PARIGI – Dopo Roma e quattro vittorie consecutive di Novak Djokovic, fino a ieri questa sembrava la volta buona perché il serbo vincesse il suo primo Roland Garros. Fino a ieri…appunto. Ecco perchè.
Il commento di Ubaldo Scanagatta
Alla faccia del tanto invocato ricambio generazionale, la finale del Roland Garros la giocheranno i soliti due, i favoriti della vigilia nonchè il n.1 e il n.2 del ranking.
Che tali resteranno anche dopo la finale. Semplicemente sarà n.1 chi vince la 42ma sfida, la più vista e rivista della storia delle rivalità (fatta eccezione per l’imbattibile Navratilova-Evert che ha raggiunto quota 80, 43 a 37 per Martina).
Dopo due semifinali che non passeranno certamente alla storia, nè per il tennis mostrato, nè per le emozioni riservate, nè tantomeno perchè abbiano aperto spiragli diversi a future contese (anche se l’ineffabile Gulbis ha risposto, a chi gi chiedeva – E ora dove pensi di poter arrivare ? – “Diretto fino al n.1 del mondo!”) Gulbis e Murray sono stati rispediti a casa con le pive nel sacco.
Il secondo in maniera addirittura brutale…Ma Djokovic, quando gli ho segnalato nel corso della sua conferenza stampa che proprio in quel momento Nadal aveva lasciato solo sei games a Murray e gli ho chiesto se un simil punteggio lo stupisse ha risposto di no: “Non sono troppo sorpreso, ho visto una piccola parte dell’incontro, sappiamo tutti quanto è bravo Rafa su questo campo. Ha fatto miglioramenti man mano che il torneo andava avanti e sta raggiungendo il suo massimo quando gli è necessario. Non è la prima volta che questo succede nella sua storia. Questo è Nadal e il Roland Garros. Ha sempre giocato al suo meglio verso la fine del torneo”.
Più netta, chiara e condivisibile di così, l’analisi di Djokovic non poteva essere.
Un Djokovic che non mi è parso invece davvero sullo stesso trend di crescita di Nadal. Ha forse fatto invece un piccolo pass del gambero. In conferenza stampa sembrava raffreddato, gli occhi erano meno vivi del solito e lui per primo – che a metà terzo set era sembrato quasi vittima di un principio d’insolazione…e non soltanto perchè si è messo il cappellino in testa – ha ammesso di essersi sentito “fisicamente affaticato…e potevate accorgervene”. Poi ha subito, con grandi riflessi, corretto un po’ il tiro, astutamente (ma non troppo): “Potevate vedere che entrambi, sia io che lui, stavamo soffrendo sul campo… Succede. Succede nel torneo e l’importante per me è che io ho realizzato quel che stava accadendo. Non è niente di serio -pareva poi garantire Novak, ma con la voce non proprio limpida, anzi invece nasale come quella di uno che è ben costipato – voglio avere adesso due giorni di recupero e prepararmi per essere pronto per la finale”.
Ad una successiva domanda (Che ti è successo, ti ci è voluto più tempo del solito per venire qui da noi, che cosa ti dava fastidio?), dopo una prima rassicurazione (“Non c’è niente che mi sta dando fastidio”) ecco invece qualche frase che mi fa sospettare che Novak non sia proprio nello stesso stato di salute (esuberante?) di Nadal:
“E’ solo affaticamento generale, influenzato probabilmente dalle condizioni o da altre cose che ho sentito oggi. Ma non voglio parlarne (sic!). E’ così. Sono…già contento di avere vinto in 4 set, perchè se fossi andato al quinto, Dio solo sa che direzione avrebbe preso il match. Mi riposo adesso oggi e domani, cercherò di non spendere troppe energie sul campo per essere pronto per la finale”.
Insomma ditemi voi, prima ancora di comparare le dichiarazioni di Novak con quelle ben più otimistiche di Rafa (“Ho giocato probabilmente il mio miglior match della stagione“), se non si ha la sensazione che in queste due settimane non sia cambiato qualcosa.
Siamo arrivati a Parigi sulla scia del quarto successo consecutivo di Djokovic su Nadal, quello ottenuto nella finale di Roma, e a dispetto degli otto Roland Garros vinti da Nadal – e zero Djokovic – il serbo sembrava avere anche quella che gli americani chiamano la “mental edge” su Nadal.
Un vantaggio nella testa, oltre che nel gioco, certamente più vigoroso, più concreto. Ma l’inerzia è scivolata dall’altra parte.
Non è più così, almeno a sensazione.
La facilità con cui Nadal si è sbarazzato di Murray, che a Roma era stato invece un test assai severo (conduceva 4-2 nel terzo prima di scoppiare), ha impressionato fortemente tutti noi, e traumatizzato addirittura i colleghi inglesi.
Sono rientrati in sala stampa con facce da funerale dopo la batosta patita dal loro eroe. Andy, ormai orfano di Lendl dallo scorso marzo, si è sentito in dovere di tranquillizzarli un po’, e rassicurarli sul proprio avvenire dicendo che sì, “forse da qui a Wimbledon ci sono il 50 per cento delle probabilità che io mi trovi un coach”.
Cambierebbe qualcosa? Forse sì, ma non sulla terra battuta, secondo me. Murray è decisamente inferiore a Nadal e Djokovic sui campi rossi, non vedo cambiamenti in futuro chiunque sia il mago-coach che lo allenerà.
Anche se non lo ha fatto espressamente capire -anzi – deve essere rimasto colpito dalla facilità irrisoria con cui Nadal si è liberato dell’ostacolo Murray, anche lo stesso Djokovic.
Ora tutti si chiedono, e hanno chiesto a Rafa in tutte le salse, se ai fini di una previsione sulla finale possano contare di più l’esito degli ultimi quattro incontri, il fatto che Nadal abbia vinto 8 Roland Garros e Djokovic nessuno, la pressione che può subire chi non ha mai vinto questo Slam (l’unico che manca alla collezione), di contro l’appetito smisurato proprio di chi appunto non ha mai vinto e potrebbe avere una motivazione più forte rispetto ad uno che invece è abituato a vincere.
Ma nessuna di tutte queste considerazioni è importante quanto la condizione atletica e mentale. Le loro sfide hanno vissuto anche serie consecutive che potevano fare pensare che finalmente uno dei due avesse preso il sopravvento tecnico (Djokovic?) e o mentale (Nadal?) sull’altro.
Ma di fatto non è poi mai stato così. Nadal ha sintetizzato bene: “Tutti abbiamo periodi alti e bassi. Abbiamo momenti meravigliosi e altri non così splendidi nei quali dobbiamo recuperare, riposare, rilassarsi. Ma è vero che la rivalità continua e questo è il bello dello sport. Fin qui ho giocato bene ma nella mia carriera mi sono imbattuto in tant avversari che erano avversari duri molto difficili da battere”.
Tutto sembra però essersi messo bene per Rafa, ultimamente, anche il tempo. “Per me quando il tempo è come oggi è molto meglio. I miei colpi prendono più top-spin, la palla sale di più nell’aria e con il mio dritto faccio più danni con minor sforzo”.
Domenica è previsto bel tempo, sole e 32 gradi. E’ un’altra notizia che fa più piacere a Rafa che a Nole.
La conferenza stampa di Rafa è finita con due lunghe risposte in maiorchino a due giornalisti dell’isola che gli hanno chiesto anche di Jaume Antonio Munar Clar, un ragazzino di 17 anni di Maiorca – il villaggio si chiama Santanyi, è ad una trentina di chilometri da Manacor, la residenza dei Nadal – che è in finale al torneo junior. Vuoi vedere che diventa un campione pure questo?
Se dopo Moya e Nadal verrà fuori un altro campione in un’isola così piccola, beh vorrebbe dire che lì si respira davvero un’aria magica per il tennis. Mi chiedo ora: se avremo mai un forte tennista sardo (ve lo immaginate Binaghi?) o siciliano, avremmo anche noi giornalisti di quelle isole pronti a fare domande in dialetto?