Tennis e muscoli, la forza di Serena avvicina il sogno Grande Slam (Clerici). Andy e Roger, Wimbledon si spacca (Marcotti). Cara Maria, sei diventata polverosa (Valesio). Gasquet l’incompiuto. La semifinale con Djokovic ultimo treno per lo Slam (Semeraro).

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Tennis e muscoli, la forza di Serena avvicina il sogno Grande Slam (Clerici). Andy e Roger, Wimbledon si spacca (Marcotti). Cara Maria, sei diventata polverosa (Valesio). Gasquet l’incompiuto. La semifinale con Djokovic ultimo treno per lo Slam (Semeraro).

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Tennis e muscoli, la forza di Serena avvicina il sogno Grande Slam (Gianni Clerici, La Repubblica).

Con la netta vittoria sulla Sharapova, Serena Williams ha il 99% di probabilità di conquistare in finale, con la novità Muguruza, il suo sesto Wimbledon, e di avvicinarsi ancor più al Grande Slam, prodezza sin qui riuscita soltanto alla Smith, alla Connolly e alla Graf. Le semifinali di oggi sono riuscite ad interessare il vecchio scriba soprattutto per questa futura proiezione storica. Nonostante il mio ribadito Femminismo, sono costretto a dire che il tennis delle donne, dopo il ritiro di quel genio della Henin, di Minerva Hingis, e perché no, della Mauresmo decomplessata, mi appare sempre più la ripetizione di una ripetizione. Causa il concorso di colpa di coach privi di cultura, le ventenni esibiscono la stessa tecnica, quasi un gruppo di ballerine attraenti ma tutte eguali. Oggi la prima semifinale è stata vinta da una delle nuove atletesse, indirizzate fin dalla culla alla musculazione, alla violenta battuta, al diritto liftato, alla sostituzione della volée con quel che ho battezzato schiaffo, e con rovesci bimani che sembrano prodotti nella Silicon Valley. La vittoriosa rappresentante odierna della categoria si chiama Garbine Muguruza, è dotata di simili qualità ripetitive, ed ha, in più, l’insolita caratteristica di essere una spagnola ritornata dall’America, più precisamente dal Venezuela, per una scelta che un mio collega catalano ritiene economica ancor prima che patriottica. Come gli ultimi rappresentanti maschili del gioco divengono sempre più simili nelle caratteristiche ai cestisti, la ventiduenne Garbine supera il metro e ottanta e i 75 chili, arrota diritto e rovescio, va pochino a rete, e si astiene da qualsiasi ispirazione. Sia chiaro che lo Scriba non può non stimarla per il suo arrivo in finale partendo dal n.20 assegnatole da alcuni increduli, reso possibile da 6 match sempre ben condotti, con due soli set perduti prima del terzo, di oggi, contro la Radwanska, non proprio l’ultima arrivata, se si guarda ai suoi 7 quarti di finale, alle 2 semi in tornei Slam, e soprattutto alla finale perduta con Serena due anni fa. Nata polacca a Cracovia, credente sino ad inventarsi un rovescio genuflesso, Agnieszka era favorita anche dai bookmakers, ma la ragazzona le è stata tanto superiore da regalarle in pratica un set causa l’emozione per circostanze che doveva aver soltanto sognate. L’altra semi, quella di Serena attualmente imbattibile, se in salute e felice per la non insolita situazione che fa del coach un partner sentimentale, è stata più di una ripetizione dei 17 match vinti contro Sharapova. Un amico dotato di memoria mi ha spinto a ritrovare sul computer il mio scritto del secondo match tra le due, quello del 2004 in cui Maria aveva stregato tutti, superando in velocità e angolazione Serena. Sono passati 11 anni, la spalla destra di Maria è stata ricostruita, e parte della sua attenzione si è distolta dal tennis causa amori e attività commerciali legate alla sua immagine. Serena ha sviluppato non solo una battuta che l’ha condotta a un record di circa 70 aces nel torneo ma addirittura a chiudere il match con un poker, fenomeno forse mai avvenuto nel tennis femminile. È stata, la partita, simile ad una esibizione agonistica, senza che mai fosse in dubbio il risultato. Val solo ricordare che il cammino non è privo di 3/4 di Slam. Tra le donne sono 3, Hingis per una caduta da cavallo, Seles per una pugnalata e Navratilova, addirittura due volte, causa la sua amica Evert.

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Andy e Roger, Wimbledon si spacca (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport).

Gli ultimi tre incontri sono stati un caleidoscopio di emozioni. Così differenti da rendere indecifrabile la 24esima sfida, in programma oggi sul Centrale. Lacrime di delusione, reazioni d’orgoglio, la città sempre la stessa: Londra. Ma non la superficie. Due volte i prati di Church Road. L’ultimo match in quella navicella spaziale che è la 02 Arena di Greenwich. Snodi nella carriera di Andy Murray. Tre partite contro Roger Federer che hanno segnato momenti chiave della sua recente maturazione. La prima, la finale dei Championships 2012. Andy ha già perso tre finali Slam, Federer insegue il settimo alloro a Wimbledon. Finisce con la quarta sconfitta dello scozzese, votato all’inciampo a un passo dalla gloria. E che piange in mondovisione tutta la sua tristezza. «E’ impossibile fare paragoni con quella partita – ricorda oggi Federer – Perché Andy veniva da diverse sconfitte in finali Slam e non aveva ancora vinto uno dei quattro Major. Ora è un giocatore maturo, che ha fiducia nel suo gioco, e soprattutto sull’erba sta giocando molto bene. Non solo qui ma anche al Queen’s, dove ha vinto». Un pianto liberatorio che conquistò definitivamente gli aficionados del Centrale, in larghissima maggioranza inglesi, fin lì tiepidi con il ragazzo di Dunblane. Colpa della rivalità che ancora oggi divide Londra ed Edimburgo. Dopo le lacrime di quel pomeriggio di luglio è diventato un beniamino indiscusso (nonostante il tweet pro-indipendenza scozzese). Anche se oggi i 16.000 del Centrale si divideranno a metà, tra il richiamo patriottico e la fascinazione per la bellezza del tennis. Impossibile d’altronde trovare un pubblico ostile a Federer, neppure da queste parti dove ha trionfato sette volte (e raggiunto in nove occasioni la finale). «Roger ha tifosi ovunque, anche a Londra. Non posso dire di giocare in casa perché in tutti i match Roger riceve un sostegno impressionante», si schermisce lo scozzese capace, un mese dopo quel pianto, di ripagare l’affetto con la conquista dell’oro olimpico, ancora sui prati di Church Road. In finale c’è ancora Federer, la rivincita perfetta. Una partita a senso unico, tre set senza storia con Ivan Lendl, suo coach dall’inizio di quell’anno, che però attende ancora la fine del sortilegio. L’incubo delle sconfitte negli Slam si interrompe un mese più tardi, quando Andy si impone agli US Open (in finale contro Novak Djokovic). L’estate successiva il cerchio si chiude, e dopo 77 anni la Gran Bretagna può festeggiare la vittoria di un suo figlio all’All England Club. Il 2014 è l’anno più difficile per Andy, l’operazione alla schiena ne mortifica le velleità di recupero. In autunno gioca tanto, e vince tre tornei in poche settimane (Shenzhen, Vienna e Valencia), per migliorare la classifica e disputare le Finals. La ricca passerella di fine anno, che si gioca a casa sua. Ma una volta a Londra, Andy è senza più energie, e Federer lo umilia concedendogli un solo gioco nel match d’accesso alle semifinali. L’unico, lo svizzero, a non giocare mai fuori casa, anche davanti ad una platea di soli sudditi di Sua Maestà. Eppure oggi, non solo secondo i bookmaker locali, partirà comunque da sfavorito, nonostante i cinque match senza sbavature, il solo set concesso (al tie-break), il turno di servizio smarrito dopo averne infilati 116 consecutivi. «Con Andy abbiamo giocato contro tante volte, ci conosciamo, ma i match passati non conteranno, ogni incontro fa storia a sé». Opinione condivisa da Mats Wilander, cinque Slam in carriera, ma a Wimbledon mai oltre i quarti di finale. «Mi aspetto che Federer sia aggressivo fin dal primo scambio, d’altronde non ha alternative – l’analisi dello svedese – Sarà qui la chiave dell’incontro. Per quanto tempo riuscirà Roger a rimanere aggressivo? Inevitabilmente accuserà passaggi a vuoto, qualche rallentamento. E in quei frangenti Andy dovrà saperne approfittare per attaccare. Penso che sia la sfida più interessante di sempre tra questi due giocatori perché Andy sta giocando il suo miglior tennis ma anche Roger resta di altissimo livello. Io vedo leggermente favorito Murray, ma solo per una questione di età».

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Cara Maria, sei diventata polverosa (Piero Valesio, Tuttosport).

Dopo il diciassettesimo tram lanciato alla massima velocità che l’ha travolta è lecito porsi una domanda: come sarà il tennis senza Maria? Perché quel momento sta arrivando; magari non è ancora dietro l’angolo ma arriverà. E nessuna più della Sharapova ha segnato e segna la storia del tennis contemporaneo femminile: non tanto per quanto ha vinto e per il come, ma soprattutto per com’è o, forse, per com’era. Prima di lei nessuna era assurta al ruolo di testimonial assoluta: dei suoi prodotti e dei marchi che la sostengono ma anche del tennis in senso lato. Le pause dall’attività cui ha dovuto sottoporsi per i guai fisici non solo non hanno eroso questo ruolo ma l’hanno anzi potenziato: quando non ha giocato l’assenza della Sharapova rombava più della sua presenza. Comunque il tempo passa anche per Maria. Al di là dei 17 ko di fila che ha subito per mano di Serena, è come se avesse penso freschezza. Non solo nel suo tennis, che quando funziona è ancora fra quei tre-quattro più efficaci al mordo: ma anche nel volto, per dire. Resta bellissima, ma è più polverosa, come se sui suoi tratti fosse comparsa una promessa di maturità con tutto ciò che questo comporta. E’ come se si stesse preparando ad abbracciare a tutto tondo il suo ruolo di donna-manager, professione in cui è già impegnata da tempo. E come sarà il tennis senza di lei? La sensazione che ormai il suo peso sia quasi del tutto scisso dai risultati che ottiene in campo, peraltro ancora apprezzabili. In futuro il tennis in rosa potrebbe aver e i suoi problemi a trovare un’altra che trasmetta quella stessa sensazione di seduzione. Stante il (forse) momentaneo black hole in cui è entrata la Bouchard (che peraltro emoziona quanto un documentario sovietico sugli esiti dei piano quinquennale), l’incostanza cronica della Lsicki, che almeno tira forte, la non più verdissima età della Pennetta, ecco che la sorte o chi per essa potrebbe averci consegnato la soluzione al problema: e se Garbine Muguruza fosse la risposta? Ecco perché ai pian alti del tennis forse la venezuelan-iberica avrò domani molti più tifosi di quanti invece sperano che Serena compia un passo enorme verso lo Slam.

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La semifinale con Djokovic ultimo treno per lo Slam (Stefano Semeraro, La Stampa).

Lo hanno sempre fregato le intermittenze del cuore e del talento, i dubbi che ti crescono dentro e ti lasciano con l’incantesimo a metà. La paura di non essere davvero quello che tutti si aspettano. Richard Gasquet oggi torna in semifinale a Wimbledon, otto anni dopo. Sul Centre Court lo aspetta Novak Djokovic ed è come riaprire una scatola chiusa in soffitta. Nel 2007 a stopparlo fu Federer: sembrava un arrivederci a presto, è diventata una cartolina lontana. A quei tempi Richard aveva 21 anni ma già un lungo futuro alle spalle, iniziato il giorno che Tennis Magazin decise di sbatterlo in copertina, il rovescio da baby-fenomeno caricato dietro la spalla, lo sguardo fisso ad una pallina gialla che pareva un mondo da scoprire. «Richard G., 9 anni. Il campione che la Francia attende?». Il punto interrogativo è ancora lì che dirama echi maligni. Perché Richard nel frattempo è diventato sì un ottimo giocatore – numero 7 del mondo nel 2007, dodici tornei vinti, tre semifinali nello Slam – ma non è mai veramente diventato quel fuoriclasse che i francesi si aspettavano. Fra quella copertina, le sfide da cucciolo vinte con il gemello molto diverso Nadal (sono nati a 15 giorni di distanza), un successo memorabile contro Federer a Montecarlo giocando come si fa solo in Paradiso, e l’ultimo treno che parte oggi da Church Road ci sono stati alti e bassi. Molti coach (compreso il nostro Piatti), parecchi infortuni, delusioni assortite. Qualche scandaletto. Il bacio alla “coca” ad una ragazza in discoteca che gli costò una sospensione. «Ecco, appena vinco una partita mi chiedono come è il “nuovo” Gasquet. Mi viene da ridere, perché si riparte sempre alle solite schifezze. Grazie, stavolta preferirei evitare». A parte il fisico un po’ periforme, la camminata basculante, Richard ha ricevuto molto in dono: un braccio unico, un polso superiore persino a quello di Federer. Un rovescio da Hall of Fame, il migliore in circolazione dopo quello di Stan Wawrinka, l’alter ego svizzero di cui mercoledì si è liberato nei quarti. Avrebbe potuto (dovuto?) vincere 2 o 3 Slam, essere un inquilino fisso dei primi 5-10 del mondo. Invece. Per i tecnici la colpa è di quella paura dannata di fare un passo in più dentro il campo. Lui la spiega diversamente. «Ci sono quelli che fin da piccoli vogliono diventare n. 1 del mondo, come Djokovic o Nadal; io volevo solo divertirmi. Quando a 16 anni ho iniziato a diventare forte, fu uno choc. E a un bambino di nove anni oggi direi: lascia perdere». Per vincere degli Slam devi avere quintali di autostima. Meglio, di presunzione: «Ho sempre sognato di vincerne uno, la verità è che non sono abbastanza forte. Anche stavolta, guardate gli altri tre: Djokovic, Federer, Murray. Quello scarso sono io. Ma va bene così. Adoro il tennis. L’importante è stare in campo e godersi l’emozione». Un altro francese malinconico, che giocava a tennis come Richard, ha scritto che la memoria è un palazzo sommerso che ogni tanto riaffiora. Basta il sapore di un dolcetto. O magari l’odore dell’erba. Godiamoci Gasquet, e il suo talento ritrovato.

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