Festa Garbiñe. E oggi è il Roger-day (Clerici). Muguruza regina, oggi Roger-Cilic blindata (Baldissera). Roger è il favorito, ma Marin può farcela (Bertolucci)

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Festa Garbiñe. E oggi è il Roger-day (Clerici). Muguruza regina, oggi Roger-Cilic blindata (Baldissera). Roger è il favorito, ma Marin può farcela (Bertolucci)

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Festa Garbiñe. E oggi è il Roger-day (Gianni Clerici, La Repubblica)

Esco dalla tribuna stampa, dopo la finale femminile, mentre il Presidente Corrie sta congratulando la vincitrice Muguruza, spagnola d’importazione, e Baverly Baker, ex-mediocre tennista, tenta di rianimare i pochi aficionados, tra i 15.000 che ritengono che, da una seggiolina da 190 sterline, non sia possibile vedere altro che uno spettacolo esaltante. Veniamo bloccati, sulla scaletta, mentre la Muguruza afferma di essere cresciuta sognando Venus, e un mio vecchio collega inglese esclama «Dovevamo andare al cinema a vedere Dunquerque, invece di buttar via il pomeriggio, non fosse per il giornale. Non potrò scrivere che questa, dal 1968, è la finale più deludente che abbia visto». «Quale sarebbe?» domando, mentre penso che il mio giornale mi lascia, da sempre, scrivere la verità. «Tra le brutte finali ricordo quella dell’83, in cui Martina Navratilova batté la povera Andrea Jaeger per 6-0, 6-3. Due game più della finale di oggi». Mentre mi sto chiedendo se una finale breve sia di per sé una finale deludente penso che non è stata simile a quell’altra dell’83, perché Martina Navratilova era uno spettacolo anche da sola. Vado al mio banco e, rileggendo i miei appunti, trovo più di una conferma. Su 117 punti, Muguruza e Venus ne hanno giocati la prima 10, e la seconda 13 a rete, realizzando 6 punti ciascuna. Il drop pareva a entrambe un tiro inesistente, tanto che nessuna delle due è stata mai attratta a rete. Muguruza, le poche volte lì giunta, ha mostrato di non saperci fare, mentre Venus, da anni, sembra votata ai rimbalzi. È stato, in poche parole, una specie di disastro durato un solo set, con un break contro Venus nell’11° game. Aggiungo che Venus aveva invano tentato di tenere alto il ritmo, mentre la spagnola del Venezuela si affidava alla difesa, prevalendo grazie alla freschezza dell’età. Priva di un conforto tattico che non consistesse nei rimbalzi più muscolari, Venus è parsa già sconfitta da sé, con la collaborazione di Garbiñe, dalla fine di un primo set nel quale aveva condotto 5 a 4. Nel secondo è rimasta, di fatto, in gara per un solo game, il primo, prima di subire ben 26 punti contro 12, roba da primo turno. Anche nella conferenza stampa la Muguruza è stata superiore, facendoci sapere, a proposito dei maschi che, se Cilic è imbattibile per l’assistenza divina localizzata a Medjugorje, anche la sua Santa, Garbiñe di Santa Cruz, è ingiustamente poco nota. E, a proposito di pronostici per la finale, ha affermato che desiderebbe ballare con Roger più che con Cilic, per appurare se la superiore eleganza di Sua Federarità si manifesti anche fuor del campo. Per finire. Mi è stato chiesto da più di un lettore se oso confermare il mio pronostico “sfacciatamente” favorevole a Federer. Confermo, anche se preferirei un diverso aggettivo.


Muguruza regina, oggi Roger-Cilic blindata (Luca Baldissera, La Nazione)

Mai giocare una finale di Wimbledon contro una tennista spagnola se hai 37 anni e puoi diventare la più anziana campionessa dei Championships da 109 anni. Charlotte Sterry (1908), la campionessa Brit diventata sorda a 26 anni, vinse a 37 e 282 giorni. Venus Williams non era la favorita dei bookmakers, ma lo era sentimentalmente per quasi tutti i 15mila del centre court e milioni di fans nel mondo, salvo che in Spagna e in Venezuela. Proprio come 23 anni fa lo era stata Martina Navratilova che, 37 anni come Venus, cercava di conquistare il decimo Wimbledon ma finì in singhiozzi. Venus era a caccia del sesto. La finale (7-5,6-0, 77 minuti) vinta dalla ragazzona nata a Caracas 23 anni fa ma che fino all’ottobre 2014 non aveva deciso se giocare per il Venezuela, Paese della mamma, Scarlet Blanco, o per la Spagna di papà Antonio (rimasti a casa) – è durata un solo set. Venus avrebbe potuto vincerlo, ma ha sbagliato due dritti sui due set-point conquistati sul 5-4 15-40. Sempre un dritto, ancor più facile, aveva sbagliato sulla palla che le avrebbe dato il 4-2 nel primo set. Nel secondo, durato una ventina di minuti, Venus ha raccolto soltanto 11 punti, contro i 26 della spagnola che ha così vinto il secondo Slam (un anno fa Parigi) e il primo torneo di una stagione fin qui deludente. Tutte e due hanno giocato molto meglio di rovescio e non è una sorpresa. Nel primo set la Muguruza ne ha sbagliati una caterva e c’è stato equilibrio. Lei vinceva tutti gli scambi più prolungati. Nel secondo Venus è evaporata, Garbine ha trovato sempre più fiducia e perfino il dritto. «Con chi vorrei ballare domani sera fra Federer e Cilic? — ci pensa, poi Garbine confessa — con Roger! Vorrei vedere se è elegante anche quando balla! Ma devo ancora comprare l’abito da sera». Le interviste su www.ubitennis.com. Oggi Federer parte favorito contro Cilic. Speriamo in una finale migliore. La vittoria del croato è pagata 5 volte la posta. Negli ultimi tre incontri, pur avendo perso due volte di misura e vinto solo in semifinale all’US Open 2014, Cilic ha vinto 6 set su 11 con Roger. A New York vinse 3 set a zero. Sulla sfida incombe la minaccia Isis che ieri sulla piattaforma Telegram ha lanciato un appello ai lupi solitari per attaccare oggi Wimbledon con le stesse modalita dell’attacco del 22 maggio scorso alla Manchester Arena quando, al termine del concerto di Ariana Grande, il britannico estremista islamista Salman Abdei, si fece saltare in aria provocando 23 morti.

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Uragano Muguruza (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Olé. C’è una banderilla piantata nel cuore di Venus, l’eroina più forte del ternpo e della malattia. Senza pietà, con la freddezza del toreador, la Muguruza la infilza nel momento più caldo, il nono game del primo set, quando la Williams maggiore ha la prima palla per chiudere il parziale, prolungare il sogno e mettere pressione alla spagnola con la dinamite. Uno scambio infinito, 19 colpi, dove a ogni tiro aumenta la velocità in una battaglia feroce. Alla fine, Venere affonda un dritto in rete e quello diventa, incredibilmente, il segno della resa. Garbine annullerà anche il secondo set point con un robusto servizio e da quel momento la partita, insieme all’ex numero uno già 5 volte vincitrice a Church Road, scompare. Nove game consecutivi e un 2 set in cui Venus non tiene più in campo una palla, prendendo un 6-0 in 26 minuti che è un piccolo sfregio a un torneo e a una carriera leggendari, anche se non le fa perdere il sorriso e la speranza nel futuro: «Alla fine di quel 1° set avrei dovuto sfruttare le mie occasioni, complimenti a lei che me lo ha impedito. Da lì in poi, ho commesso troppi errori. Ma tornerò l’anno prossimo». E così Immacolata (la traduzione del basco Garbiñe) può inginocchiarsi in lacrime, seconda spagnola a violare il tempio dell’erba dopo la Martinez, che adesso sta al suo angolo a surrogare coach Sumyk, rimasto a casa perché la moglie è incinta. Conchita vinse qui 23 anni fa, battendo Martina Navratilova, che aveva 37 anni come Venus. Ricorso storico che come un fluido magico arma il braccio della Muguruza, già finalista 2 anni fa e stoppata allora dall’altra Williams, straordinaria nel rimanere sempre sul pezzo, a martellare con il servizio e il dritto, a ritrovare il rovescio quando conta, a mantenere soprattutto la testa sul match in ogni attimo, lei che spesso si assenta quando non è coinvolta dalla partita: «E’ fantastico vincere qui e farlo contro Venus, che è stata una delle mie ispiratrici quando ero ragazzina. Il 1° set è stato molto duro, poi sono stata brava a tenere alta la concentrazione. Due anni fa, quando persi con Serena, dissi che un giorno avrei trionfato pure io: non mi aspettavo accadesse così presto». Ha già vinto a Parigi nel 2016 (era la sua ultima finale giocata) e quindi diventa l’ottava tennista in attività a mettere in bacheca almeno due Slam. E a 24 anni da compiere ipoteca il futuro prossimo senza più le Williams e la Sharapova, anche perché ha la capacità, che appartiene solo a chi è baciato dal talento, di non soffrire le finali importanti: «In realtà sono nervosa, ma quando entro in campo comincio a sentirmi bene. Piuttosto, devo evitare d’ora in poi gli alti e bassi di questi 2 anni, devo imparare a convivere con la pressione, gli acciacchi, la stanchezza». Se ci riuscirà, avremo la nuova numero 1 per tanto tempo (ora salirà al 5), una regina che ha scelto la Spagna come patria nel 2014 ma del Venezuela conserva la passione per la danza. E con un caratterino: alla Sharapova che tornava ha riservato un freddissimo «nessuno se la ricordava più» e qui ha fatto arrabbiare la Kuznetsova perché continuava a parlare con il fisioterapista («Non è mica il coach», la risposta). Ora tiferà Federer. «Voglio scoprire se è così elegante anche quando balla».

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Venus, favola senza lieto fine. La Muguruza picchia più forte (Stefano Semeraro, La Stampa)

Neanche Zia Venere, probabilmente, si sarebbe aspettata di perdere, a 37 anni suonati, e rimediando anche un 6-0, la sua nona finale di Wimbledon contro una nipotina acquisita come Garbine Muguruza. Una che aveva tre anni quando la Williams più anziana giocava la sua prima finale agli Us Open (1997) ma che sta dimostrando di saper ripetere benissimo la lezione appresa davanti alla tv. Ovvero picchiare più forte possibile ogni palla che capita nelle vicinanze. Garbine, anni 23, spagnola ma nata a Caracas, con le Williams ha in realtà una familiarità consolidata, orizzontale: fino ad ora ha giocato 3 finali Slam, tutte contro le sorelle, perdendo la prima qui a Wimbledon nel 2015 contro Serena, e vincendo le altre due al Roland Garros nel 2016 (di nuovo con Serena) e ieri con Venus, diventando così l’unica della storia capace di battere entrambe le sister in una grande finale. «Sono cresciuta guardando Venus in tv», ha detto, un filo indelicata ma genuina, durante la premiazione. «Incredibile essermela trovata oggi in finale. Ero nervosa, certo, ma sono riuscita a controllarmi». Anche perché c’era in ballo una profezia «Due anni fa Serena dopo avermi sconfitto mi disse: un giorno anche tu vincerai questo torneo. Be’, eccomi qua». Le coincidenze non sono finite, visto che una differenza d’età così ampia fra le due finaliste a Wimbledon non si verificava dal 1994, quando a battere la 37enne Martina Navratilova fu un’altra spagnola, l’allora 22enne Conchita Martinez, che oggi per bizzarra simmetria di mestiere fa la capitana di Fed Cup e la coach di Garbine in momentanea sostituzione di Sam Suryk, impegnato con la moglie partoriente. Ieri peraltro Conchita la supplente non ha dovuto faticare tanto, la finale è durata un set. Venus si è fatta scappare due preziose palle break sul 5-4 e nel game seguente è stata lei a cedere il servizio; nel secondo, con Garbine rilassata e il dirittone finalmente calibrato dopo i tanti errori iniziali, non c’è stata partita. Peccato anche per il tennis: se ne è visto pochissimo. La Muguruza, da domani n.5 Wta (Venus sarà 9 mentre mamma Serena uscirà dalla top-10 per la prima volta dal 2012) nell’anarchia del tennis femminile di oggi è comunque l’alternativa più credibile alle Williams, e per stasera ha conservato un desiderio: «Andare al ballo dei vincitori con Federer: vorrei vedere se è così elegante anche quando danza». Cilic permettendo, ovviamente.

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La Regina dei due mondi (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)

Ha riservato al suo profilo Instagram il suo motto esistenziale. «La vita è troppo grande per giocare in piccolo». Ieri ha realizzato il sogno di una vita. Perché puoi anche aver già vinto il Roland Garros, tredici mesi fa, ma Wimbledon resta di un fascino impareggiabile. A 23 anni Garbine, la campionessa dei due mondi, trova infine la sua consacrazione. Vendicando quella sconfitta ai Championships subita nel 2015, quando dall’altra parte della rete c’era Serena Williams. Ieri ha brutalizzato in un’ora e 17′ la più grande delle sorelle statunitensi, Venus. Con un punteggio che fotografa alla perfezione la finale sul Centrale. Giocata solo nel primo set, quando Garbiñe e Venus hanno sprecato un pari numero di occasioni fino al gioco decisivo, l’undicesimo: Venere cede il servizio, perde il set, si arrende all’inevitabile epilogo. Che premia Muguruza, la nuova regina dell All England Club, inaugurando – chissà – un nuovo periodo di dominio. Nata a Caracas ma di passaporto spagnolo, residente a Ginevra: Garbine è la globalizzazione del tennis. A 23 anni sembra aver finalmente trovato la sua completa maturazione. Certificata dal prestigioso piatto Venus Rosewater, che per la seconda volta finisce tra le mani di una spagnola, 23 anni dopo il trionfo di Conchita Martinez (su Martina Navratilova). E non deve essere solo una coincidenza che proprio la Martinez l’abbia seguita in queste due settimane, per via dell’assenza del suo coach abituale, Sam Sumyk «Conchita mi ha trasmesso tranquillità e consapevolezza, ma non si inventa nulla» ha minimizzato l’interessata. Che ieri ha beneficiato anche delle condizioni climatiche di Londra. Fuori piove, si chiude il tetto. Una finale indoor che velocizza (e accorcia) gli scambi, favorendo la più giovane finalista. Con i suoi 37 anni, nuovamente all’ultimo atto dei Championships dopo otto anni di assenza, Venus si aggrappa al servizio finché la stanchezza non respinge il suo assalto al sesto sigillo di Wimbledon. Ha già promesso che ci riproverà, l’anno prossimo. La determinazione di una campionessa infinita, esempio perla stessa spagnola, che quasi trattiene la gioia in segno di rispetto, dopo il match-point che la incorona. Nel Royal Box la festeggia anche l’ex re di Spagna, Juan Carlos, ospite d’onore. Che applaude al secondo Slam di Garbiñe, nuova n.5 del ranking mondiale. Un trionfo che riscatta una stagione fin qui al di sotto delle attese e che arricchisce il suo palmares a quattro titoli (su sette finali). Il primo torneo vinto dal Roland Garros di tredici mesi fa, durante i quali aveva raggranellato solo quattro semifinali, oltre ai quarti in Australia. Sui sacri prati di Wimbledon, d’incanto, ha ritrovato il sorriso e la convinzione. Disputando un torneo da protagonista, smarrendo un solo set. l’inizio di una nuova carriera.

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Roger è il favorito, ma Marin può farcela (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

La prematura uscita di scena di 3 dei Fab Four e la composizione del tabellone avevano ipotizzato la finale Federer-Cilic. C’è qualcosa di mistico nella longevità dello svizzero, per lui sembra non esserci mai fine nell’eseguire colpi proibiti agli altri, nello spostare le lancette dell’orologio che scandiscono il tempo. Roger è il tennis. Pettina la palla col fluido back, poi si diverte a spettinarla con l’elegante top di dritto e a schiaffeggiarla, delicatamente, nel servizio slice. Le sue giocate non sono mai banali, si muove leggero sul campo e dirige le operazioni come un direttore d’orchestra. Solo il persistente raffreddore sembra creargli qualche fastidio nella respirazione. Ma il talento da solo non sarebbe bastato se non lo avesse trasformato in classe attraverso l’amore per questo sport, l’umiltà e la dedizione completa nell’allenamento. Pare tutto apparecchiato per il gran finale, cioè l’8 titolo da record, ma la qualità dell’avversario e i risultati degli ultimi precedenti potrebbero costringerlo a sudare le proverbiali sette camicie. Cilic non è personaggio da copertina ma possiede gli strumenti – come a New York 3 anni fa, quando vinse uno Slam sorprendente ma meritato – per raccogliere il massimo. Ha trovato il modo di assemblare al meglio la tecnica di gioco con la continuità mentale, anche grazie ai consigli di coach Bjorkman. Sa bene che la chiave risiede nel giocare al meglio i punti importanti e cogliere al volo le occasioni favorevoli. Lo abbiamo visto disimpegnarsi con successo in difesa, sfruttando le lunghe leve, e reagire con prontezza alle iniziative avversarie. Complesso ma lineare nel consistente servizio, Marin senza troppa rotazione cerca velocità e pulizia nell’impatto con la palla nei colpi di rimbalzo. Sarà una sfida complicata per entrambi dove provarci è niente, sognare è niente, vincere è tutto. Solo il successo conduce all’immortalità: Federer ne sa già qualcosa, il croato proverà a mettere un tassello decisivo per guadagnarsela.

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