Bilancio degli US Open femminili 2016

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Bilancio degli US Open femminili 2016

Gli ultimi US Open non sono stati solo il torneo del passaggio di consegne da Serena Williams ad Angelique Kerber e della novità in chiave Slam di Karolina Pliskova

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E così gli US Open hanno sancito il cambio al vertice WTA, da Serena Williams ad Angelique Kerber. Con un po’ di enfasi si potrebbe parlare di fine di un’era, considerando il fatto che Kerber non solo ha vinto il torneo, ma si è presa anche il primato del ranking, interrompendo il dominio di Serena che durava da tre anni e mezzo consecutivi (febbraio 2013). Quello che non era accaduto a Cincinnati, quando Angelique aveva sfiorato il primo posto in classifica, mancandolo per un solo match, si è compiuto tre settimane dopo. E oggi i punti di vantaggio sono oltre 1500 (8730 a 7050).
Non credo si possa spiegare il nuovo quadro WTA, con una sola motivazione. A me pare che il cambio della guardia e la vittoria di Kerber siano il risultato di più cause, che hanno inciso contemporaneamente. Per questo preferisco procedere per temi e soggetti separati.

– Angelique Kerber
Sul modo di giocare di Angelique Kerber e su come ha condotto gli ultimi US Open vorrei tornare martedì prossimo con un articolo specifico, esclusivamente dedicato a lei. Per questa volta mi limito a sottolineare alcuni temi, che la riguardano in riferimento al movimento femminile nel suo complesso.

Il primo aspetto, quello che secondo me ha un carattere davvero epocale (più ancora del cambio di leadership nella classifica) è che anche nella WTA sta avendo successo a livello Slam un tennis in cui prevale l’aspetto difensivo rispetto a quello offensivo. Mai negli ultimi dieci anni era accaduto: per verificarlo basta rileggere l’albo d’oro dei Major, e scorrere i nomi che compaiono dal 2006 in poi. Con un gioco prevalentemente di contenimento era già stato possibile raggiungere i vertici del ranking (Wozniacki, Jankovic), e anche arrivare in finale negli Slam: mai però vincerli. Il doppio successo di Kerber a Melbourne e New York è dunque realmente una novità estremamente significativa. Solo il tempo ci dirà se le vittorie di Angelique risulteranno un caso isolato o invece l’inizio di una nuova tendenza.

Per il momento si può sottolineare un secondo aspetto, un dato banale ma incontrovertibile: in questa stagione Kerber è stata molto costante ad altissimi livelli. Ha incominciato a vincere in Australia, e ha continuato a farlo sino a oggi. Due vittorie Slam sul cemento (Australian Open e US Open), una finale a Wimbledon, più tutta una serie di altri ottimi risultati (vittoria a Stoccarda; finale alle Olimpiadi, Cincinnati e Brisbane; semifinale a Miami, Charleston e Montreal). Del resto non si arriva a quasi novemila punti per caso.
E’ stata eccezionale sia sul piano fisico che su quello mentale, mantenendo una continuità di rendimento notevolissima. In questa stagione ha mancato solo il Roland Garros, mentre è stata l’unica che è riuscita ad arrivare in fondo sia alle Olimpiadi che a Flushing Meadows.

– Serena Williams
Nello sport anche i domíni più solidi prima o poi devono finire. Quello di Serena ai vertici della classifica WTA è durato 186 settimane consecutive, ma si è interrotto alla soglia dei 35 anni (che compirà il 26 settembre prossimo). L’anno scorso di questi tempi aveva forse subito la sconfitta più cocente della carriera, contro Roberta Vinci in semifinale, a un passo dal Grande Slam. Quest’anno nuovamente le è stata fatale la semifinale, contro Karolina Pliskova.
Ma se nel 2015 erano stati soprattutto gli aspetti psicologici e tattici ad averla messa in crisi, nell’ultima edizione degli US Open sono emersi i problemi fisici. Reduce da guai alla spalla alle Olimpiadi, ha dato forfait a tutti i tornei delle US Open Series; eppure il riposo non è stato sufficiente per ritrovare la giusta condizione a Flushing Meadows.
Contro Simona Halep nel secondo set Serena è apparsa in grande difficoltà negli spostamenti, e nel terzo set a mio avviso se l’è cavata grazie alla enorme classe, e anche perché Halep ha compiuto scelte tattiche non impeccabili. Poi però il giorno successivo non è riuscita a recuperare la migliore efficienza contro Pliskova (che le ha saputo tenere testa nel bilancio dei colpi di inizio gioco e ha complessivamente avuto la meglio negli scambi prolungati) forse anche per un problema al ginocchio sinistro. Un malanno che è (ri)emerso durante il torneo.

A questo punto penso che forse nemmeno lei stessa abbia del tutto chiaro come impostare il finale di stagione, e più in generale il calendario 2017. E’ evidente che alla sua età dovrà risparmiarsi, centellinando gli impegni secondari. Ma anche la scelta di giocare molto poco, 8-10 settimane all’anno, rinunciando alla routine dei tornei WTA, secondo me non manca di controindicazioni: pause molto prolungate potrebbero portarla ad “arrugginirsi” (correndo il rischio di sconfitte sin dai primi turni al rientro), ma anche ad aumentare la probabilità di infortuni per mancanza di abitudine a certe sollecitazioni che solo una vero match sviluppa. D’altra parte il suo corpo reclama periodi di sosta più lunghi per recuperare gli sforzi e i piccoli traumi che la partita procura.
Per un’atleta con un fisico particolare come il suo non sarà facile trovare il giusto equilibrio tra attività agonistica, allenamento e riposo.

– Karolina Pliskova
Finalmente! E’ la prima cosa che mi viene da dire pensando agli US Open di Pliskova. Era ora che Karolina disputasse un Major da protagonista. Anche se era reduce dalla vittoria di Cincinnati, temevo sarebbe nuovamente caduta al primo ostacolo serio; invece al terzo turno ha trovato come avversaria Anastasia Pavlyuchenkova, contro cui si era incrociata tre volte nell’ultimo anno e mezzo, sempre vincendo nettamente. Un parziale di sei set a zero che potrebbe averla aiutata a giocare con meno ansia, e a liberarsi dal complesso dello Slam.
Superata Pavlyuchenkova (6-2, 6-4), ha sconfitto Venus Williams nella partita forse più appassionante del torneo, con match point da una parte e dall’altra e decisione solo al tiebreak del terzo set (4-6, 6-4, 7-6). Un confronto in cui, logicamente, gli spettatori appoggiavano la beniamina di casa; ma avere il pubblico contro non ha fermato Karolina: dopo un inizio titubante è progressivamente salita di livello, finendo per esibire il tennis dei giorni migliori.
Poi ha mantenuto quella qualità di gioco nella seconda settimana, sino a superare Serena Williams addirittura due set a zero (6-2, 7-6). E Serena, anche quando non è al massimo della forma, non è mai facile da battere negli Slam. In questo modo Pliskova è diventata l’ottava giocatrice in grado di sconfiggere Venus e Serena nello stesso torneo. Questi i precedenti:

Arantxa Sanchez-Vicario 1998 Sydney: Serena in SF+ Venus in F
Steffi Graf 1999 Sydney: Serena in 2R+ Venus in QF
Martina Hingis 2001 Australian Open: Serena in QF+ Venus in SF
Kim Clijsters 2002 WTA Finals: Venus in SF+ Serena in F
Lindsay Davenport 2004 Los Angeles: Venus in SF+ Serena in F
Justine Henin 2007 US Open: Serena in QF+ Venus in SF
Kim Clijsters 2009 US Open: Venus in 4R+ Serena in SF
Jelena Jankovic 2010 Roma: Venus in QF+ Serena in SF
Karolina Pliskova 2016 US Open: Venus in 4R+ Serena in SF

In finale contro Kerber ha iniziato un po’ incerta, meno fluida nell’esecuzione dei colpi e negli spostamenti rispetto al solito; ma poi a metà secondo set si è data una scossa: dopo il cambio di campo del 2-3 ha deciso di spingere di più, di assumere un comportamento più intraprendente, verticalizzando maggiormente il gioco. E l’atteggiamento ha funzionato. Avanti 3-1 nel set finale, forse ha cominciato a rendersi conto di essere a un passo dal successo, o forse ha pagato lo sforzo che il cambio di ritmo aveva richiesto, finendo per appannarsi e aumentare gli errori gratuiti, sino al parziale di zero punti a otto nei due game conclusivi (6-3, 4-6, 6-4). Ha mancato il successo pieno, ma questi US Open ci hanno regalato una giocatrice in più in grado di essere protagonista negli eventi importanti.

– Caroline Wozniacki
Gli US Open sono lo Slam di elezione di Wozniacki, che quando gioca sul cemento nella costa est degli Stati Uniti dà il meglio di sé: quattro volte vincitrice a New Haven, ma soprattutto già due volte finalista e due volte semifinalista in passato a New York.
In questa occasione ha sconfitto giocatrici insidiose e molto differenti tra loro come Schiavone Townsend, Kuznetsova, Niculescu, Keys. Poi di fronte a un’avversaria con qualche problema fisico come Sevastova, è rimasta lucida e concentrata, di fatto impedendo che entrasse in partita (6-0, 6-2).
Si è fermata solo contro la futura vincitrice Kerber (6-4, 6-3), ma grazie a questo torneo è tornata nella top 30 lasciandosi alle spalle una stagione tribolata e penalizzata dagli infortuni. Chissà se basterà per farla desistere dai propositi di ritiro.

– Simona Halep
Halep è arrivata sino ai quarti di finale, giocando molto bene di fronte a due avversarie impegnative. Contro Carla Suarez Navarro ha vinto un match di alta qualità (6-2, 7-5); una qualità mantenuta anche in occasione della sconfitta contro Serena Williams (6-2, 4-6, 6-3). Dopo aver sofferto all’inizio lo strapotere al servizio di Serena, ha ribaltato la situazione nel secondo set: ha saputo rendere i punti più lottati e faticosi, battagliando con palleggi ad alta velocità, condotti in modo straordinario.
Sembrava avere messo alle corde Williams sul piano fisico, ma poi nel terzo set ha forse peccato in alcune decisioni tattiche: secondo me ha cercato un po’ troppo il contropiede, quando invece Serena, ormai stanca, spesso prendeva il rischio di non rientrare velocemente verso il centro del campo. In più Simona ha rinunciato varie volte al proprio cross di dritto dal centro, privilegiando l’inside out; una impostazione che ha virtualmente ridotto la larghezza del campo che Serena doveva coprire, visto che già il palleggio tendeva a stazionare sulla diagonale dei rovesci. Un scelta che secondo me non ha pagato, e ha consentito a Williams di recuperare energie e lucidità per chiudere a suo favore il match.
Al di là della sconfitta, resta il fatto che se saprà mantenere il livello di gioco newyorkese potrebbe fare molta strada nei prossimi tornei.

– Anastasija Sevastova
Sevastova è uscita vincitrice dalla porzione di tabellone sulla carta più difficile. Muguruza, Konta, Bencic, Puig, Petkovic, Crawford, Schmiedlova, Pironkova, Zheng, Bondarenko. Tutte racchiuse in uno spicchio di 16 giocatrici. Alla fine è emersa Anastasija, superando in prima persona Muguruza (7-5, 6-4) e Konta (6-4, 7-5). Superando anche il braccino che l’ha colpita nei finali di partita, che l’ha rallentata ma non bloccata.
È stata sfortunata nei quarti di finale contro Wozniacki, quando una distorsione alla caviglia, accusata proprio all’inizio del match (nel secondo game) l’ha limitata negli spostamenti.
Pensavo che il suo tennis piuttosto completo ma un po’ leggero non sarebbe stato sufficiente a portarla così avanti in uno Slam, né sarebbe bastato a sconfiggere giocatrici toste e potenti fisicamente come Muguruza e Konta. Invece Sevastova ha supplito ai limiti di forza muscolare con la varietà tattica e con la grande profondità di palla: una profondità che le ha consentito di tenere spesso l’iniziativa e che ha imbrigliato la potenza delle avversarie.

– Roberta Vinci
A New York Vinci aveva da difendere la finale del 2015, ma si è presentata con un problema al tendine di Achille. Il tabellone le ha riservato avversarie non impossibili ma nemmeno banali (Friedsam, McHale, Witthoeft, Tsurenko), e Roberta ha saputo batterle grazie a un mix di tecnica e di esperienza. Si è fermata contro Kerber (7-5, 6-0): per giocarsela con più chance avrebbe dovuto avere un condizione fisica perfetta, che le permettesse di continuare a tenere in scacco l’avversaria grazie a palleggi articolati, ricchi di palle senza peso. Una volta perso in volata il primo set, la Vinci attuale non aveva la condizione per pensare di riuscire ad aggiudicarsi il match in rimonta.

– Le difficoltà delle attaccanti
Ne ho già parlato prima: a New York ha vinto una giocatrice prevalentemente di difesa come Kerber, e quasi tutte le tenniste più offensive, per una ragione o per l’altra, hanno fallito. Per i bookmaker queste erano le giocatrici di attacco da tenere in considerazione: Serena, Muguruza, Keys, Kvitova, Konta, Puig, Pliskova.
Per eliminare due delle favorite come Muguruza e Konta è bastata Sevastova, mentre Keys è stata eliminata da Wozniacki in un incontro affrontato con poca pazienza, e con un rovescio deficitario (6-3, 6-4). Kvitova contro Kerber ha disputato per un set e mezzo un match piuttosto abulico, senza carica agonistica; ha incominciato a crederci quando ormai la situazione di punteggio era quasi compromessa e anche il minimo passaggio a vuoto sarebbe stato fatale: evento che si è puntualmente verificato (6-3, 7-5).

La mia sensazione è che molte di queste giocatrici non abbiano del tutto recuperato le fatiche, fisiche e mentali, delle Olimpiadi. E’ probabilmente accaduto a Kvitova, è sicuramente accaduto a Puig, e credo anche a Keys; mentre Serena è uscita da Rio 2016 con un infortunio che ha compromesso la preparazione allo Slam.
E forse non è un caso che la migliore di tutte le attaccanti sia stata l’unica che alle Olimpiadi aveva deciso di rinunciare, cioè Pliskova. Invece che andare a Rio, Karolina ha programmato (e vinto) Cincinnati, ed è arrivata con la giusta riserva di energie psicofisiche agli US Open.
Aggiungerei anche che il caldo umido delle due settimane newyorkesi non ha aiutato a rimanere lucide nell’arco dell’intero match le tenniste che praticano un gioco ad alto rischio, alla costante ricerca del vincente.

– Le assenti
Agli ultimi US Open sono mancate per ragioni diverse tre giocatrici importanti: Pennetta, Sharapova, Azarenka. Flavia Pennetta a New York non era solo la campionessa uscente, dato che nelle edizioni precedenti aveva raggiunto anche una semifinale e tre quarti di finale. Del valore sul cemento e del palmarès di Maria Sharapova e Victoria Azarenka è superfluo parlare.
Personalmente l’assenza di due ex numeri uno del tennis femminile come Sharapova e Azarenka l’ho sentita. Consoliamoci con la speranza legata al fatto che solo Pennetta ha detto la parola fine alla propria carriera, mentre Sharapova e Azarenka potrebbero tornare a giocare. Anche se non si sa quando, e a quale livello.

– Ana Konjuh e le giovani
Proprio tenendo presenti le defezioni appena citate, aumenta l’attenzione verso le nuove leve, e la speranza che da loro emergano ricambi all’altezza. La diciassettenne CiCi Bellis dopo l’exploit del 2014 (quando, sempre a New York, da wild card aveva sconfitto Cibulkova), ha saputo prima superare le qualificazioni e poi approdare al terzo turno nel tabellone principale superando Golubic e Rogers.

Mentre dopo Bencic, Kasatkina e Ostapenko (capaci di diventare protagoniste in alcuni tornei del 2015-6) a New York si sono fatte notare altre due giocatrici nate nel 1997: Naomi Osaka e Ana Konjuh.
Osaka ha sconfitto la testa di serie numero 28 Vandeweghe, e poi è arrivata ad un passo dall’eliminare Madison Keys (era avanti 5-1 nel terzo set), finendo per perdere in modo bruciante (7-5, 4-6, 7-6).
Konjuh si è spinta addirittura sino ai quarti di finale, sconfiggendo all’esordio Kiki Bertens (testa di serie numero 20), poi Kurumi Nara, Varvara Lepchemko e Agnieszka Radwanska.
Contro Radwanska ha dimostrato che il grande match di Wimbledon (perso 9-7 al terzo dopo una distorsione alla caviglia) non era stato un caso. Visto l’orario in cui si è giocato New York non so in quanti abbiano seguito la partita (vinta 6-4 6-4). Per quanto mi riguarda l’ho trovata una prestazione stupefacente, ben al di là di quanto lascerebbe intendere il risultato: con una prova al servizio degna delle migliori battitrici del circuito, e una gestione dello scambio estremamente matura. Ma su Ana Konjuh conto di tornare con un prossimo articolo, e rimando a quella occasione per ulteriori approfondimenti.

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