Al femminile
Ma quanto vale veramente la Fed Cup?

TENNIS AL FEMMINILE – Le strane situazioni della Fed Cup, una manifestazione che per la finale a volte raccoglie le migliori giocatrici possibili (come Kvitova, Kerber, Safarova e Petkovic quest’anno), a volte offre protagoniste inadeguate. Ma anche una competizione che vive di turni nei gironi inferiori che non raggiungono il grande pubblico
In occasione della finale di Fed Cup 2014 Repubblica Ceca e Germania hanno schierato due top 10 e due top 20. Nella partita decisiva di domenica scorsa si sono affrontate due top ten come Kvitova e Kerber; situazione che quest’anno è accaduta in due sole finali Slam su quattro.
Indubbiamente il valore di questa finale è stato molto alto; e se Kvitova e Kerber hanno lottato per quasi tre ore significa che nessuna delle due era disposta a lasciare strada facilmente, perché entrambe ci tenevano moltissimo: forse più ancora che dalle reazioni delle vincitrici lo si è capito dall’atteggiamento delle sconfitte.
La finale dell’anno scorso tra Italia e Russia, invece, è stata improponibile sul piano tecnico, con la squadra russa incapace di presentare le sue giocatrici migliori e obbligata a ripiegare su giovani speranze come Panova e Khromacheva e su una giocatrice in convalescenza (fisica e agonistica) come Alisa Kleybanova, tutte classificate oltre il 130mo posto
A scanso di equivoci: non che fosse colpa dell’Italia, che fra l’altro in semifinale aveva eliminato la Repubblica Ceca (vincitrice tre volte negli ultimi quattro anni), ma quando accadono cose del genere la manifestazione ne soffre profondamente sul piano del valore e del prestigio.
Ma allora quanto vale la Fed Cup?
Normalmente nel tennis l’importanza dei tornei è chiaramente definita: prima gli Slam, poi i Premier, e così via a scendere. Invece la Fed Cup può offrire sbalzi sconcertanti e non sempre prevedibili, che destabilizzano il giudizio.
A mio avviso sbaglia per eccesso chi descrive la Fed Cup come se fosse il mondiale del tennis, perché sappiamo tutti che non ha lo stesso valore che ha in altri sport. Però sarebbe ugualmente sbagliato liquidare come qualcosa di irrilevante una manifestazione che domenica scorsa alla O2 Arena di Praga ha raccolto la folla delle grandi occasioni (e l’impianto contiene 14 mila spettatori).
E quindi? Io penso che la Fed Cup, come anche la Coppa Davis, sia un concentrato di contraddizioni e discordanze difficilmente risolvibile. Per molte ragioni.
Il primo argomento, che salta immediatamente all’occhio, è la contraddizione tra il profondo individualismo che sta alla base di uno sport come il tennis professionistico e l’idea di una competizione in cui a vincere è una squadra. Ma oltre a questo tema ce ne sono altri che vengono meno considerati.
Comincerei con il conflitto di interessi da parte di chi organizza l’incontro. Mi spiego: da una parte in termini di spettacolo offerto al pubblico gli organizzatori avrebbero l’interesse che la squadra avversaria schierasse le migliori giocatrici possibili. Dall’altra, però, se le avversarie più forti danno forfait aumentano le possibilità di passare il turno.
E siccome gli ospitanti decidono la superficie con il preciso scopo di avvantaggiarsi sul piano tecnico, può capitare perfino che venga scelta la terra in piena stagione del cemento (o viceversa) proprio con la speranza di intralciare i programmi delle più forti; e se decideranno di rinunciare, tanto di guadagnato.
In sintesi: è chiaro che per lo spettacolo gli USA con le Williams sono meglio degli USA con Oudin e Glatch. Ma per passare il turno la seconda opzione è preferibile.
Poi c’è il contrasto, più o meno esplicito, tra WTA e ITF (la Federazione Internazionale Tennis che organizza la Fed Cup).
Non solo la WTA non riconosce punti per il ranking alle vittorie di Fed Cup, ma fino all’anno scorso aveva addirittura deciso di organizzare il cosiddetto “Master B” in concomitanza con la finale di Fed Cup, di fatto obbligando le possibili protagoniste a scegliere.
Ad esempio in passato Pennetta aveva optato per la Fed Cup, mentre Kirilenko e Vesnina l’anno scorso avevano privilegiato il Master B. Per fortuna quest’anno le date non coincidono più e così Andrea Petkovic non è stata obbligata a sacrificare una delle due manifestazioni.
Poi c’è la questione della risposta alle convocazioni da parte di molte giocatrici.
Alcune federazioni pagano per la partecipazione le loro atlete, altre no. In alcuni casi la federazione può anche fare pressione sulle giocatrici contando sui suoi poteri o sugli aiuti che può fornire alla tennista.
Ma questo non vale per le migliori, che sono del tutto indipendenti sul piano tecnico ed economico. Anzi: pensare che possano essere solo questioni economiche a determinare le loro scelte secondo me è semplicistico.
A questo proposito mi rifaccio al caso di Connors e McEnroe; due campioni della stessa nazione, con status e guadagni molto simili e che hanno giocato nello stesso periodo. Eppure nella loro carriera hanno compiuto scelte opposte: Connors non ha quasi mai giocato la coppa Davis; McEnroe quasi sempre. Uno dei due evidentemente faceva una scelta meno conveniente sul piano finanziario (sospetto che fosse Mac).
Ma se questo è accaduto, e accade ancora oggi, significa che le decisioni di alcuni tennisti di primissimo livello non possono essere spiegate solamente facendo loro i conti in tasca. I grandi tennisti sul piano economico sono dei privilegiati; il guadagno è una spinta fondamentale, ma non è sempre (o non per tutti) una molla capace di ricaricare allo stesso modo le motivazioni. Per questo a volte subentrano altre ragioni.
Quali possono essere le altre ragioni?
Paradossalmente per molti giocatori è proprio la formula ad essere l’aspetto più attraente. L’idea di giocare per un team nazionale è un modo per uscire dall’esasperato individualismo del tennista, che per qualcuno può diventare un peso.
Lo racconta, ad esempio John McEnroe nella sua autobiografia, quando prima ancora di essere un top player a livello nazionale aveva scelto di giocare un anno nel tennis universitario, che si basava appunto sul concetto di squadra (i tennisti gareggiavano per il team della loro università ed era il team a vincere o perdere gli incontri).
Anche la recente vincitrice di Fed Cup Petra Kvitova ha spesso dichiarato di amare l’idea dell’impegno di gruppo.
Kvitova ha fornito un’altra motivazione interessante: in questo momento nella Repubblica Ceca non si organizzano tornei WTA, e quindi la Fed Cup è l’unica occasione vera per giocare di fronte al proprio pubblico.
Una spinta da non trascurare, tanto è vero che c’è chi giocando in casa alza il livello delle proprie prestazioni. Ad esempio Lucie Safarova ha un rendimento “domestico” davvero notevole: ha sconfitto giocatrici toste come Kerber, Ivanovic, Jankovic, Errani, Stosur, Schiavone. Mentre in trasferta la sua percentuale di vittorie scende sensibilmente.
Ma siccome le Fed Cup è un concentrato di contraddizioni, a volte sono proprio il pubblico e l’ambiente non neutrale che rischiano di mandare in crisi il prestigio della manifestazione.
L’introduzione dell’hawk-eye (almeno per gli incontri più importanti) ha risolto il problema delle leggendarie parzialità dei giudici di linea di molti paesi. Ma rimane il problema del comportamento degli spettatori, che a volte superano ampiamente il limite abituale per una partita di tennis.
Ad esempio Chakvetadze in questo match (Israele vs Russia 2008), più che contro Tzipora Obziler sembra giocare direttamente contro il pubblico, ingaggiando un conflitto esplicito e senza mezze misure; l’avversaria appare un semplice tramite, trascurato sul piano emotivo.
Per spingere le migliori a partecipare, la ITF dispone anche di un potere di persuasione efficace: le Olimpiadi. A causa della regola che richiede un minimo di convocazioni in nazionale per poter partecipare ai Giochi, hanno disputato la Fed Cup giocatrici che altrimenti l’avrebbero disertata, come Serena Williams o Sharapova; salvo poi, appena raggiunto il numero necessario di presenze, abbandonare la squadra indipendentemente dal turno da affrontare.
In sintesi: la Fed Cup è una competizione anomala e sfuggente, in cui le motivazioni possono essere differenti, le situazioni instabili; e per questo un giudizio di valore unico e definitivo risulta impossibile.
Prima di chiudere vorrei affrontare una questione che in Italia non fa notizia perché non riguarda la nostra nazionale: i gironi delle serie inferiori. Per farlo racconto brevemente il caso di Agnieszka Radwanska.
Non tutte le giocatrici hanno la fortuna di nascere in nazioni che hanno il diritto di giocare nel cosiddetto World Group (che potremmo definire la “serie A” della Fed Cup).
La gerarchia è questa:
– World Group
– World Group II
– Group I (continentale)
– Group II (continentale)
– Group III (continentale)
Nel 2006, diciassettenne, Radwanska inizia a giocare per la Polonia, che era inserita nel Group II Europa/Africa (in pratica la quarta serie). I gruppi continentali non sono organizzati con il criterio delle squadre ospitanti/ospitate, ma si disputano in forma di gironi di squadre concentrate in un’unica località. Ogni giorno si completa un incontro tra diverse nazioni, che viene deciso attraverso tre sole partite (due singolari e un doppio).
È chiaro che quando il doppio è decisivo la migliore tennista della nazione gioca due partite al giorno. Per essere promossi sono necessari 4 confronti, vale a dire fino a 8 partite in quattro giorni. Nulla di eroico, visto che può capitare anche nei tornei WTA di disputare singolare e doppio nello stesso giorno, ma comunque un bel tour de force.
Nel 2006 la Polonia è salita subito al terzo livello (Group I Europa/Africa), poi anche al secondo (World Group II). Ma poi è di nuovo retrocessa.
Nel 2013, Agnieszka, insieme alla sorella Ursula, è riuscita a risalire in “serie B” e finalmente quest’anno ha raggiunto la “serie A” (World Group), quello di Repubblica Ceca, Germania, Italia etc.
Ad esempio nel febbraio 2013, Radwanska si è fatta la sua bella trasferta in Israele, giocando in totale sei partite in quattro giorni, ciascuna con regolare conferenza stampa a fine giornata.
Come si deduce da questo filmato, non pare molto contenta della routine prevista, anche perché non è che i match siano seguiti da una folla oceanica.
Eppure a questi gironi di Fed Cup partecipano, o hanno partecipato, giocatrici come Pironkova per la Bulgaria, Watson e Robson per la Gran Bretagna, Cirstea e Halep per la Romania eccetera.
È comprensibile che tutti questi match disputati in Fed Cup da Radwanska non abbiano avuto particolare eco; quello che però risulta sorprendente è che per il sito WTA non sono proprio esistiti: sono registrati soltanto quelli dei World Group. In totale solo 8 match su 48 effettivi.
Insomma, anche se si è una delle primissime giocatrici del mondo, se si decide di giocare la Fed Cup e non si fa parte di nazioni di élite, la vita non è per nulla facile.
E per questo appare comprensibile che alcune tenniste, come ad esempio Wozniacki o Azarenka, abbiano deciso di defilarsi. E con questa scelta, compiuta anche per la mancanza di compagne all’altezza, hanno abbandonato al loro destino Danimarca e Bielorussia.
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US Open: Trevisan vince una sfida di nervi interminabile contro Putintseva e si trascina al secondo turno, Giorgi dominata da Pegula
I crampi non fermano Martina Trevisan che in 3 ore e 20 minuti di gioco conquista il primo turno degli US Open. Camila raccoglie 4 giochi contro la N.3 del seeding

M. Trevisan b. Y. Putintseva 0-6 7-6(0) 7-6(8)
Martina Trevisan vince il primo turno degli US Open contro Yulia Putintseva in 3 ore e 20 minuti al tiebreak del terzo set: 0-6 7-6(0) 7-6(8).
Quante volte può cambiare una partita di tennis non smetteremo mai di chiedercelo. Quella di oggi, tra Martina Trevisan e Yulia Putintseva è stata l’ennesima dimostrazione che niente può essere prevedibile, tanto meno sui campi di Flashing Meadows. C’era stato un solo precedente tra le due giocatrici, al torneo di Abu Dhabi 2021, dove la kazaka aveva vinto con un doppio 6-3. Difficile quindi dire, a inizio partita, chi fosse la favorita tra due giocatrici separate solo da 20 posizioni in classifica e 1 anno di età. L’azzurra di 29 anni, numero 58 del mondo, è partita malissimo. Demoralizzata, nervosa e notevolmente fallosa. Il primo parziale si è concluso con 24 punti a favore della kazaka numero 78 del ranking, contro i soli 5 punti di Trevisan e nient’altro da aggiungere. Ma nel secondo parziale è entrata in campo la lottatrice che conosciamo ed è iniziata un’altra partita. La giocatrice toscana ha iniziato a mettere in gioco dei cambi di ritmo, alternando colpi in cui respirare a sfiammate di dritto imprendibili. Non a caso per due volte nel set è stata avanti di due game. E nonostante la kazaka sia riuscita a recuperarla entrambe le volte, Trevisan, con le idee decisamente più chiare è arrivata a prendersi un tie-break vinto a 0. Ma nonostante i precedenti 7 punti consecutivi dell’azzurra e il recupero di un set, Putintseva è rimasta lucida nel terzo parziale, dove gli errori sono aumentati da entrambe le parti. A metà del terzo set la partita sembrava di nuovo finita: Trevisan ha iniziato a non reggersi più in piedi per via dei crampi, e il match, dopo il turno di servizio perso a 0 dell’azzurra, sembrava scritto. Ma proprio in quel momento la partita è cambiata ancora. Trevisan ha iniziato a correre di nuovo, trovando l’energia chissà dove, e da sotto 4-2 è riuscita a rimontare 4 giochi pari. Da lì è stata una lotta punto dopo punto, scambi perfetti seguiti da errori non forzati sul finale di scambi strazianti. La partita non ha preso una direzione precisa fino alla fine del tiebreak decisivo dove con soli due punti di distanza, la giocatrice Toscana ha chiuso 10 punti a 8 mettendo a segni i due punti più belli dell’intero match. Al secondo turno l’aspetta la testa di serie numero 9, Marketa Vondrousova.
IL MATCH
Primo set: Dominio totale di Putintseva e prestazione inesistente di Trevisan
Trevisan inizia al servizio e si ritrova subito costretta a salvare tre palle break. Annulla la prima con uno schema servizio e dritto vincente. Ma Putintseva risponde aggressiva sul secondo servizio e segue con una palla corta insidiosa che costringe Trevisan a rispondere male, buttando largamente fuori la palla. Il primo vantaggio è della Kazaka: 1-0. Inizia la serie infinita di errori gravi da parte di Trevisan che nei primi due game porta a casa un punto soltanto: 2 a 0 Putintseva. Anche nel terzo gioco l’azzurra si ritrova in svantaggio e la kazaka continua ad avere le idee molto più chiare. Grazie ad un dropshot sotto rete e un passante preciso Putintseva si aggiudica anche il terzo game: 3-0. Completamente fuori dalla partita, Trevisan lascia poco spazio alle parole e concede anche il 4 gioco alla kazaka. Prende anche il triplo break a sfavore e si ritrova sotto 5 game a 0 con 21 punti a 4 a favore di Putintseva. Proprio sul finale, Trevisan sembra risvegliarsi, annulla molto bene i primi due set point risalendo da sotto 40-0 a 40-30. Ma Putintseva sfrutta la terza chance per chiudere il primo parziale totalmente dominato.
Secondo set: La rivincita di Trevisan premiata da un tie-break perfetto, agevolato dagli errori di Putintseva
Per la prima volta dall’inizio del match Trevisan prende tre punti di vantaggio consecutivi nel primo game e tiene a 0 il turno di servizio:1 a 0. Entra finalmente in campo un’altra giocatrice italiana che va a prendersi le prime due palle break del match per chiudere avanti 2-0. Nel terzo gioco ritornano gli errori non forzati dell’azzurra e Putintseva si riprende il game di svantaggio. La kazaka regala qualcosa a Trevisan nel quarto gioco trascinandosi fino ai vantaggi. Putintseva inizia ad avere le idee più confuse ma l’italiana è ancora troppo fallosa e non sfrutta le occasioni fino in fondo: 2 giochi pari. Arriva un altro calo di Trevisan al servizio che regala alla kazaka tre palle break consecutive. Ma l’italiana riesce ad arrampicarsi con le unghie fino a vantaggi per poi chiudere un game complicatissimo: 3-2. Con quel carico di fiducia, Trevisan strappa il servizio all’avversaria per ritornare sopra 4-2. Ottima reazione della kazaka che dimostra di essere ancora nettamente in partita e va a prendersi subito due occasioni per chiudere il game sul servizio di Trevisan: 4-3. Nell’ottavo gioco arriva lo scambio più lungo del match dove Trevisan non vuole mollare, ma è lei la prima a sbagliare: 4 pari. L’azzurra non si fa demoralizzare dalla seconda rimonta del set di Putintseva e tiene dignitosamente il turno di servizio per restare avanti 5-4. Per sei volte, Trevisan si ritrova a due punti dal set ma la kazaka non molla la presa e con un lob imprendibile conquista il decimo e più lungo game del match: 5 pari. Dopo tanta fatica, Trevisan gioca due brutti punti e Putintseva vede uno spiraglio dove attaccare di prepotenza. Con coraggio, Trevisan annulla tre palle break, di cui due consecutive, per guadagnarsi la prima chance di 6-5. E grazie al servizio si tira fuori da un fosso profondo. La kazaka tiene bene il turno di servizio successivo che la porta al tiebreak decisivo.
Tiebreak: Inizia con un vincente di dritto Trevisan e tiene il turno di servizio: 1-0. L’italiana fa correre in avanti la kazaka due volte di fila con due drop-shot efficaci e conquista due mini-break consecutivi: 3-0. Continua il tiebreak perfetto di Trevisan che tiene il servizio e avanza: 5 a 0. Putintseva ormai sembra senza idee, sbaglia di rovescio e concede un altro punto importante: 6-0. E dopo un ‘ora e 45 minuti, Trevisan vince il tiebreak senza concedere neanche un punto.
Terzo set: Una sfida di nervi interminabile dove non c’è spazio per nessun vantaggio netto, ma il tiebreak decisivo lo vince Trevisan
Ora la partita sembra davvero essere girata: Trevisan attacca fin dal primo punto e come nel secondo parziale parte in vantaggio: 2-0. Nel quarto game, l’italiana avanti 2-1 commette un doppio fallo e perde il turno di servizio a 0. Putintsova rientra nel terzo set: 2 pari. Insiste con la palla corta la kazaka, Trevisan corre ma inizia a far fatica a stare in piedi per i crampi dopo quasi 2 ore e mezza di gioco. Si arrende a Putintseva che chiude il terzo game di fila e va in vantaggio: 3-2. L’azzurra può finalmente chiamare il fisioterapista anche se sa bene che per i crampi non può farsi trattare. Torna a servire Trevisan, ma senza forze, e regala di nuovo a 0 il suo turno di servizio alla kazaka che ora conduce 4-2. Difficile immaginare che la numero 58 del mondo possa rientrare in partita. Ma questo match è totalmente imprevedibile: l’azzurra ricomincia a correre e recupera con grande personalità il break di svantaggio: 4-3 Putintseva. Continua a muoversi meglio Trevisan che riesce a guadagnarsi due chance del 4 pari. Il primo dritto finisce in corridoio, ma il secondo prende un angolo maledetto e la 29enne toscana resta aggrappata: 4 pari. Putintseva sale nuovamente in cattedra con un rovescio incrociato perfetto: 5-4 per la kazaka. Il decimo game è il momento più importante fino a qui per l’italiana che è costretta a tenere un turno di servizio determinante ai vantaggi. Trevisan tiene la battuta: 5 giochi pari e quasi 3 ore di gioco. Da quel momento in avanti inizia una lotta infinita, straziante: parità e vantaggi; break e contro-break. L’ultima parola va al tie-break decisivo.
Tiebreak: Trevisan parte di nuovo bene anche nel secondo tiebreak del match e si prende il vantaggio avanti 2-0. Chiude con un schiaffo al volo la kazaka che si prende il primo punto dei due tiebreak giocati: 3-1 per la toscana. Con un dritto scarico a metà rete e un doppio fallo Trevisan deve ricominciare da capo: 3 pari. Senza mini-break di vantaggio Trevisan va a servire sotto 5-4. Chiude di rovescio lungolinea il primo punto ma la volée successiva la tradisce: 6-5 per la kazaka che le restituisce in fretta il favore con una pallonetto fuori dalla riga di fondo: 6 pari. Doppio fallo di Putintseva: 7-6. Ma finalmente, da sotto 7-8, la giocatrice toscana si aggiudica due punti consecutivi uno più bello dell’altro che le regalano il primo match-point di questa sfida. Senza forze, quasi in lacrime, Martina Trevisan si aggiudica il secondo turno degli US Open in 3 ore e venti minuti.
[3] J. Pegula b. C. Giorgi 6-2 6-2 (Federico Martegani)
Si sapeva che sarebbe stata dura per Camila Giorgi, che non aveva certo goduto di un sorteggio fortunato pescando al primo turno la testa di serie n° 3, nonché n° 3 del mondo, Jessica Pegula, e il pronostico è stato in tutto e per tutto rispettato, con un punteggio, 6-2 6-2 in un’ora e 24 minuti, forse anche troppo severo per quanto visto sul campo. Fatto sta che era l’undicesima volta che le due si affrontavano e solo in due circostanze l’italiana aveva avuto la meglio. Chiaro segnale che la solidità dell’americana, per di più sospinta dal pubblico ovviamente di parte, è per la marchigiana quasi sempre inscalfibile.
Giorgi ha mostrato un buon tennis soprattutto verso la metà di entrambi i parziali, ma è andata sotto troppo presto di un break sia nel primo che nel secondo, non riuscendo poi a rimontare. Il game chiave è forse stato proprio quello che ha offerto l’allungo decisivo a Pegula, avvenuto sul 2-2 del secondo set. Un gioco in cui Camila ha avuto cinque palle per rimanere con il naso avanti, ma che alla fine le è costato il break, decisivo per spezzare anche quei pochi appigli rimasti. Pegula avanza dunque al secondo turno e dovrà ora affrontare, in ogni caso da netta favorita, o Patricia Maria Tig o Rebecca Marino.
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US Open, Pegula: “Accordo tra WTA e Arabia Saudita? Se ci pagano abbastanza…”
Jessica Pegula parla anche del rapporto straordinario con Gauff: “Coco favorita, io vivrò alla giornata”

C’è grande fermento e attesa negli Stati Uniti per l’edizione 2023 dell’US Open. In campo femminile le speranze sono riposte in Coco Gauff e Jessica Pegula. Le due sono pronte a riportare la propria nazione sul gradino più alto, spolverando i grandi fasti delle sorelle Williams. Gauff e Pegula sono state protagoniste nella stagione sul cemento che ha condotto le atleti all’ultimo Slam dell’anno: “Sono molto felice di essere qui – spiega Jessica – da americana poi si sente una responsabilità differente”.
La n. 3 del mondo debutterà contro Camila Giorgi lunedì 28 agosto e ha motivato la presenza di Ace, il cane che fa parte del suo team: “Esce sempre con me! Sto raccogliendo fondi anche per la fondazione di Elina (Svitolina) ed è molto divertente farlo. Mercoledì sera abbiamo contribuito a questa causa facendo un bel match di esibizione. Mi è servito per respirare l’aria pre torneo alla presenza di tanti tifosi. Mi sono adoperata anche per l’evento promosso dalla WTA. È stato davvero carino”.
Che effetto le fa arrivare all’US Open da atleta n. 3 del ranking: “Anche l’anno scorso ero in una posizione simile e so cosa si prova. Quest’anno sarà molto più impegnativo. In generale mi sento come se rappresentassi il tennis americano”. Pegula ha anche parlato del suo splendido rapporto con Coco Gauff: “La sconfitta subita a Wimbledon l’ha spinta a migliorare. E’ venuta fuori molto affamata da una situazione negativa ed è bello vedere che una tennista così giovane abbia già vinto tanto. Ho giocato a Montreal contro di lei, io poi ho vinto con Iga e lei ha fatto la stesa cosa a Cincinnati. Ha detto che la mia vittoria l’ha spronata a far bene. Succede spesso che le vittorie delle tue amiche o colleghe ti siano da stimolo, ti aiutano ad avere più fiducia. Sono felice che anche lei abbia acquisito sicurezza da quella settimana e sia riuscita a portarla a Cincinnati. Penso che sia davvero in fiducia. Quando un giocatore è in questo stato è più difficile da battere. So che adora giocare con il pubblico. Penso che ci siano molti favoriti, ma il pubblico potrebbe aiutarla molto. Sono felice che stia migliorando e imparando. Lei è il futuro di questo sport, quindi… è bello da vedere”.
Come membro del consiglio dei giocatori, come Pegula giudica l’impatto dell’Arabia Saudita sul tennis e sulla WTA che sta per stilare un accordo con i sauditi? “Parliamo di voci e non so se accadrà. Bisogna valutare i pro e i contro: di positivo c’è che entreranno più soldi nel nostro sport al femminile e lavoreremo per i diritti delle donne in Arabia Saudita per sperare in un cambiamento e sostenere le giuste cause. Se riusciamo a cambiare quei popoli sarebbe un grande successo. Sfortunatamente, molti posti non pagano abbastanza le donne e purtroppo non possiamo permetterci il lusso di dire no ad alcune cose. Credo che se i soldi fossero giusti e l’accordo fosse qualcosa per cui possiamo creare un cambiamento, andrebbe bene giocare là. Vediamo come andrà a finire”. Ma i soldi arabi hanno un attivo profumo, a sentire il direttore Scanagatta.
Ma come sta Pegula? “Non mi sento più in fiducia delle altre volte, a dire il vero. Ancora una volta, il tennis è così e cambiam di settimana in settimana. Ho vinto a Montreal, poi sono stata sconfitta e ho perso a Cincinnati. In un certo senso sono tornata al punto di partenza nell’analizzare le cose su cui lavorare. Prendo questo Slam come un’ulteriore sfida con me stessa”.
Per l’americana c’è il taboo semifinale e finale in uno Slam da abbattere. Sei quarti di finale negli ultimi suoi otto Major: “Mi manca solo vincere i quarti di finale (sorride). Questo mi aiuterebbe a superare i quarti di finale e arrivare in semifinale. Ci sono andata molto vicina a Wimbledon. Non so cos’altro dire. Cercherò sempre di vincere ogni singola partita, non importa in quale round sia. Il mio “must” è pensare una gara alla volta: penso che questo sia il modo migliore per giocare senza troppa pressione, affrontando una partita alla volta. Saranno due settimane lunghe. Ogni giorno mi sentirò diversa. Probabilmente ci saranno delle sfide mentali e fisiche da combattere o non mi sentirò al top. Dovrò vivere giorno dopo giorno”.
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Martina Navratilova sulle atlete trans: “Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti”
L’ex campionessa statunitense torna nel mirino dei social: il commento sulle atlete trans che stona con la sua veste di icona Lgbtq+

Martina Navratilova contro le atlete trans: un paradosso che sa di reazionarismo. L’ex campionessa di tennis e icona Lgbtq+ nel panorama sportivo mondiale, tuona sulla questione legata alla presenza di atlete trans nei tornei per donne over 55 organizzati dall’USTA (United States Tennis Association) la Federazione tennis a stelle e strisce. Prima atleta professionista a fare coming out nel 1981, la tennista ceca (naturalizzata statunitense) si butta a capofitto nel mezzo di una discussione su Twitter riguardante, nello specifico, la vittoria di una tennista nata uomo, Alicia Rowley che ora partecipa ad eventi per donne dopo il periodo di transizione: “Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti” commenta Navratilova.
E continua ribadendo: “Hey, Usta: il tennis femminile non è per atleti maschi falliti, qualunque sia l’età. Questo sarà consentito allo US Open di questo mese? Solo con un documento d’identità? Non credo. […] È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire? È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nella categoria femminile nello sport“.
Per quanto sorprendente, la posizione presa da Navratilova non è tuttavia una completa novità: nel 2019 era stata espulsa da un’associazione che combatte battaglie in sostegno di atleti omosessuali, l’Athlete Ally, accusata di transfobia per aver pronunciato le seguenti parole (riportate dal Sunday Times): “È sicuramente ingiusto per le donne che devono competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei”. A distanza di quattro anni, nulla è cambiato. Almeno per lei.