Ma quanto vale veramente la Fed Cup?

Al femminile

Ma quanto vale veramente la Fed Cup?

Pubblicato

il

 

TENNIS AL FEMMINILE – Le strane situazioni della Fed Cup, una manifestazione che per la finale a volte raccoglie le migliori giocatrici possibili (come Kvitova, Kerber, Safarova e Petkovic quest’anno), a volte offre protagoniste inadeguate. Ma anche una competizione che vive di turni nei gironi inferiori che non raggiungono il grande pubblico

In occasione della finale di Fed Cup 2014 Repubblica Ceca e Germania hanno schierato due top 10 e due top 20. Nella partita decisiva di domenica scorsa si sono affrontate due top ten come Kvitova e Kerber; situazione che quest’anno è accaduta in due sole finali Slam su quattro.
Indubbiamente il valore di questa finale è stato molto alto; e se Kvitova e Kerber hanno lottato per quasi tre ore significa che nessuna delle due era disposta a lasciare strada facilmente, perché entrambe ci tenevano moltissimo: forse più ancora che dalle reazioni delle vincitrici lo si è capito dall’atteggiamento delle sconfitte.

La finale dell’anno scorso tra Italia e Russia, invece, è stata improponibile sul piano tecnico, con la squadra russa incapace di presentare le sue giocatrici migliori e obbligata a ripiegare su giovani speranze come Panova e Khromacheva e su una giocatrice in convalescenza (fisica e agonistica) come Alisa Kleybanova, tutte classificate oltre il 130mo posto
A scanso di equivoci: non che fosse colpa dell’Italia, che fra l’altro in semifinale aveva eliminato la Repubblica Ceca (vincitrice tre volte negli ultimi quattro anni), ma quando accadono cose del genere la manifestazione ne soffre profondamente sul piano del valore e del prestigio.
Ma allora quanto vale la Fed Cup?

Normalmente nel tennis l’importanza dei tornei è chiaramente definita: prima gli Slam, poi i Premier, e così via a scendere. Invece la Fed Cup può offrire sbalzi sconcertanti e non sempre prevedibili, che destabilizzano il giudizio.
A mio avviso sbaglia per eccesso chi descrive la Fed Cup come se fosse il mondiale del tennis, perché sappiamo tutti che non ha lo stesso valore che ha in altri sport. Però sarebbe ugualmente sbagliato liquidare come qualcosa di irrilevante una manifestazione che domenica scorsa alla O2 Arena di Praga ha raccolto la folla delle grandi occasioni (e l’impianto contiene 14 mila spettatori).
E quindi? Io penso che la Fed Cup, come anche la Coppa Davis, sia un concentrato di contraddizioni e discordanze difficilmente risolvibile. Per molte ragioni.

Il primo argomento, che salta immediatamente all’occhio, è la contraddizione tra il profondo individualismo che sta alla base di uno sport come il tennis professionistico e l’idea di una competizione in cui a vincere è una squadra. Ma oltre a questo tema ce ne sono altri che vengono meno considerati.
Comincerei con il conflitto di interessi da parte di chi organizza l’incontro. Mi spiego: da una parte in termini di spettacolo offerto al pubblico gli organizzatori avrebbero l’interesse che la squadra avversaria schierasse le migliori giocatrici possibili. Dall’altra, però, se le avversarie più forti danno forfait aumentano le possibilità di passare il turno.

E siccome gli ospitanti decidono la superficie con il preciso scopo di avvantaggiarsi sul piano tecnico, può capitare perfino che venga scelta la terra in piena stagione del cemento (o viceversa) proprio con la speranza di intralciare i programmi delle più forti; e se decideranno di rinunciare, tanto di guadagnato.
In sintesi: è chiaro che per lo spettacolo gli USA con le Williams sono meglio degli USA con Oudin e Glatch. Ma per passare il turno la seconda opzione è preferibile.

Poi c’è il contrasto, più o meno esplicito, tra WTA e ITF (la Federazione Internazionale Tennis che organizza la Fed Cup).
Non solo la WTA non riconosce punti per il ranking alle vittorie di Fed Cup, ma fino all’anno scorso aveva addirittura deciso di organizzare il cosiddetto “Master B” in concomitanza con la finale di Fed Cup, di fatto obbligando le possibili protagoniste a scegliere.
Ad esempio in passato Pennetta aveva optato per la Fed Cup, mentre Kirilenko e Vesnina l’anno scorso avevano privilegiato il Master B. Per fortuna quest’anno le date non coincidono più e così Andrea Petkovic non è stata obbligata a sacrificare una delle due manifestazioni.

Poi c’è la questione della risposta alle convocazioni da parte di molte giocatrici.
Alcune federazioni pagano per la partecipazione le loro atlete, altre no. In alcuni casi la federazione può anche fare pressione sulle giocatrici contando sui suoi poteri o sugli aiuti che può fornire alla tennista.
Ma questo non vale per le migliori, che sono del tutto indipendenti sul piano tecnico ed economico. Anzi: pensare che possano essere solo questioni economiche a determinare le loro scelte secondo me è semplicistico.
A questo proposito mi rifaccio al caso di Connors e McEnroe; due campioni della stessa nazione, con status e guadagni molto simili e che hanno giocato nello stesso periodo. Eppure nella loro carriera hanno compiuto scelte opposte: Connors non ha quasi mai giocato la coppa Davis; McEnroe quasi sempre. Uno dei due evidentemente faceva una scelta meno conveniente sul piano finanziario (sospetto che fosse Mac).

Ma se questo è accaduto, e accade ancora oggi, significa che le decisioni di alcuni tennisti di primissimo livello non possono essere spiegate solamente facendo loro i conti in tasca. I grandi tennisti sul piano economico sono dei privilegiati; il guadagno è una spinta fondamentale, ma non è sempre (o non per tutti) una molla capace di ricaricare allo stesso modo le motivazioni. Per questo a volte subentrano altre ragioni.
Quali possono essere le altre ragioni?

Paradossalmente per molti giocatori è proprio la formula ad essere l’aspetto più attraente. L’idea di giocare per un team nazionale è un modo per uscire dall’esasperato individualismo del tennista, che per qualcuno può diventare un peso.
Lo racconta, ad esempio John McEnroe nella sua autobiografia, quando prima ancora di essere un top player a livello nazionale aveva scelto di giocare un anno nel tennis universitario, che si basava appunto sul concetto di squadra (i tennisti gareggiavano per il team della loro università ed era il team a vincere o perdere gli incontri).

Anche la recente vincitrice di Fed Cup Petra Kvitova ha spesso dichiarato di amare l’idea dell’impegno di gruppo.
Kvitova ha fornito un’altra motivazione interessante: in questo momento nella Repubblica Ceca non si organizzano tornei WTA, e quindi la Fed Cup è l’unica occasione vera per giocare di fronte al proprio pubblico.
Una spinta da non trascurare, tanto è vero che c’è chi giocando in casa alza il livello delle proprie prestazioni. Ad esempio Lucie Safarova ha un rendimento “domestico” davvero notevole: ha sconfitto giocatrici toste come Kerber, Ivanovic, Jankovic, Errani, Stosur, Schiavone. Mentre in trasferta la sua percentuale di vittorie scende sensibilmente.
Ma siccome le Fed Cup è un concentrato di contraddizioni, a volte sono proprio il pubblico e l’ambiente non neutrale che rischiano di mandare in crisi il prestigio della manifestazione.

L’introduzione dell’hawk-eye (almeno per gli incontri più importanti) ha risolto il problema delle leggendarie parzialità dei giudici di linea di molti paesi. Ma rimane il problema del comportamento degli spettatori, che a volte superano ampiamente il limite abituale per una partita di tennis.
Ad esempio Chakvetadze in questo match (Israele vs Russia 2008), più che contro Tzipora Obziler sembra giocare direttamente contro il pubblico, ingaggiando un conflitto esplicito e senza mezze misure; l’avversaria appare un semplice tramite, trascurato sul piano emotivo.
Per spingere le migliori a partecipare, la ITF dispone anche di un potere di persuasione efficace: le Olimpiadi. A causa della regola che richiede un minimo di convocazioni in nazionale per poter partecipare ai Giochi, hanno disputato la Fed Cup giocatrici che altrimenti l’avrebbero disertata, come Serena Williams o Sharapova; salvo poi, appena raggiunto il numero necessario di presenze, abbandonare la squadra indipendentemente dal turno da affrontare.

In sintesi: la Fed Cup è una competizione anomala e sfuggente, in cui le motivazioni possono essere differenti, le situazioni instabili; e per questo un giudizio di valore unico e definitivo risulta impossibile.

Prima di chiudere vorrei affrontare una questione che in Italia non fa notizia perché non riguarda la nostra nazionale: i gironi delle serie inferiori. Per farlo racconto brevemente il caso di Agnieszka Radwanska.
Non tutte le giocatrici hanno la fortuna di nascere in nazioni che hanno il diritto di giocare nel cosiddetto World Group (che potremmo definire la “serie A” della Fed Cup).
La gerarchia è questa:

– World Group
– World Group II
– Group I (continentale)
– Group II (continentale)
– Group III (continentale)

Nel 2006, diciassettenne, Radwanska inizia a giocare per la Polonia, che era inserita nel Group II Europa/Africa (in pratica la quarta serie). I gruppi continentali non sono organizzati con il criterio delle squadre ospitanti/ospitate, ma si disputano in forma di gironi di squadre concentrate in un’unica località. Ogni giorno si completa un incontro tra diverse nazioni, che viene deciso attraverso tre sole partite (due singolari e un doppio).

È chiaro che quando il doppio è decisivo la migliore tennista della nazione gioca due partite al giorno. Per essere promossi sono necessari 4 confronti, vale a dire fino a 8 partite in quattro giorni. Nulla di eroico, visto che può capitare anche nei tornei WTA di disputare singolare e doppio nello stesso giorno, ma comunque un bel tour de force.

Nel 2006 la Polonia è salita subito al terzo livello (Group I Europa/Africa), poi anche al secondo (World Group II). Ma poi è di nuovo retrocessa.
Nel 2013, Agnieszka, insieme alla sorella Ursula, è riuscita a risalire in “serie B” e finalmente quest’anno ha raggiunto la “serie A” (World Group), quello di Repubblica Ceca, Germania, Italia etc.
Ad esempio nel febbraio 2013, Radwanska si è fatta la sua bella trasferta in Israele, giocando in totale sei partite in quattro giorni, ciascuna con regolare conferenza stampa a fine giornata.
Come si deduce da questo filmato, non pare molto contenta della routine prevista, anche perché non è che i match siano seguiti da una folla oceanica.

Eppure a questi gironi di Fed Cup partecipano, o hanno partecipato, giocatrici come Pironkova per la Bulgaria, Watson e Robson per la Gran Bretagna, Cirstea e Halep per la Romania eccetera.
È comprensibile che tutti questi match disputati in Fed Cup da Radwanska non abbiano avuto particolare eco; quello che però risulta sorprendente è che per il sito WTA non sono proprio esistiti: sono registrati soltanto quelli dei World Group. In totale solo 8 match su 48 effettivi.
Insomma, anche se si è una delle primissime giocatrici del mondo, se si decide di giocare la Fed Cup e non si fa parte di nazioni di élite, la vita non è per nulla facile.
E per questo appare comprensibile che alcune tenniste, come ad esempio Wozniacki o Azarenka, abbiano deciso di defilarsi.
E con questa scelta, compiuta anche per la mancanza di compagne all’altezza, hanno abbandonato al loro destino Danimarca e Bielorussia.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement