anni di tormenti, tre operazioni al polso destro dopo quella del 2010 al sinistro. Fino a pochi mesi fa pensava al ritiro, ora sogna un’altra medaglia, magari la più brillante, anche se ieri ha faticato un po’ (ha vinto in tre set) per battere il portoghese Sousa e guadagnarsi gli ottavi. Djokovic, al secondo flop pesante dopo Wimbledon, è un Joker triste, anzi, distrutto, sa che il bronzo di Pechino potrebbe rimanere l’unica medaglia della sua vita «E una delle sconfitte più dolorose della mia carriera – ha ammesso – Di partite ne ho perse, male Olimpiadi sono un’altra cosa Però Juan Martin ha giocato meglio e sono felice per lui, perché è un amico e perché in questi anni ha sofferto tanto per tornare a questi livelli». La solitudine dei numeri 1, che a Rio penano anche in doppio: già fuori le sorelle Williams (3 ori, prima sconfitta in coppia ai Giochi e un assist alle speranze delle nostre Erravi e Vinci), Andy Murray in coppia con il fratello Jamie, e i primi del ranking di specialità, i francesi Herbert e Mahut

 

L’umano Djokovic Piangere per un ko

 

Enrico Sisti, la repubblica del 9.08.2016

 

Rio de Janeiro cry me a river. Un fiume di lacrime per essere rimasti dentro, un fiume di lacrime per essere usciti. E l’effetto olimpico, magari un po’ esaltato dalla tensione emotiva di spostamenti frenetici, come capita spesso a un tennista d’alto livello, abbinato alla complessa gestione psicologica di doversi giocare un oro in poche palle, in due tie-break, col rischio di perdere per il rotto della cuffia o continuare per quel che resta di sano della cuffia. Ma è un effetto comunque commovente. L’oro olimpico trasforma Non tutti l’amano, quest’anomalo torneo dei Giochi, qualcuno si sfila perché si mette in mezzo al calendario e fa saltare per aria i programmi, non ci sono punti in palio per il ranking e per una volta non si gioca per soldi. Ma tanti ci soffrono perché come in Davis, si rappresenta più il proprio paese che se stessi: la medaglia è nazionale. E così si appassionano, gli sembra di fare qualcosa di insolto. E hanno ragione perché in fondo è un evento diverso, è una cosa a sé (è l’unico torneo di tennis in cui si gioca una finale per il terzo e quarto posto ossia, a parte i lucky loser”, va in campo anche uno che ha perso una semifinale). Guardate Federer. Ha inseguito per tutta la vita l’oro individuale. E continuerà a farlo (ma può godersi il resto ). Del Potro piange ( ieri ha battuto anche il portghese Sousa). Djokovic piange. Uno ha vinto, l’altro ha perso, due fenomeni, ognuno a modo suo, sono amici. Uno sta davanti a tutti da mesi, appare spesso tre spanne oltre, non sempre però. L’altro si è rimesso in carreggiata dopo due operazioni al polso, condite dal terrore di non farcela più a tornare quello di prima «Note è una persona cara, un atleta unico e un uomo straordinario, alla fine della partita mi ha detto delle cose fantastiche, direi quasi dolci, sulla mia vita che mi hanno toccato e commosso e sono crollato». Durante l’intervista, a caldo, l’altro ieri, ancora non riusciva a placarsi l’argentino. Che prima della partita era pure rimasto chiuso in ascensore per una momentanea assenza di luce, cosa che succede spesso in questi giorni in Brasile, per un sovraccarico della nazione. Djokovic aveva più che altro a cuore la Serbia «La sconfitta della mia vita più dura da digerire». Una piccola incrinatura del muro, nella quale si sono infilate le lacrime di un campione e l’umanità del tennis.

 

Il virus del tennis fa piangere Djokovic

 

Marco Lombardo, il Giornale del 9.08.2016

 

C’e un virus che si aggira per le Olimpiadi, è fastidioso come una zanzara ma la Zika non c’entra nulla. Si chiama Tennis, una specie di alieno catapultato nei Giochi più belli del mondo e che qui a Rio ha messo in scena la parte peggiore. Eppure i tennisti, quelli presenti, ce la stanno mettendo tutta, ma lo spettacolo nell’impianto più assurdo del Villaggio Olimpico – con pali che si sradicano nel vento e tabelloni elettronici in campo che cancellano la pallina dagli occhi dei giocatori – è tutt’altro che in linea con l’occasione della vita. Prendete la vigilia: con motivazioni (molto) più o meno assurde si sono sfilati in tanti, soprattutto tra quelli per cui l’Olimpiade sarebbe stata un’occasione diversa. II tabellone maschile insomma si è ridotto a quello di un Atp 250, il minimo sindacale, e proprio mentre qui si battaglia per la gloria di una medaglia, per esempio ad Atlanta uno come Nick Kyrgios domenica ha vinto il suo secondo torneo da professionista. Già perché l’Atp ha pensato bene di non proteggere l’Olimpiade evitando concorrenza sleale, visto che a Rio non sono in palio né punti, né montepremi. E insomma tra gli uomini è stato un fuggi fuggi, ma poi ci si è Prima della partita l’argentino intrappolato per 40′ in ascensore aggiunta anche un po’ di sfiga, con gli infortuni di Federer e Wawrinka che hanno tolto alla Svizzera e al Resto del mondo sogni e speranze. Finita qui? Magari, perché la domenica (tennisticamente) tragica di Rio ha tolto pure dallo show il numero uno del mondo e le numero uno per acclamazione del doppio femminile, e cosi non resta che cercare di raccontare belle storie da libro cuore per accendere l’esistenza del tennis all’interno dei Giochi. Per esempio: Novak Djokovic, il numero uno, era qui per prendersi l’ultimo trofeo che mancava nella sua collezione da cannibale, ma il destino gli ha riservato un primo turno contro Juan Martin Del Potro, uno che prima di rompersi un polso aveva vinto gli Us Open e che, fosse rimasto sano, avrebbe avuto un’altra carriera. Juan, però, dopo varie operazioni ha rimesso a posto un dritto terrificante e cosi (nonostante l’argentino sia rimasto bloccato in un ascensore per 40′ prima di scendere in campo) il match è finito in lacrime: per Del Potro vincitore 7-6, 7-6, ma soprattutto per Djokovic, sorpreso e distrutto. «E stata la peggior sconfitta della mia carriera – ha detto sconsolato Nole -, sicuramente non sarà l’ultima ma è quella che fa più male. Dio mi ha dato una grande vita e una grande carriera, ma cosi è dura. Non solo perché non vincerò una medaglia, ma perché qui rappresentavo il mio Paese. E ho tradito tante persone». Da qui l’abbraccio finale con Delpo e il pianto all’uscita dal campo, vera cartolina dedicata agli assenti. E le sorelle Williams? Appunto: perché se in campo femminile ci sono (quasi) tutte, il torneo vede la clamorosa eliminazione della coppia che ha vinto l’oro ogni volta che ha messo piede ai Giochi. Dopo l’oro Sidney 2000, Pechino 2008 e Londra 2012 (con Venus vincitrice ad Atene 2004 con la Rubin), ecco invece la clamorosa sorpresa confezionata dalla coppia Safarova-Strycova e soprattutto il mancato incrocio nei quarti con le nostre Errani-Vinci. Che a questo punto e vedono aprirsi la strada verso una medaglia, ma non c’è dubbio – vista dalla parte del pubblico – che il tennis qui a Rio sia diventato un virus difficile da debellare. Visto che nel doppio sono usciti anche i fratelli Murray. Avanti cosi, insomma, e ci si fa del male. E se lo stesso Andy Murray, Nadal o Serena in singolare non troveranno un antidoto, magari il Cio presto potrebbe usare uno spray contro il tennis. Di quelli che lo ammazza stecchito.

 

Martin Del Potro, la rivincita del “quinto beatle”

 

Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano del 9.08.2016

 

Al termine del primo turno del torneo olimpico di tennis, Juan Martin Del Potro, 28enne argentino di Tandil, ha pianto. Non lo ha fatto tanto per l’importanza dell’incontro: ne ha giocati altri, molti altri, decisamente più storici. Ha pianto per gioia: per gioia e per liberazione. Dall’altra parte c’era il numero uno del mondo, Novak Djokovic, che a sua volta ha pianto pure lui, quando è uscito tra gli applausi di uno stadio incredulo dopo i16-7 6-7 per poi dire: “È il momento più duro della mia vita”. Esagera, come gli capita spesso, ma certo perdere subito a Wimbledon e Olimpiadi non è il segnale che ti saresti aspettato da quello che fino a un mese fa sembrava (anzi era) un cyborg pressoché imbattibile. Ora per Djokovic è sullo sfondo: ora c’è solo Del Potro. Sei anni fa è stato 4 al mondo, adesso è ampiamente fuori dai primi 100. Nel 2009 ha vinto l’unico Slam della sua vita, gli US Open, sconfiggendo – in una finale che resterà memorabile – un Federer all’apice della sua smisurata carriera. “Delpo”, alto e magro, rovescio bimane e dritto potente come pochi e forse nessuno, aveva 21 anni e sembrava (anzi era) l’unico “quinto Beatle” in grado di disturbare sistematicamente gli altri (soliti) quattro: Federer, Nadal, Djokovic, Murray. Poteva vincere tutto o quasi. Non di rado il tennis è però sadico, essendo del resto sport del diavolo nonché spesso metafora brutale della vita. Così, nel 2010, la prima operazione al polso (il destro), che lo tiene lontano otto mesi. Soffre nei 2011, torna lui o giù di 11 nel 2012. Annodi Olimpiadi pure quello, dove Del Juan Martin suole evidentemente esaltarsi. Perde una partita pazzesca in semifinale con Federer, vince lo spareggio con Djokovic (ancora lui) e conquista il bronzo in singolare. LA RESURREZIONE pare definitiva e viene confermata dalla prima semifinale a Wimbledon nei 2013. Perde con Djokovic al quinto set, al termine di un’altra partita epica, ma per lui ci sono solo applausi. Si qualifica ancora una volta al Masters di fine anno, dedicato ai primi otto al mondo: non è quello dei 2009, ma ne è comunque parente prossimo. Poi, il disastro. Il polso (stavolta il sinistro) lo abbandona e costringe a un calvario di tre operazioni. Di fatto non gioca per due anni, al di là di sporadiche sfortunate rentrée, saltando tutto 2014 e 2015. In classifica crolla fuori dai mille. Rientra per l’ennesima volta nel 2016. Per giocare nei tornei che contano devono invitarlo, perché di fatto non ha più classifica: a febbraio, torneo di Delray Beach, è 1045 nel ranking. Dà segnali incoraggianti, giocando per esempio alla pari con Berdych e sconfiggendo il neo top ten Thiem. A Wimbledon supera addirittura Wawrinka, poi però non ha più forze e al turno successivo esce con Pouille. In Davis contribuisce alla vittoria dell’Argentina sull’Italia, giocando un buon doppio. Ogni giorno fa storia a sé, il polso duole ancora e lo costringe a non forzare mai del tutto quando colpisce col rovescio bimane. È una sorta di Del Potro dimezzato, ma quando sei un campione a volte basta anche la metà di te stesso. E a volte accade persino di sconfiggere il numero uno del mondo alle Olimpiadi. Fare pronostici con il Del Potro attuale è impossibile: Se il dolore gli desse tregua, potrebbe arrivare ovunque, ma la realtà è un po’ diversa. Delpo non ignora che, da tempo, l’unico futuro possibile è per lui vivere il presente. Lottando. Resistendo. Piangendo.

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