L'estinzione dei colpi nel tennis (1a parte)

Rubriche

L’estinzione dei colpi nel tennis (1a parte)

Pubblicato

il

 

TENNIS –  L’evoluzione del tennis contemporaneo ha portato alla progressiva scomparsa di colpi e schemi di gioco che erano fondamentali e frequentissimi nel tennis del secolo scorso. Analisi di quattro colpi in via di estinzione. Di Luca Baldissera e AGF

Natura non facit saltus: questo concetto, elaborato dal pensiero aristotelico, è fondamentale in Charles Darwin, che ha concepito l’evoluzione della specie come un fenomeno in cui i cambiamenti sono graduali, quasi impercettibili; ma impercettibili nel breve termine, perché se confrontati a distanza di tempo diventano invece chiaramente rilevabili; e a volte anche molto profondi.

.

A mio avviso questa interpretazione funziona anche per il tennis, almeno da quando si è chiusa l’era delle racchette di legno.

Dopo quella svolta epocale, le cose hanno continuato a modificarsi: i campi, le palline, le racchette e le corde (che sono diventate via via più performanti) la stessa struttura fisica dei giocatori. Ma non per salti brutali, quanto per piccole, progressive mutazioni.

Negli ultimi decenni non c’è stato un giorno in cui è accaduta la rivoluzione; non c’è stato un Fosbury, come per il salto in alto, che affrontando di schiena l’asticella ha reso improvvisamente obsoleta la tecnica precedente. Però se guardiamo una partita di tennis di trent’anni fa e la confrontiamo con una partita di oggi riconosciamo un’evidente diversità.

.

Quando Luca mi ha proposto di scrivere questo articolo insieme (riprendendo una dialogo che avevamo avuto tempo fa) mi ha mandato una mail in cui ha individuato i colpi di cui si parla più avanti, definendoli “colpi che vanno scomparendo”. In biologia si direbbe: in via di estinzione.

.

Seguendo per anni le partite, giorno dopo giorno, possiamo dire che nessun “nuovo” tennista, per quanto fosse diverso e innovativo nella sua impostazione, ha sistematicamente battuto i rappresentanti del gioco precedente: vittorie e sconfitte si sono alternate con modalità che rendevano difficile l’individuazione della tendenze che avrebbero prevalso.

Se però consideriamo la situazione a lungo termine, ci accorgiamo, ad esempio, che il serve&volley è scomparso (non bastano gli Stepanek o i Llodra a confutare la sostanza del ragionamento) e oggi sembra impossibile che qualcuno possa vincere gli Slam buttandosi a rete, come facevano Edberg o Navratilova.

.

Sul piano della evoluzione tennistica (anche in senso darwiniano) possiamo dire che il gioco di Agassi ha prevalso su quello di Sampras; ma quando assistevamo alle loro partite non credo ci fosse una simile, preveggente, consapevolezza.

Ecco, avendo come riferimento questo sguardo a lungo termine, abbiamo deciso di presentare alcuni colpi che si vedono sempre meno nelle partite dei professionisti.

Io ho recuperato gli esempi delle donne, Luca quelli degli uomini e soprattutto si è occupato di tutte le analisi tecniche, che io non sarei in grado di fare.

In sostanza: la parte di presentazione è scritta da me, AGF, l’analisi tecnica da Luca Baldissera.

———————-

.

Per presentare i colpi femminili in via di estinzione ho scelto un’unica partita, del 1997 con in campo due tenniste dalle caratteristiche differenti. E’ la finale del Masters disputata a New York tra Novotna e Pierce.

Da una parte Jana Novotna, ormai ventinovenne. Una delle ultime rappresentanti del gioco di attacco classico: colpi ad una mano sia di dritto che di rovescio, schemi costruiti sulla verticale, con l’aggressività che si esprime attraverso la ricerca della rete per chiudere gli scambi di volo

.

Dall’altra Mary Pierce, 22 anni: giocatrice con una impostazione molto più vicina al “power tennis” contemporaneo. Che significa: fisico potente, rovescio a due mani e predominanza del movimento in orizzontale; l’aggressività si esprime attraverso la ricerca del controllo dello scambio da fondo, con vincenti che non richiedono la discesa a rete.

 

1) Approccio in slice

.

Un colpo che non è concepito per essere direttamente vincente, ma è funzionale alla discesa a rete, perché consente di avere il tempo di prendere una buona posizione per la successiva volèe.

Come accade qui

.

Oggi nelle (rare) occasioni in cui le giocatrici decidono di prendere la rete, utilizzano il topspin tirato al massimo, nella speranza di chiudere lo scambio direttamente; oppure, male che vada, di dover giocare a rete una “benedizione” senza troppi rischi, perché l’attacco deve essere tale da impedire all’avversaria di organizzare repliche pericolose.

Qui un esempio di una giocatrice dall’impostazione molto contemporanea come Eugenie Bouchard.

.

Ecco qui la versione maschile. Adriano Panatta (contro Ivan Lendl) che si esibisce in uno schema davvero tipico del suo gioco: attacco slice e conclusione con veronica.

.

Analisi tecnica

I prerequisiti più importanti di un’efficace gioco di volo, molto più determinanti della tecnica esecutiva e della manualità nell’esecuzione delle volée in se stesse, sono il ritmo (o timing) con il quale viene sviluppata l’azione in verticale, e il conseguente posizionamento a rete. Scegliere il momento sbagliato, anticipandolo o ritardandolo troppo, per attaccare in avanzamento, comporterà inevitabilmente il ritrovarsi fuori posizione rispetto alla rete (tipicamente troppo indietro), oppure rispetto all’angolo potenziale del passante o della difesa avversaria (tipicamente troppo al centro, invece che a coprire il lungolinea).

.

Fino a una decina di anni fa, chi sceglieva di aggredire la rete, aveva due opzioni principali. La prima era seguire il servizio (che deve nella maggior parte dei casi avere traiettoria esterna e relativamente rallentata, ma caricata di rotazione, cioè slice da destra e kick da sinistra per i destri, per dare il tempo al volleatore di arrivare allo split-step di posizionamento almeno più avanti della metà campo, e contemporaneamente per aprire gli spazi), cosa che occasionalmente si vede fare ancora oggi, pur se nemmeno lontanamente con la stessa continuità della generazione precedente. La seconda era, nell’istante opportuno durante lo scambio da fondocampo, trovare una palla adatta da tagliare dall’alto in basso, in avanzamento, cercando traiettorie in questo caso soprattutto profonde, con rimbalzi il più possibile bassi, per costringere il difensore a passanti giocati dal basso verso l’alto su palle con poco peso.
.
L’elemento in comune di queste due opzioni è che la palla da seguire a rete non deve essere eccessivamente veloce o potente, per evitare il rischio di vedersela ritornare addosso (o peggio, tra i piedi) troppo presto, prima di aver potuto steppare e poi trovare la corretta posizione per chiudere gli angoli. Come detto, anche se ormai è divenuta una soluzione “jolly”, il serve&volley talvolta in ambito ATP (WTA purtroppo molto meno) si vede ancora, ovviamente sulle superfici più rapide e solo in modo randomizzato, appunto per sorprendere il ribattitore.
.
Quello che non si vede praticamente più, invece, è la soluzione di approccio in slice durante lo scambio, e non parliamo delle situazioni obbligate come per esempio i recuperi su palle corte, ma della scelta consapevole dell’attacco con taglio sotto invece delle canoniche botte in top-spin sulle palle che lo consentirebbero. La tecnica esecutiva dello slice aggressivo (da non confondere con i back e i chop in recupero difensivo, la discriminante è l’accompagnamento finale) è estremamente difficile, in particolare per il fatto che non viene colpito con appoggi fermi ma in avanzamento verticale-affiancato, il che richiede grande sensibilità e controllo dell’equilibrio.
.
L’impugnatura della racchetta (con grip continentale) viene portata all’altezza degli occhi, mentre il braccio esegue un “wrap” (avvolgimento) con flessione del gomito che porta la testa della racchetta oltre le spalle del giocatore. Contemporaneamente, viene eseguita la rotazione busto-spalle, e l’affiancamento della stance, con appoggio sulla gamba avanzata, appoggio che però viene caricato con il peso del corpo in fase dinamica, ovvero senza interrompere il movimento in avanti. Infatti, nello stesso momento in cui si sviluppa il movimento a colpire, si dovrà partire con la corsa verso la rete, di solito con un primo cross-step laterale che si trasformerà in passi frontali dopo il rilascio della palla, per poi trovare uno split-step di posizionamento il più avanzato possibile. Il finale sarà con piatto corde orizzontale-laterale (i back difensivi e i chop in recupero hanno finale con testa della racchetta portata verso il basso), il grip continentale rimarrà invariato per colpire la volée.
.
Azione molto tecnica, complessa, dinamica, e spettacolare: per anni abbiamo ammirato autentici specialisti del cosiddetto “affetta e scendi”, da Adriano Panatta, Yannick Noah e Martina Navratilova, passando per Stefan Edberg, Pat Cash e Jana Novotna, e arrivando ai contemporanei Michael Llodra, Radek Stepanek e Feliciano Lopez. Attualmente, ci sono ottimi giocatori anche a livello top (Roger Federer su tutti) dotati di grandi slice, ma l’utilizzo del colpo come approccio alla rete in modo continuativo è ormai scomparso.
.
Oggi come oggi, io posso anche eseguire uno slice perfetto, profondo e tagliatissimo: ma mi troverò a farlo su superfici molto più lente e abrasive di vent’anni fa, che restituiscono rimbalzi alti e frenati togliendo efficacia alla componente principale del colpo, ovvero l’ottenimento di una palla bassa e sfuggente (eccezione, l’erba, ma anche lì la resa è stata cambiata molto). Dopodiché, dall’altra parte della rete, avrò un avversario che su tale palla non tanto bassa e che non “schizza via” abbastanza, potrà tirare il passante in relativa comodità, e potrà trovare, grazie principalmente alle corde in monofilamento, quantità di top-spin una volta impensabili. Questo significa angoli più stretti in diagonale, e colpi a rientrare in lungolinea, a velocità altissima: cose un tempo riuscivano solo ai fuoriclasse del passante (Bjorn Borg, Ivan Lendl, Chris Evert, Martina Hingis) adesso sono parte “standard” del bagaglio tecnico di qualunque professionista, e la rete è praticamente diventata indifendibile seguendo uno slice classico. In modo altrettanto standard, inevitabilmente la scelta obbligata per tutti sulle palle “attaccabili” è diventata il tirare l’ennesima botta in top cercando l’angolo o lo sfondamento, senza seguire in avanti l’azione di gioco, e rinunciando così a qualsiasi variazione.

2) Volée in avanzamento – schiaffi al volo

.

Si è visto come il back di approccio fosse concepito come parte di uno schema articolato in più colpi. In modo simile anche a rete si poteva pensare di eseguire volèe che non erano impostate per essere definitive, ma per raggiungere una posizione di maggiore controllo dello scambio, chiudendolo con il colpo successivo.

Lo schema era questo: discesa a rete, volèe interlocutoria, ulteriore passo avanti per coprire in modo ideale la rete, colpo di volo definitivo.

La discesa poteva essere fatta dopo un attacco o direttamente dopo il servizio.

 

Oggi quando ci si muove in avanti si cerca di chiudere il prima possibile, perché lo stazionamento a rete è sentito come una situazione ad alto rischio. E allora ecco la scelta più potente e definitiva possibile, cioè lo schiaffo al volo.

 

Per la versione al maschile non credo che Edberg abbia bisogno di presentazioni. Dico solo che il suo tennis non era concepito per cercare obbligatoriamente punti diretti con i colpi di inizio gioco (servizio e anche prima volèe), ma soprattutto per prendere la rete nel miglior modo possibile e dominare lo scambio da quella posizione.

Edberg e la gestione della “prima” volèe.

E questo è un “Serve&Schiaffone al volo” (definizione “tecnica di Luca) di Fernando Verdasco, ripreso da una posizione meno consueta.

.

Analisi tecnica

.

Nelle situazioni di gioco in cui un tennista si trova in condizione di oggettivo vantaggio, ovvero dopo un gran servizio o una efficace accelerazione da fondocampo che ottengono in “premio” una palla difensiva non troppo veloce e abbastanza alta, l’azione in avanti è praticamente obbligata.

Ma anche qui, fino a una ventina di anni fa, la soluzione era uno split-step di posizionamento verso la metà campo, l’esecuzione quindi di una volée all’altezza delle spalle alla ricerca di profondità e di precisione (spesso cercando il contropiede per destabilizzare l’avversario), una ulteriore progressione verso la rete, seguita da uno step che portava a un secondo e definitivo colpo al volo.

Come dicevano i maestri di un tempo, “la prima piazzata, la seconda chiusa”.

..

La volée in avanzamento è un colpo interlocutorio eseguito più o meno a metà campo, che va accompagnato in avanti con l’azione del gomito e dell’avambraccio (non solo “di mano” e polso come le volée standard nei pressi della rete), e con il peso del corpo proiettato verso la palla per poterla seguire con la massima rapidità. Il punto fondamentale qui è la precisione, il dare la giusta quantità di taglio sotto, e il trovare gli spazi corretti per rendere impossibile un passante competitivo a un avversario già in difficoltà: ma senza rischiare assolutamente l’errore cercando il vincente diretto, che se arriva va benissimo, ma lo scopo è la chiusura facile con la volée successiva.

.

Gli strepitosi interpreti del serve&volley avevano tutti una cosa in comune, e in più rispetto agli altri: una grande, grandissima volée in avanzamento (la “prima volée”, la più importante, molto più decisiva dei successivi tocchi a chiudere), con la quale facevano quello che volevano, ovvero rendere un inferno la vita dei ribattitori, non appena la risposta al servizio era meno che bassissima, e spesso tiravano su magnificamente anche quelle.

Lo stesso discorso del serve&volley si applica riguardo alle situazioni di attacco/vantaggio in seguito a incisivi colpi da fondocampo. Palla “svolazzante” a mezza altezza? Volée in avanzamento piazzata in sicurezza, e poi chiusura sulla rete.

.

Ma esattamente come nel caso dell’approccio in slice, la velocità di palla e gli angoli consentiti oggi dal top-spin estremo esploso con i monofilamenti hanno reso questa esecuzione obsoleta e improduttiva. Per quanto perfettamente piazzata, la mia bella volée in avanzamento sarò quasi sempre costretto a giocarla da troppo indietro (e basta un metro per fare la differenza) a causa della rapidità con cui si sviluppa lo scambio, sarà quindi dura destabilizzare efficacemente l’avversario, e mi ritroverò a fronteggiare passanti che ormai stanno dentro a tutti pure in allungo, spesso senza aver avuto modo di posizionarmi correttamente. Addio anche alle “approach volleys”.

.

La soluzione “moderna” è, in effetti, una non-soluzione: quando, per le prime volte, Andre Agassi, e poi le sorelle Williams, hanno cominciato ad avventarsi su qualsiasi cosa fosse aggredibile da metà campo tirando quelli che poi sono diventati universalmente noti come “schiaffi al volo” (swinging volleys), ovvero dritti (e a volte rovesci) colpiti in stance semifrontale, con impugnature semiwestern e western, prima del rimbalzo, erano cose mai viste. Ma la difficoltà tecnica del tirare un dritto assolutamente identico (salvo una preparazione meno ampia e un finale windshield-wiper molto accentuato) a quello giocato dopo il rimbalzo, però al volo, è molto minore di quello che si pensi, e infatti tale esecuzione ormai viene padroneggiata da tutti. Una buona metà delle già rare azioni di serve&volley nel tennis moderno, soprattutto in ambito WTA per esempio, è costituita dalla combinazione servizio-schiaffo al volo, il tutto di pura potenza.

.

Quello che viene perso, invece, è la possibilità di variare angoli, velocità, e profondità: semplicemente si tira fortissimo verso lo spazio aperto del campo, pochissime volte viene cercato il contropiede, e si cerca il vincente mediante sfondamento invece che piazzamento. L’opzione “potenza a tutti i costi”, purtroppo, è ormai obbligata per i motivi già analizzati: nel tennis di oggi, è quasi più importante la velocità e il top-spin che si è in grado di imprimere alla palla, piuttosto che la capacità di piazzarla con precisione e tocco. Evoluzione inevitabile, ma tecnicamente un impoverimento evidente.

.

domani la seconda parte

.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement
Flash4 ore fa

Roma, Scanagatta: “Con Paolini bye bye Roma per le italiane. 5 azzurri superstiti. Tre giocano oggi ma il clou è Nadal-Hurkacz. Per lo spagnolo addio Roma più che arrivederci?” [VIDEO]

Matteo Berrettini - Roma 2024 (foto Francesca Micheli Ubitennis)
Flash2 giorni fa

ATP Roma, Scanagatta: “Piove sul bagnato. Dopo il KO di Sinner quello di Berrettini, e sul torneo diluvia. Menomale vincono Darderi e Cobolli” [VIDEO]

ATP4 settimane fa

ATP Montecarlo, Massey: “Il tetto è in programma e dal prossimo anno le chiamate elettroniche” [VIDEO]

evidenza4 settimane fa

Scanagatta: “Un errore arbitrale clamoroso fa perdere a Sinner con Tsitsipas un match quasi vinto” [VIDEO]

ATP4 settimane fa

ATP Montecarlo, Scanagatta: “Jannik Sinner batte l’avversario più duro di sempre sul rosso e conserva il secondo posto mondiale” [VIDEO]

ATP1 mese fa

ATP Montecarlo, Scanagatta: “Sorpresa Sonego, Sinner vince e convince, Musetti riprova a battere Djokovic”

ATP1 mese fa

ATP Montecarlo, Scanagatta: “Non mi piace il sorteggio di Sinner. Anche se Alcaraz è finito nella metà di Djokovic” [VIDEO]

Flash1 mese fa

Scanagatta: “Jannik Sinner è il favorito n.1 anche a Montecarlo. Djokovic ha giocato troppo poco. Per Alcaraz c’è l’incognita tabellone” [VIDEO]

Flash1 mese fa

Scanagatta a Radio Sportiva: “Sinner in questo momento è il N.1 al mondo”

Editoriali del Direttore1 mese fa

Scanagatta: “Cosa deve fare Sinner per battere Dimitrov nella finale di Miami?”, ore 21 SKY Sport Uno e LIVE su Ubitennis [VIDEO]

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement