Roland Garros (s)punti tecnici, day 11 e 12: Errani, Sharapova e Halep

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Roland Garros (s)punti tecnici, day 11 e 12: Errani, Sharapova e Halep

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TENNIS LAVAGNA TATTICA – Il servizio di Sara Errani e la finale femminile di Parigi fra Maria Sharapova e Simona Halep. Questi gli argomenti della nuova puntata della nostra lavagna tattica.

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Il presente di Maria e Simona
Analizzando, nella precedente rubrica le grandi potenzialità future (e in buona misura anche attuali) messe in mostra da Eugenie Bouchard e Garbine Muguruza, avevo evidenziato come, in ogni caso, ancora per qualche anno le due giovani campionesse, capaci di offrire grandi prestazioni in questo Roland Garros, avrebbero dovuto fare i conti con Maria Sharapova. Tralasciamo, per ora, la “variabile Williams”, che è una specie di jolly capace di scombinare le carte in qualsiasi momento: ovviamente, quando Serena si presenta in condizione psico-fisica accettabile, si gioca per il secondo posto, ma questo dipende e dipenderà da lei e dalla sua voglia di continuare. Ritornando alle “umane”, comunque, oltre alla “tigre siberiana”, il grande punto di riferimento per le emergenti del tennis femminile è chiaramente la rumena Simona Halep.

Simona Halep ha poco meno di 23 anni (è del settembre 1991), quindi ha appena due-tre stagioni da professionista in più a livello di esperienza rispetto a Eugenie e Garbine, sabato si giocherà la sua prima finale Slam, e da lunedì sarà la numero tre del mondo. E’ a lei che dovranno guardare le giovani che si affacciano ai piani alti della classifica e dei grandi tornei, non tanto dal punto di vista tecnico, che è un aspetto peculiare e personale, quanto da quello della determinazione e della capacità di crescere mese dopo mese, anno dopo anno.

Per quello che può offrire attualmente il circuito WTA, a mio avviso la finale di parigi 2014 sarà un confronto affascinante tra le due giocatrici più dotate in assoluto riguardo  alle qualità mentali: cattiveria agonistica, concentrazione feroce sull’obiettivo, capacità di reazione alle difficoltà, rifiuto di arrendersi. In una parola, due vincenti. Che hanno entrambe quel “qualcosa” in più nella testa che a mio avviso manca a molte loro colleghe anche più dotate di talento e tecnica pura, penso a Radwanska, Azarenka, Kvitova, Ivanovic, Na Li, Errani, e pure al mostro sacro Serena Williams: tutte campionesse strepitose, ma che ogni tanto la partita succede che la regalino, come a diverse di loro è successo proprio in questo Roland Garros. Con “Masha” da sempre, e da diverso tempo anche con Simona, la devi sempre vincere tu, non ti viene concesso nulla.

Ci sono arrivate attraverso percorsi differenti: Maria gli “occhi della tigre” (e il conseguente azzeccatissimo soprannome) li ha sempre avuti, sono parte del suo DNA, e l’intero mondo del tennis se ne è accorto assistendo alla finale di Wimbledon 2004, quando a diciassette anni appena compiuti, da predestinata assoluta, lasciò cinque game a Serena Williams per aggiudicarsi il titolo. Un po’ come il buon vecchio Rafael Nadal insomma.

Simona ha dovuto lavorare di più su sé stessa, superando con fatica le scorie giovanili fatte di cali di concentrazione, momenti di frustrazione e rabbia, e poca lucidità tattica, finché è riuscita a mettere insieme i tasselli che compongono il magnifico tennis che è in grado di esprimere oggi.

Un po’ come il buon vecchio Roger Federer, insomma.

Il modo in cui Maria e Simona si sono fatte strada nel tabellone per conquistarsi la finale riflette piuttosto bene le caratteristiche e l’attitudine di entrambe. Lotta, rimonte, e vittorie ottenute di grinta e tenuta mentale per la russa, e affermazioni tutte in due set, uno show di “self-confidence” da autentico rullo compressore, per la rumena. Le due semifinali di giovedì sono state esemplari in tale senso, pur avendo Bouchard vinto il primo set la sensazione è sempre stata che appena si fosse aggiustata un minimo con gli appoggi e il “mirino” Maria avrebbe fatto la differenza alla distanza, e così è stato, mentre Petkovic, forse un po’ bloccata psicologicamente, non ha (quasi) mai dato l’impressione di avere le armi per vincere.

Sinceramente, e sottoscrivo l’opinione del nostro direttore Ubaldo, è difficilissimo fare un pronostico: per esperienza e curriculum verrebbe da dire Sharapova, ma su una Halep che arriva in finale come un treno asfaltandole tutte i proverbiali due centesimi sarebbero da scommettere. Un mese fa a Madrid l’ha spuntata Maria, in un match bello e lottato, determinato da pochi punti – e da un deciso cambio di marcia di Sharapova, una costante ultimamente – all’inizio del secondo set. Certamente, mi stupirei se non dovesse uscirne un bello spettacolo.

Gli esperimenti al servizio di Sara
Una piccola annotazione tecnica sulla nostra Sara Errani, incappata purtroppo in una prestazione deludente contro Andrea Petkovic nei quarti, in particolare riguardo al suo “famigerato” servizio. In calce a uno degli ottimi pezzi di AGF sulle giocatrici di vertice della WTA avevo analizzato i problemi di tipo puramente esecutivo che a mio parere impediscono a Sara di ottenere velocità incisive (e buone rotazioni slice) con la battuta. In questo Roland Rarros, Errani ha proposto due ulteriori modifiche al movimento.

L’anno scorso Sara era passata dalla tecnica foot-up (passetto in avanzamento con la gamba destra in fase di caricamento) a quella foot-back (piede posteriore a contatto con il terreno), postura quest’ultima che conferisce maggiore stabilità e può aiutare a regolarizzare il lancio di palla nei casi in cui questo tenda a sfuggire troppo a sinistra. Il “contro” di questo tipo di tecnica, a volte, è una minore facilità e fluidità nel trasferimento del peso in avanti, in particolare per i giocatori che non sono stati impostati così fin dall’inizio. Ci si sente un po’ “bloccati”, insomma. A Parigi quest’anno abbiamo visto Sara ritornare a fare il passetto in avanti, di nuovo.

Oltre a questo, la Errani, immagino per limitare il problema principale –  a mio modestissimo avviso – della sua esecuzione, ovvero la tendenza a distendere troppo all’indietro il braccio-racchetta al rilascio del lancio, limitando così l’azione di spinta della leva del gomito, e soprattutto portando nel contempo il piatto corde in orizzontale (la “manata” verso il cielo che fa arrabbiare ogni maestro) prima del movimento a colpire, assetto del braccio-racchetta che andrebbe sempre evitato perché interrompe lo swing, ha provato a servire portando la racchetta in verticale prima del lancio.

Questo caricamento anticipato è in effetti un espediente molto utile per tenere la racchetta più correttamente “chiusa” e rivolta verso avanti (e necessario quando ci sono fastidi alla spalla, vedi Agassi a Wimbledon 1993  che ha servito così per tutto il torneo), e Sara già faceva qualcosa di molto simile sei anni fa, ma anche in questo caso il “costo coordinativo” è a volte una minore fluidità dello swing in avanti. Di conseguenza, posso ipotizzare che il ritorno alla tecnica foot-up sia stato necessario per non sommare due espedienti motori (caricamento “scomposto” della racchetta e appoggi in foot-back) entrambi tendenti a limitare la “scioltezza” dell’azione in avanti di corpo e braccio-racchetta. Una via di mezzo.

Speriamo che questa evidente e costante ricerca del miglioramento e della “quadratura del cerchio” tecnico, anche per tentativi, che non può che essere apprezzata e sottoscritta, perchè chi nonostante i notevoli successi e il raggiungimento dell’élite mondiale del proprio sport non smette di provare a crescere e a evolversi tecnicamente è solo e solamente da applaudire, porti alla fine a una maggiore incisività del servizio di Sara, in un modo o nell’altro.

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