Interviste
Australian Open interviste, Raonic: “I miei obiettivi sono cambiati con il tempo”
Australian Open, Raonic b. Marchenko 7-6 7-6 6-3, l’intervista del dopo partita
Con che tipo di servizio colpiresti l’annunciatore che ha messo in dubbio la tua mascolinità in campo?
Credo al massimo della velocità.
Che ci puoi dire sulla partita di oggi?
Ho fatto quello di cui avevo bisogno, specialmente al servizio. Probabilmente avrei dovuto osare di più nei giochi di risposta. Ho sentito che in alcuni momenti sono stato un po’ monotono con il mio gioco e mi sono bloccato in una tattica di gioco non molto efficace, soprattutto in risposta. A parte ciò, ho fatto ciò che serviva in un primo turno.
Quando hai sparato quel dritto in risposta nel tiebreak del primo set, è stato pensato o è perlopiù istinto?
No, è quello che voglio. Certo, non miro per forza alla linea. Era la prima volta nella partita che entravo dentro su una sua seconda. Quindi ho sicuramente cercato di mettergli più pressione e di fargli tirare una traiettoria diversa.
Hai giocato sulla Rod Laver e sull’Hisense. Qual è la differenza più grande fra i due? L’atmosfera sembra diversa.
È molto difficile indicarne una perché innanzitutto quando ho giocato sulla Rod Laver ho giocato contro Lleyton e contro Roger, che portano già di per sé una certa atmosfera. Oggi è stato divertente sull’Hisense. Poi le volte che ho giocato sulla Rod Laver era sera. Non so, è molto difficile da dire; dipende da troppi fattori.
Succede a molti giocatori, ma tu hai giocato una partita di livello altissimo contro Roger a Brisbane. Sai di non riuscire a raggiungere quel livello così velocemente in un torneo come questo?
Non importa come ho finito a Brisbane. Questo torneo, ogni torneo in realtà, non importa dove, non ha nulla a che fare con quello precedente. Parto sempre da zero. È qualcosa che ho imparato ad accettare e che prima, specialmente nei primi anni nel circuito, non tanto digerivo. Ma si tratta solo di riuscire a vincere e di darmi l’opportunità di giocare meglio nelle prossime partite.
Conosci Donald Young? Siete agli estremi opposti dal punto di vista della carriera: tu non hai fatto molto fra gli juniors, lui è stato numero 1.
Si ci ho giocato un po’ di volte. Poi lo conosco perché sono un anno più piccolo di lui. Era il ragazzo modello a cui tutti aspiravano fra gli juniors. Ricordo, credo fosse durante la Junior Davis Cup, a Key Biscane, eravamo under 14, ed andavo a vederlo giocare contro Bester e Polansky. Sicuramente lo seguivo perché si dicevano parecchie cose su di lui. Sapevo ciò che gli succedeva; ha sempre avuto i riflettori puntati.
Quando ti sei accorto che saresti esploso tardi?
Beh ci speravo, altrimenti sarebbero stati problemi (sorridendo).
C’erano persone credevano in te?
Beh si, ce n’erano. I miei allenatori hanno sempre creduto molto in me. Io non l’ho sempre vista in quella maniera. Ma i miei obiettivi, le mie ambizioni si sono sviluppate man mano che crescevo. Sono cambiate. Ho imparato a credere molto di più in me stesso e a capire che potevo fare molto di più, sicuramente molto più di quanto immaginassi quando sono diventato professionista. Le cose sono cambiate e cambiate in meglio, e così anche le mie ambizioni ed i miei obiettivi.
Vogliamo creare un po’ di problemi nella squadra canadese. La Bouchard ha detto ieri sera che sei troppo ossessionato con i tuoi capelli.
Prossima domanda.
Non hai niente da dire sui tuoi capelli?
No, meglio non parlare (sorridendo). Grazie.
Lorenzo Dicandia