Pennetta subito fuori; il Foro cerca una divinità dai tempi della Sabatini (Clerici). Da Djokovic a Nadal, la banda dei quattro alla conquista di Roma (Crivelli). Giorgi e Pennetta, che delusioni (Grilli). “Io, come Mou, maniaco dei particolari” (Cappelleri, Cordella).

Rassegna stampa

Pennetta subito fuori; il Foro cerca una divinità dai tempi della Sabatini (Clerici). Da Djokovic a Nadal, la banda dei quattro alla conquista di Roma (Crivelli). Giorgi e Pennetta, che delusioni (Grilli). “Io, come Mou, maniaco dei particolari” (Cappelleri, Cordella).

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Pennetta subito fuori; il Foro cerca una divinità dai tempi della Sabatini (Gianni Clerici, La Repubblica).

L’appassionato – e passionale – pubblico del Foro, mi sembra da anni alla ricerca di una divinità tennistica femminile che possa sostituire l’idolatrata Gabriela Sabatini, l’argentina di origini marchigiane che vinse quattro volte (88-89, 91-92) nei luoghi grazie a lei ribattezzati Gabylandia. Francesca Schiavone non era parsa adatta, anche perché preferiva trionfare a Parigi. Cosa ci poteva essere, invece, di più simile a Gabriela di Flavia Pennetta, non meno bella, non meno vicina ad una cosiddetta bellezza mediterranea? Incontrava oggi, l’incantevole Pennetta, una ucraina di Odessa, la Svitolina, un cognome che aveva già suggerito ai colleghi inglesi un divertente gioco di parole tra screw, vite, e unscrew, svitare. Ma le associazioni di significati della Odessina non si fermavano lì. Infatti gli appassionati non solo di tennis ma di musica mi spingevano a ricordare che, proprio a Odessa, Eduardo di Capua aveva composto quella sorta di Inno Mediterraneo chiamato “O Sole Mio”. C’erano insomma svariate componenti per un successo della Piccola Penna nei luoghi orfani di una divinità contemporanea, ma, agli spettatori pieni di speranza, qualcosa veniva a mancare. Qualcosa che mi è parso più di una volta insufficiente alla santificazione di Flavia: termine dall’ambiguo significato per un dubbio-credente. Flavia è infatti autrice di un tennis incantevole, gesti ancor più candidi che bianchi, che, purtroppo per lei, suscitano sì estetica ammirazione, ma divengono via via più utili alle avversarie che alla creatrice. Di questo suo colpire schietto quanto perfetto si giovano le avversarie. Una ne ricordo su tutte, la Wimbledon winner Marion Bartoli, dominata sino alla vergogna, una vergogna troppo profonda perché quella figlia di papà se ne rendesse conto, e non si vergognasse nel recuperare una partita perduta. Anche oggi la vicenda si è ripetuta, Pennetta ha fatto in modo di riavvitare Svitolina, rimettendola bene in palla ogni volta che la Odessina la palla riuscisse a raggiungere, dopo qualche punto perfetto, ingiocabile, stravinto da Pennetta. La giornata pomeridiana è vissuta grazie alle imprese quasi eroiche del gruppo di terraioli spagnoli, uno più infaticabile dell’altro, uno più regolare dell’altro, secondo la tradizione inaugurata dai nonni Gimeno e Santana. Ha iniziato Guillermo Garcia-Lopez battendo Marin Cilic, che l’anno passato era stato presentato quale il nuovo fenomeno dopo aver vinto, battuta e diritto imparabili, lo US Open. Oggi, sulla terra di un rientro, simili swing erano insufficienti. Ha continuato un altro Lopez, Feliciano, a ritagliarsi, con rovescetti slice, la violenza del new australian Nick Kyrgios. E, infine, un terzo peon, Nicolas Almagro, è giunto a due passi da Novak Djokovic, trovando anche modo di fare una brutta caduta a match ancora aperto. Al di là di antiche origini pelotare, i tre si sono distinti per l’utilizzo di rovesci ad una mano, un gesto in via di scomparizione dal cosiddetto tennis contemporaneo. Spero che qualcuno dei maestri dell’asilo del Foro, impegnatissimi nell’educazione dei piccini con racchette, abbia trovato modo di rendersi conto del fenomeno, e ne abbia tratto ispirazione.

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Da Djokovic a Nadal, la banda dei quattro alla conquista di Roma (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport).

Arrivano i nostri. Dopo i giorni delle certezze, dei trionfi, dei dubbi, delle tante domande irrisolte, Roma si apre finalmente ai Fantastici Quattro. E pazienza se Nadal è sceso al numero 7 del mondo, la peggior classifica dal 2005: qualcuno, di fronte ai sette successi al Foro e alla carriera di più grande di sempre sulla terra, può accusarlo di lesa maestà se continua a rimanere nell’olimpo? Dunque, ci saranno tutti: Djokovic, Federer, Murray e appunto Rafa. Toccherà al campo mostrare le condizioni di tutti a una settimana dal Roland Garros. Nole, il numero uno, è sceso in campo ieri contro Almagro. Rappresentazione a due facce: nel primo set un’impressionante dimostrazione di forza con il povero Almagro a inseguire traiettorie imprendibili. Poi, sul 5-2 a favore nel tiebreak del secondo set, il Djoker si sgonfia, perde il parziale e ha bisogno di un surplus di energia e cattiveria per imporsi al terzo: “Troppi alti e bassi e a un certo punto non sono più riuscito a leggergli il servizio. Vorresti sempre vincere facile, ma queste partite ti aiutano a ritrovare subito la condizione. Pentito di non aver giocato a Madrid? Assolutamente no, ho avuto un inverno particolare: anziché andare in vacanza ho cambiato i pannolini a mio figlio. Avevo bisogno di fermarmi”. Tre giorni fa il serbo aveva attribuito i freschi successi sulla terra di Murray, a Monaco e Madrid, al matrimonio appena celebrato. Andy, dopo una giornata a sfogliare la margherita, in serata conferma la presenza e oggi debutta con Chardy: “Se sei molto felice fuori dal campo, e io lo sono, le cose ti vengono più facili quando ti alleni e quando giochi. Quanto alla fede al dito, non mi dà affatto fastidio e non ho paura di perderla mentre gioco”. Murray arriva a Roma sicuramente stanco, ma con un record di 9 vittorie e nessuna sconfitta sulla terra e con lo scalpo del più forte di tutti sulla superficie, quel Nadal strapazzato in finale in Spagna. Come sta il re? Dagli allenamenti, che restano comunque un rito collettivo per migliaia di appassionati, traspare un leone ferito ma orgoglioso. Anche quando lo pizzicano sulla possibilità di cambiare coach: “Non ne vedo la ragione. In uno sport individuale, le colpe eventualmente sono individuali, quindi se non sto giocando bene me ne assumo la responsabilità. Con zio Toni e tutto lo staff sono arrivato dove sapete, non capisco che senso abbia un cambiamento”. L’esordio soft contro il turco Ilhan, uscito dalle qualificazioni, lo aiuterà a riprendere il ritmo, mentre Federer, l’ultimo a debuttare questa sera, contro il non facile Cuevas, ieri se n’è andato a zonzo per Roma (zona Pantheon) a dimostrazione che probabilmente non è la terra, ma l’erba di Wimbledon, a interessarlo di più. Serata romana, soft, anche per la Sharapova, avvantaggiata nel pomeriggio dal ritiro dell’australiana Gajdosova a giochi ormai quasi fatti e piuttosto seccata per la consueta domanda nuziale: “Matrimonio con Dimitrov? Non rispondo, grazie”. Serena, invece, travolge la Pavlyuchenkova. Le regine non scherzano.

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Giorgi e Pennetta, che delusioni (Massimo Grilli, Corriere dello Sport).

Il tennis di casa nostra ha vissuto ieri il suo martedì nero, con l’eliminazione di tutti e quattro i singolaristi in campo e di tre doppi (Knapp-Vinci, attese con molta curiosità, poi Camerin-Dentoni e Lorenzi-Vanni). In pratica su 11 nostri rappresentanti solo l’intramontabile Schiavone – scesa in campo in coppia con la Halep – ha vinto la sua partita. C’è rammarico soprattutto per le nostre donne: contro la Svitolina, numero 19 del mondo, la Pennetta (26) è stata in partita solo alla fine del primo set. “Mi dispiace tanto uscire così presto, per il tifo di Roma, per il torneo, ma non ho saputo trovare la chiave della partita. Non sono stata incisiva, e quando ho provato ad essere aggressiva ho sbagliato troppo. Lei, invece, è stata davvero molto solida”. Male anche la Giorgi, alla terza sconfitta di fila al primo turno. Contro la Jankovic – due volte vincitrice qui al Foro Italico ma ferma da un mese per un infortunio – Camila ha sprecato un vantaggio di 5-2 nel primo set e di 4-1 nel secondo, mostrando il meglio e soprattutto il peggio del proprio repertorio. Tanti colpi spettacolari, tanti rischi corsi, non sempre a proposito, ma il peso insormontabile di 52 errori non forzati, che hanno finito per compromettere la partita. Poco da rimproverarsi hanno i ragazzi: Arnaboldi si è tolto la soddisfazione – lui che è numero 212 del mondo – di togliere il primo set al numero 20, il biondino belga Goffin. Tutta esperienza anche per Donati, che ha cominciato ad assaggiare il pane duro del tennis di prima fila. Contro Berdych il pronostico era chiuso ma il ventenne di Alessandria ha strappato sei giochi e tanti applausi, vincendo anche la sfida degli aces. Oggi tocca ai tre singolaristi sopravvissuti: come secondo incontro sul campo Pietrangeli, la Errani parte favorita contro la non irresistibile americana McHale; sullo stesso campo Fognini tenterà di spezzare il tabù Dimitrov, che quest’anno lo ha già battuto a Montecarlo e Madrid. Nell’ultimo incontro sul Centrale, infine, la Knapp proverà a scalare la montagna Kvitova, testa di serie numero 4, reduce dal trionfo di Madrid dove ha domato facilmente anche Serena Williams. In campo anche le coppie Bolelli-Fognini, Donati-Napolitano e Burnett-Paolini.

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“Io, come Mou, maniaco dei particolari” (Paolo Cappelleri, Gianluca Cordella, Il Messaggero).

Anche il tennis ha il suo Mourinho. Non è portoghese, ma ha molto in comune con lo Special One: grande motivatore, allena solo top player e, come Mourinho, si diletta in percorsi extrasportivi (oggi esce il suo primo libro). Patrick Mouratoglou è l’uomo che ha portato al top Serena Williams e che ha riempito le pagine dei magazine per la relazione che, in seguito, è nata con la numero uno del mondo. Ma nessuno dei due ama parlarne pubblicamente: meglio concentrarsi sul libro, che (dice) ha deciso di scrivere perché “sarebbe stato interessante spiegare come sono arrivato al successo pur non venendo dal tennis. È stata una buona occasione per parlare degli allenatori, che lavorano nell’ombra”. Il discorso si è poi ovviamente spostato sull’altro personaggio centrale del libro, Serena Williams, e sull’inizio della loro collaborazione: “Il nostro è un mondo piccolo, ci conosciamo tutti e ci sono pochi allenatori per i grandi giocatori. Lei aveva appena perso al primo turno del Roland Garros 2012, non vinceva un Grande Slam da due anni e mezzo ed era scivolata al numero 5 del ranking. Mi ha chiamato, chiedendomi di allenarsi qualche giorno alla mia Academy di Parigi. Ha voluto fare solo qualche scambio. Dopo cinque minuti mi ha detto “Parlami”. Era pronta a tutto per tornare al numero 1. Le ho proposto una strategia complessiva: un giocatore è la combinazione di diversi fattori, personale, fisico, mentale, tattico, tecnico. Se cambi un aspetto, cambia tutto. È lo stesso nel calcio, e anche là non sono molti gli allenatori, come José Mourinho, che tengono sotto controllo tutti i parametri. Serena, quando è al top, può battere chiunque, ma quando non gioca bene corre pericoli e le sconfitte tolgono sicurezza. Doveva rendere di più quando non giocava bene: le servivano più soluzioni e diversi stili di gioco. Rispetto alle altre giocatrici lei rifiuta l’idea di perdere, lavora più e meglio di chiunque altro, è super professionale, è la più grande lottatrice del circuito, mentalmente è più forte della maggior parte delle giocatrici, ha il miglior servizio al mondo. C’è altro, ma questo basta per essere la numero 1. Nel tennis ciascuno è al posto che merita, il primo come il centesimo”. Senza peli sulla lingua, il Mou del tennis ne ha anche per i giocatori transalpini che, a suo dire, “potenzialmente sono da Grande Slam. Ma non succederà. Non voglio attaccare nessuno, ma in Francia piace chi ha talento, non chi ha ambizione. Per Djokovic e Nadal essere numeri 2 non basta, per i francesi il 4 va benissimo”. Rivolgendo, infine, uno sguardo sui tennisti di casa nostra, dichiara che gli piacerebbe lavorare con Camila Giorgi (che si è allenata nella sua Academy fino ai 15 anni): “ha un talento incredibile. Ha solo bisogno di un po’ di tempo per completarsi”.

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