Infinito Federer piega Murray, nella sua 10° finale sfiderà Djokovic (Crivelli). Il tennis divino del magnifico Federer più bravo del tempo (Clerici). Federer, la partita perfetta (Marcotti). Federer mai così bello, Murray a capo chino (Azzolini). Muguruza sfida Serena:"La guardavo in tv da bambina"(Crivelli). Garbine va da sola contro turbo Serena (Marcotti)

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Infinito Federer piega Murray, nella sua 10° finale sfiderà Djokovic (Crivelli). Il tennis divino del magnifico Federer più bravo del tempo (Clerici). Federer, la partita perfetta (Marcotti). Federer mai così bello, Murray a capo chino (Azzolini). Muguruza sfida Serena:”La guardavo in tv da bambina”(Crivelli). Garbine va da sola contro turbo Serena (Marcotti)

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Wimbledon: Infinito Federer piega Murray, nella sua 10° finale sfiderà Djokovic (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

A Londra questo deve essere il Paradiso. Un prato verde con un angelo vestito di bianco che distribuisce baci e carezze, con la diafana delicatezza di una divinità capace di volare oltre il tempo e lo spazio. E la memoria recupera le illuminazioni del passato, quando un giovanotto poco più che ventenne prendeva possesso per la prima volta di quest’erba benedetta e ne faceva il giardino di casa, addomesticandola con una grazia e un talento mai visti e neppure immaginati. E’ il 10 luglio 2015, ma sembra il 2003 e quell’uomo ormai maturo di nome Roger Federer, alla soglia dei 34 anni e con una carriera che ha già trapassato la leggenda, torna d’incanto l’esploratore di allora, regalando un pomeriggio da tramandare e una partita così perfetta che a un Murray ammirato e stralunato non resta neppure il tempo per piangere, mentre giù dalle scale uno dei tanti che potrà dire «io c’ero» se ne esce con una frase che sublima l’epica dell’evento: «Oggi poteva venire pure la Regina, ma tutti si sarebbero inchinati a un’altra Maestà». LE PERLE Si potrebbe cominciare dal passante di mezzo volo con cui il Divino si procura il 15-30 nel 12 gioco del primo set o, due punti dopo, da un altro passante, ancora di rovescio, che fila a un palmo dalla rete e toglie la racchetta dalle mani dello sconfortato scozzese per il break che vale il parziale. E poi le volée, le demi-volée e il mostruoso rendimento al servizio (58 punti su 69 con la prima, 20 ace), la vera chiave di un match senza storia perché impedisce ad Andy di prendere ritmo e spazio. E ancora, e ancora. Fino all’apoteosi, a un lampo abbagliante che si è già guadagnato l’immortalità, un passante di rovescio in corsa solo di polso che fissa lo 0-30 nel decimo gioco del terzo set e soprattutto annichilisce il povero Muzza e le sue ultime, tenui, speranze. Sovrumano, ma non per l’autore: «Se avessi giocato un colpo d’approccio, lui avrebbe finito il punto a rete. Se avessi giocato un pallonetto, sarebbe stato corto e lui avrebbe fatto uno smash. L’unica soluzione era di trovare l’angolo con una frustata. Certo, riuscirci sul Centrale di Wimbledon e in quella situazione è qualcosa che lo rende particolarmente piacevole» LA SCELTA Lo racconta con la leggerezza del ragazzino un po’ monello che ha appena sottratto la marmellata dalla cucina, mentre la gente di casa, che si aspettava un altro match e un altro Murray, addensa nubi d’ira sul povero scozzese e la sua scelta di ricevere nel primo game dopo aver vinto il sorteggio. In quel primo gioco, Federer concede l’unica palla break del match e la annulla con un ace: da quel momento, diventerà una macchina. Tanto che Andy sentenzierà senza nutrire dubbi: «Non l’ho mai visto servire così bene in tutta la sua carriera, mai». APPLAUSI Un senso di impotenza, di sottomissione, la consapevolezza di aver sfidato un’entità sovrannaturale, perché non si possono spiegare altrimenti 11 soli errori gratuiti in una partita di quel livello. Roger, dopo l’ultimo punto, si prende dieci minuti di urla di passione dalle tribune, le ovazioni sicuramente fuori dal rigido rituale del Royal Box e addirittura gli applausi di ball boy, addetti alla sicurezza e giardinieri durante il breve viaggio dal campo agli spogliatoi. Una cosa mai vista: «Si vive per emozioni del genere – confesserà finalmente commosso – ed è la ragione per cui continuo a giocare. Dopo una performance come questa, sei molto soddisfatto perché è un riconoscimento per il duro lavoro che fai, soprattutto fuori dal campo». Devono essere questi prati (10° finale), quest’atmosfera, deve essere il feeling con un popolo sterminato che non smette di amarlo, ma soprattutto a Wimbledon i dubbi su chi sia il più forte di sempre non si palesano mai: «Non esagerate, ci saranno altri campioni nel futuro, il tennis è più grande dei giocatori. E poi resta ancora una finale, contro un fantastico giocatore come Nole, che mi ha battuto l’anno scorso». Sarebbe l’ottava meraviglia: «Uno o otto non conta, vincere qui è sempre qualcosa di magico». Come il suo tocco.

 

Il tennis divino del magnifico Federer più bravo del tempo (Gianni Clerici, La Repubblica)

FEDERER ha appena vinto, e se fossi riuscito a imparare il mio mestiere rileggerei tutti i punti segnati con matita rosso-blu sul quadernone, vedrei se ha vinto non soltanto per l’accentuata tattica d’attacco, per le fenomenali percentuali di battute e di volée vincenti. Mentre già immaginavo che solo la fatica delle 2 ore di gioco potesse trascinarlo oltre il terzo set, e mi domandavo se simile ipotesi fosse possibile, mi era venuta la gran curiosità di correre all’ingresso della tribuna reale, dove fui ammesso per sbaglio una volta, e dove sedevano, tra tanti tipi di sangue blu nativo, i sangue blu del tennis, i Grandi del Tennis. C’erano Laver, Borg, Santana. Sono amico con tutti e tre, per ragioni umane prima che professionali. Avrei voluto chiedergli se mai avessero incontrato o visto qualcuno simile al Federer di oggi, se mai si fossero sentiti di giocare al modo di Federer una semifinale, una finale di Wimbledon. Domanda forse vana, ma che mi era per un istante sembrata logica, umana. Quel che ho visto ha pochi confronti con altri sommi, così come è inutile paragonare Omero a Dante. L’irritazione, pur contenuta, formalmente corretta, di Andy Murray non gli sarà certo più possibile se mai la Mauresmo o il nuovo coach Bjorkman lo convinceranno a rivedere le immagini di un avversario imbattibile, pur con i rispettabili mezzi di cui lo scozzese dispone. Nello scusarmi di quanto ho scritto con gli appassionati che non hanno seguito il match in televisione, passo ora a un’occhiata alle mie annotazioni. E osservo subito qualcosa che potrebbe essere fondamentale, l’aspetto tattico ancor prima che statistico. In un periodo in cui le tattiche son state notevolmente limitate sia dalla muscolarità, sia dalle nuove racchette, Roger ha scelto qualcosa simile a quanto non si vedeva più dai tempi del suo consigliere Edberg, realizzato in modi ancor più estremi. Va bene il serve and volley di un tempo, ma non immaginavo di vedere qualcuno che, nei suoi primi tre turni di servizio, raggiungesse la rete ad ogni scambio, ben inteso con le eccezioni di servizi vincenti. E’ stato lì che si è capito come Federer avesse deciso precisamente di evitare un match con scambi diversi da servizi e volée, o ancor più difficili ribattute e volée. Vi sarebbe stato costretto, in seguito, e mi sarei sorpreso di vederlo in condizioni felici, se non proprio fenomenali quanto all’avvio, per due ore e 7 minuti. Qualcos’altro di importante, che ritrovo nel groviglio delle mie note, certo non paragonabili all’ispirazione di Roger, è un segno del destino. Accade il più delle volte che, vincendo il sorteggio, si scelga di ricevere invece che di battere, pensando che il primo gioco sia il momento migliore per cogliere l’avversario a freddo. Cosi ha fatto Murray, anche per il consiglio di uno dei geni che dovrebbero aiutarlo, e ciò lo ha costretto ad un continuo inseguimento. Che poi l’inseguito non si sia fatto raggiungere è altra cosa ma, fra i molti motivi di questo match, non è per nulla secondario. Questa straordinaria vicenda, insieme all’ammirazione che un vecchio scriba presente a più di sessanta Wimbledon le riserva, non è certo sufficiente perché lo straordinario Federer si ripeta in finale. In confronto a lui, il Djokovic di oggi è parso, nonostante il quasi facile successo, di una categoria inferiore. Ma, finisce ora di ripeterlo Federer in conferenza stampa, non è detto che una semifinale si possa ripetere in finale. La partita tra Nole e l’apparentemente rinato Gasquet è stata deludente, simile ad un qualunque terzo turno di routine. Problemi al serbo, ancor prima che il francese, ne ha creati la spalla sinistra malconcia, spalla che serve non solo a chi usa un rovescio bimane, ma nell’alzar la palla sulla battuta, e nell’equilibrio generale . Dovrei ottenere il parere del medico del tennis, il grande Francesco Parra, per stabilire se due o tre cadute degne di uno sciatore siano state causate da un equilibrio instabile di Nole. Ma non posso augurargli altro che una spalla in salute per domani. Ne avrà più che bisogno, soprattutto se Roger riuscirà ad imitare se stesso, ad essere, una volta di più, simile ai più grandi di tutti i tempi. Personaggi, come ho sempre scritto, che esistono soltanto tra gli dei. Ma Roger, oggi, non mi è parso lontano da una umana divinità.

 

Federer, la partita perfetta (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

L’ultima volta che si erano incontrati, nel novembre scorso alle Finals ospitate dalla 02 Arena, gli aveva lasciato un solo game. Quasi per rispetto, sul finale di partita. Ieri il monologo è stato meno brutale (nel punteggio) eppure altrettanto perentorio (nell’esito finale). A conferma di uno stato di grazia che si fa burla dell’anagrafe. A 33 anni e 338 giorni Roger Federer diventa il più anziano finalista di Wimbledon dai tempi di Ken Rosewall (1974). E centra l’impresa nella maniera più spettacolare. Mai come nella semifinale, entusiasmante e dominante di ieri sono i numeri a fotografare nella maniera più eloquente e precisa, il capolavoro realizzato da Federer. Impeccabile nella battuta, solido da fondo campo, generoso nel regalare gemme di talento pum sotto rete. A tratti ingiocabile, non solo non ha mai smarrito il servizio, ma dopo le due palle-break salvate in apertura di match, proprio sulla battuta ha costruito il suo successo. Grazie anche ai 20 ace, al 76% di prime palle, all’84% di punti conquistati con la prima Una prestazione entusiasmante, che ha conquistato infine anche i sudditi dl Sua maestà. Solo sul finire del secondo set, quando ha saputo annullare cinque set-point all’elvetico, il Centrale ha ruggito veemente per lo scozzese. Per il resto, pubblico diviso equamente, ma pronto ad applaudire, o seguire con ammirato stupore, i virtuosismi con la racchetta di Federen. Come quel rovescio di puro polso nell’ultimo game della partita, la firma sulla decima finale conquistata a Wimbledon. «E’ stata sicuramente una delle migliori partite della mia carriera – l’analisi di Roger -il servizio ha fatto la differenza. Ho servito bene e vario, non dando punti di riferimento a uno dei giocatori che risponde meglio. Se saprò ripetermi anche domenica (domani; ndr)? Non lo so, ma lo spero». TENNIS FANTASTICO. Simile nel punteggio (tre set) e nella durata (poco più di due ore), anche l’epilogo dell’altra semifinale. Quella di Novak Djokovic, in cui ha spazzato via il francese Richard Gasquet. Due match che apparecchiano la finale più attesa, la rivincita dell’anno scorsa la più logica perché tra i migliori due al mondo. L’epilogo rinnova la rivalità tra il detentore e il settevolte re di Wimbledon. Domani sarà la sfida n.4O tra i primi due del ranking mondiale: conduce di misura lo svizzero (20-19), mentre sono in parità gli scontri diretti sull’erba di Church Road, 1 a 1. Vittoria in semifinale per Federer nel 2012; successo del serbo nella finalissima dell’anno scorso. Tra le più belle di sempre, certamente per l’interminabile alternanza di emozioni. «Ma non penserò a quella partita. Da alcuni anni Novak è il migliore, trovarlo in finale è un plus. Ma anche a me è capitato di batterlo, so come vincere contro di lui». Come ha dimostrato di sapere, per la 13° volta in 24 sfide, contro Murray. Un match vinto dall’elvetico più che perso dallo scozzese. «Roger ha giocato un tennis fantastico, credo di non averlo mai visto servire cosa bene – l’ammissione di Murray -. Io penso di aver giocato un buon match, ma non ho mai avuto occasioni nei suoi turni di battuta. Ha senza dubbio meritato di vin-cere». Dopo 11 successi di fila sul francese, nella sua semifinale Djokovic non ha disatteso i favori del pronostico. Il serbo ha faticato a carburare ad inizio match, vincendo il primo set solo al tie-break, ma poi è stato chirurgico nel conquistare la sua quarta finale a Wimbledon. Dove lo attende il sette volte re di Wimbledon. «Roger è uno degli avversari più significativi della mia carriera, certamente quello che mi ha costretto a diventare un giocatore migliore. Ci siamo affrontati tante volte e la cosa che più mi impressiona è che continua a giocare così bene, e lo fa da tanti anni. Sara di certo la sfida più difficile, ma anche molto emozionante»

 

Federer mai così bello, Murray a capo chino (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Sarà compito di Boris Becker scegliere le parole giuste per spiegare a Djokovic come Federer abbia battuto Murray. Forse si limiterà a un decalogo tecnico, certo utilissimo. Oppure andrà oltre, e magari racconterà a Nole di quel senso d’ineluttabilita che ha segnato la prova di Andy, alle prese con un genio nella giornata in cui mille inusitate formule tennistiche ruscellavano dalla sua racchetta. Gli dirà, con parole tecnicamente appropriate, quali e quanti sforzi abbia fatto lo scozzese per mantenere vivo un match che l’altro dipingeva con una sequenza di colpi pennellati, seguiti da terrificanti esplosioni di servizio (20 ace). E gli racconterà di aver visto Federer impostare il primo break del suo match con un passante di rovescio arpionato dietro la linea delle spalle, e l’ultimo, quello che ha firmato la sua vittoria, con un altro rovescio in corsa vergato di solo polso , impossibile da capire prima ancora che eseguire. Forse Boris qualcosa aveva intuito, forse se lo sentiva che non sarebbe stata una giornata come le altre, ma una di quelle che santificano la bellezza di questo sport. I campioni hanno un senso in più dei cinque che condividono con noi. E non è un caso che il vecchio giardiniere abbia prima seguito in tuta il suo allievo Djokovic, poi sia tornato sul Centre Court in giacca e cravatta Noblesse oblige… Un Federer cosi meritava il vestito migliore fra quelli portati a Londra. Così, il vincitore di sette Wimbledon è ancora lì in finale. La decima. A quasi 34 anni si è mostrato più forte, carico, motivato di Andy Murray, ventottenne all’apice della sua parabola fisica e tennistica. Non è stato un match facile, tutt’altro. Lo scozzese ha dato battaglia, ma l’ha persa colpo su colpo. L’ha capito presto anche il loggione storico di questo teatro tennistico, assiepato sugli scranni naturali della collinetta più famosa, un tempo chiamata Henman Hill, oggi intitolata allo stesso Murray. Lì, i tifosi che amano dare sfogo all’esultanza sui punti più belli, hanno accompagnato Murray finché è stato possibile, l’hanno ringraziato per il coraggio, e applaudito per alcune combinazioni di grande talento. Ma gia alla fine del primo set avevano capito che avrebbe vinto Federer; il più inglese fra tutti i tennisti. E l’hanno scortato con la devozione che merita un re. «Il tennis è più grande di un singolo tennista, ma sono felice di questo tifo che mi accompagna», dice Federer. Eppure, poco c’entra tanto giubilo con l’atto finale di questi Championships che di nuovo riunisce Roger e Novak. Il tennis è gioco d’incastri e quello fra i due è tra i più complessi. Con Gasquet, Djokovic ha vinto senza entusiasmare, molto sbagliando, molto preoccupandosi per una spalla (la sinistra) che gli da qualche tormento. Non è il Djolcovic migliore, però. Non è quello d’inizio anno e non è quello che ha tentato di conquistare Parigi, battuto solo da un Wawrinka fuori da ogni schema. Gioca di sponda, non affonda, abbozza qualche trama e si ritrae. Federer rincorre il diciottesimo Slam. Avrà il pubblico dalla sua, e la classe, quella davvero infinita. Forse avrà anche la pioggia, prevista a scrosci per domani: campi umidi e veloci. Se serve come ha fatto contro di me, sarà difficile batterlo anche per Nole », avvisa Murray. Ma Federer non può più avere l’età e la fisicità di Djokovic. E dopo quindici giorni, una finale Slam è la montagna più alta che vi sia

 

Muguruza sfida Serena: “La guardavo in tv da bambina” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il1 tempo cambia molte cose nella vita. Soprattutto le opinioni. Dodici mesi fa, dopo la sconfitta di primo turno contro la Vandeweghe, Garbine Muguruza usciva da un campo secondario di Wimbledon facendo una promessa a se stessa: «Non giocherò mai più qua sopra». Il suo rapporto con l’erba più famosa del mondo, del resto, era cominciato l’anno prima nel peggior modo possibile: non solo il k.o. contro Makarova al secondo turno, ma addirittura la frattura a una caviglia con relativo stop di sei mesi e video su Youtube in cui, come già Muster, si allenava su una sedia a rotelle per non sforzare l’arto. CONSIGLI Insomma, pareva un verde senza speranza. Ma il talento è più forte dell’orticaria che ti possono provocare questi prati. E così, passato un anno, Garbine a Church Road giocherà la sua prima finale Slam, 19 anni dopo l’ultima spagnola, la Sanchez (battuta dalla Graf) e 15 anni dopo l’ultima connazionale in assoluto, la Martinez (Parigi, sconfitta dalla Pierce). Proprio a Conchita, vincitrice di Wimbledon 94 e oggi sua capitana di Fed Cup, la Muguruza ha chiesto consigli dopo una campagna di avvicinamento al torneo che non avevo certo rinnovato l’amicizia con l’erba (fuori subito a Birmingham, al secondo turno a Eastbourne): «Le ho chiesto: cosa devo fare su questa superficie? E lei mi ha detto che non era un problema di gioco, ma di testa e di pensare a una partita per volta». LA PIU’ FORTE Ci è riuscita così bene da arrivare fino in fondo, battendo la Radwanska in semifinale nonostante un blocco a metà del secondo set: «Quando ho capito che potevo vincere, mi sono innervosita». Questo è il problema: la basca di madre venezuelana è destinata a lasciare il segno, e da lunedì debutterà nella top ten (numero 6 o 9), ma affrontare all’epilogo Serena Williams, che ha impallinato come al solito la Sharapova, è alla 25′ finale Major (con sole 4 sconfitte) e a caccia del sesto Wimbledon e del Calendar Slam (non perde da 27 partite e può vincere il quarto Major consecutivo ma non nella stessa stagione), accappona la pelle. O forse no: «Sogno questo momento da quando ho 8 anni e guardavo proprio Serena in tv, che ha ispirato le ragazze della mia generazione. Però non avevo il suo poster in camera da letto. E, se devi giocare la prima finale Slam, è più bello contro la più forte della tua epoca». SENZA PARENTI Coraggiosa, Garbine, che vorrebbe conoscere Brad Pitt, e delle origini sudamericane conserva l’amore per la musica caraibica. Ma, da buon sangue latino, è anche tanto scaramantica, fino a rimanere indecisa se invitare i genitori per la finale: «Non li ho fatti venire per non incasinarmi. Mi lavo i denti sempre alla stessa ora e mi alzo dal letto sempre con lo stesso piede, con loro non sarebbe possibile». E se andasse male, c’è sempre il piano B: «Preparerò dei dolci, mi piace cucinare. Ma dopo il torneo mi sa che prenderò delle lezioni». Intanto, ha cominciato a darne

 

Garbine va da sola contro turbo Serena (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

La nuova stella del tennis femminile contro il suo idolo, modello, fonte d’ispirazione. L’outsider contro la pluricampionessa. La debuttante sul palcoscenico più prestigioso e la veterana di mille battaglie (e altrettante vittorie). Una finale sbilanciata per Slam vinti (20 a 0), tornei conquistati (67 a 1), montepremi guadagnati (oltre 75 milioni per la n.1 al mondo, circa 3 per la più giovane). Ma dall’esito – nell’unanimità dei pronostici – non così scontato, perché Garbine Muguruza, la sorpresa dei Championships 2015, ha già battuto Serena Williams. Lo scorso anno, a Parigi, con un duplice 6-2. Un match senza storia, ma molto utile alla più giovane delle sorelle Williams, che rincorre il sogno – inconfessabile – del Grande Slam dopo le vittorie a Melbourne e Parigi. «Mi ha aperto gli occhi quella partita – ricorda Serena – Ci sono match che ti fanno arrabbiare, altri dai quali puoi imparare. Quella è stata la più utile da moltissimo tempo. Sono migliorata tantissimo dopo quel match, e indirettamente devo ringraziare Garbine. Ho lavorato su alcuni aspetti specifici del mio gioco, che dopo alcuni mesi ne hanno alzato il livello». Come dimostrato anche nella semifinale di giovedì, quando ha letteralmente annichilito Maria Sharapova. Eppure all’ottava finale a Wimbledon Serena giura di vivere una vigilia senza particolare stress. «Non devo dimostrare più nulla a nessuna. Non sono obbligata a vincere un altro Wimbledon o a New York. Quando perdo non sono mai felice, ma quando entro in campo la gioia supera, e di molto, la tensione». Un approccio spensierato, probabilmente solo tattico per la statunitense, alla 25° finale in uno Slam. ESORDIENTE Dall’altra parte della rete, match all’esordio in un torneo tanto importante, la giovane Garbine, che riporta la Spagna in finale dopo 19 anni (l’ultima era stata Arantxa Sanchez Vicario nel 1996, stoppata da Steffy Graf ). Il sogno è eguagliare Conchita Martinez, trionfatrice nel 1994. «E’ una sensazione strana perché quando avevo 8 anni sognavo di giocare una finale qui. Ma giuro di non sentire alcuna pressione, solo una sensazione fantastica, ho lavorato duramente per arrivarci». La spagnola, che anche per la finale non ha voluto i genitori in tribuna («Ma giuro: non sono scaramantica»), dimostra di avere le idee chiare sul piano tattico da seguire. «Voglio esprimere il mio gioco. Il fatto di averla battuta già una volta, a Parigi, mi dà la fiducia di poterla batterla ancora. Non ho paura, anche se Serena quest’anno non ha perso tanti incontri (tre; ndr)».

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