Int. A Marion Bartolì: «Flavia è come me Dopo lo Slam vincerà nella vita» (Crivelli), Italia contro Spagna duello lungo 80 anni. Dal Mondiale di calcio del 1934 a Nadal-Fognini passando attraverso il Settebello e l'Italbasket (Marini)

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Int. A Marion Bartolì: «Flavia è come me Dopo lo Slam vincerà nella vita» (Crivelli), Italia contro Spagna duello lungo 80 anni. Dal Mondiale di calcio del 1934 a Nadal-Fognini passando attraverso il Settebello e l’Italbasket (Marini)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 
Int. A Marion Bartolì: «Flavia è come me Dopo lo Slam vincerà nella vita»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 27.10.2015

 

Uscire di scena quando gli applausi sono più scroscianti, dopo aver recitato il ruolo migliore. Ci vogliono coraggio, convinzione e grande rispetto di sé. Prima di Flavia Pennetta, che ha annunciato il ritiro qualche minuto dopo aver vinto gli Us Open, era stata Marion Bartoli (impegnata nel torneo delle leggende a Singapore) a sottrarsi alle luci della ribalta con il trofeo di Wimbledon 2013 ancora caldo tra le mani. Marion, dopo quanto fece lei, immagino possa essere d’accordo con la decisione di Flavia… «La situazione è diversa, io vinsi Wimbledon e poi mi resi conto che la spalla destra non poteva più sopportare il carico delle partite. Lei invece è ancora in forma, però credo si sia resa conto che dopo una carriera così lunga era arrivato il momento di riflettere. E il successo a New York ha coronato i suoi sogni, cosa poteva volere di più? E’ una bellissima storia di sport». Se l’aspettava che potesse conquistare uno Slam a 33 anni? «Sul punto decisivo, mi sono messa a piangere. Ricordo quando da ragazzine appena arrivate sul circuito ci sfidavamo nei challenger da 10.000 dollari. Siamo state rivali per 15 anni, Flavia è stata un’avversaria sempre leale. Ha dimostrato che con la perseveranza, la costanza, la fiducia in sé stessi nessun traguardo ti è precluso. Uno splendido messaggio e un esempio per le tenniste più giovani». Secondo lei, Flavia doveva smettere subito dopo New York? «No, perché il Masters è un premio meritato, lo giocano le otto più forti del mondo e una sei tu, è qualcosa che resta per sempre. Fossi stata nei suoi panni, avrei fatto lo stesso». Come si vince la nostalgia del tennis? «Con un progetto di vita, anche se molto dipende dal carattere di ciascuno. So che Flavia vuole sposarsi, quindi ha un’idea forte di ciò che dovrà fare in futuro, la moglie e magari la madre. Altre rimangono nel mondo del tennis, altre ancora, come me, si dedicano a un’attività completamente nuova, anche se poi da commentatrice tv non ho del tutto reciso le radici. Bisogna investire ancora su se stesse, e Flavia ha il cuore e l’intelligenza per farlo». A proposito, come va con la creazione di bijoux, il suo nuovo lavoro? «Sono molto soddisfatta, è un impegno che mi prende 10 ore al giorno per sei giorni la settimana, ci metto tutta me stessa come facevo nel tennis, posso esprimere la mia creatività e il mio talento in un altro modo». Ma si riesce davvero a dimenticare per sempre l’adrenalina di un match? «Bisogna partire da un presupposto semplice ma assoluto: per chi ha giocato ad alti livelli, niente ti dà più emozioni e brividi di una partita. Però è qualcosa destinato a finire, non puoi ripeterlo all’infinito e soprattutto, quando smetti, non puoi ritrovarlo in nient’altro. Per questo devi cambiare prospettiva». Una delle più forti giocatrici italiane, Camila Giorgi, come lei è allenata dal padre e questo alimenta polemiche. Ha consigli da darle? «Nessun consiglio: mi piacerebbe soltanto sedermi a un tavolo con suo padre e capire se ha le conoscenze adeguate per allenare. Se le ha, nessun problema. Io so, ad esempio, che mio padre può seguire una giocatrice tra le prime dieci con gli stessi risultati, o anche migliori, che ha avuto con me. Perché conosce il tennis. Certo, una relazione cosi stretta porta tensioni, ma se quando ti confronti capisci che la controparte possiede gli strumenti tecnici idonei, non importa se è tuo padre, tua madre, tuo zio o un estraneo»….

 

Italia contro Spagna duello lungo 80 anni. Dal Mondiale di calcio del 1934 a Nadal-Fognini passando attraverso il Settebello e l’Italbasket

 

Enrico Marini, il corriere dello sport del 27.10.2015

 

Quello di ieri è solo l’ultimo capitolo di un’acerrima rivalità, quella tra Italia e Spagna che inizia ottantuno anni fa nel Mondiale di calcio del 1934, e che negli anni 90 si sposta al basket, alla pallanuoto e infine recentemente al tennis e al motociclismo. Sfide fatte di vittorie ma anche di cocenti sconfitte, di colpi proibiti e vittorie inattese. E che sembra destinata a non finire mai. La pietra angolare che ha dato il Ià alla rivalità storica tra Italia e Spagna è il Mondiale del 1934. La nazionale spagnola rappresentava i colori della Seconda Repubblica. Sulla carta le “Furie Rosse’ erano tra le aspiranti al titolo, forte delle parate del mitico Ricardo Zamora soprannomi-nato “El Divino”. Negli ottavi la Spagna sconfisse per 3-1 il Brasile, ma nei quarti dovette affrontare l’Italia e uscirono sconfitti e malmessi nella doppia sfida: 11 infortunati e tanta voglia di vendetta. In Spagna in occasione dell’80 anniversario del Mondiale italico la stampa ricordava ancora con sdegno l’eliminazione: «La prima offesa tra Italia e Spagna» (Marca) e «Italia 1934: la Spagna era la migliore» (El Mundo). Difficile da dimostrare, tutt’altra musica in questo secolo quando è lampante il dominio della Roja a partire dalla sconfitta degli azzurri ai rigori nei quarti dell’Europeo del 2008. Italia surclassata anche quattro anni dopo nell’Europeo vinto dalla Spagna con un sonoro 4-0 agli azzurri in finale. Dimostrazione di forza del tiki-taka della Roja contro la Nazionale di Balotelli, Pirlo e Buffon. GIOIE E DELUSIONI. Alla lista delle delusioni iberiche c’è da aggiungere invece quella del Mundial del 1982. La nazionale di casa guidata dal bomber Santillana venne eliminata nel secondo girone dalla Germania Ovest e dall’Inghilterra. Mentre l’Italia grazie ai gol di Paolo Rossi, soprannominato “Pablito” dal ct Bearzot sollevò la Coppa del Mondo a Madrid nello stadio Santiago Bernabéu. Ancora più amara, per gli spagnoli, la vittoria del Settebello nella finale olimpica di Barcellona, vinta grazie al gol di Ferdinando Gandolfi al settimo tempo supplementare contro i padroni di casa. Gli anni 90 si chiusero poi con l’Europeo del 1999 vinto dall’Italbasket di Myers, Basile e Meneghin proprio contro la Spagna. Solo quattro anni dopo arrivò la vendetta iberica grazie a Garba-josa, Navarro e soprattutto a Pau Gasol, che in semifinale eliminarono l’Italia, volando così in finale. La parziale vendetta della palla a spicchi nel recente Europeo 2015, dove l’Italia si è permessa il lusso di battere una Spagna, che poi si sarebbe proclamata campione, segnandole ben 105 punti. SENZA ESCLUSIONE DI COLPI. Quanto a colpi proibiti in Spagna è famosissima la fotografia che ritrae un Luis Enrique col naso rotto e insanguinato. A ogni sfida calcistica tra Italia e Spagna infatti i media locali rievocano il “codazo” (gomitata) di Tassotti a Lucho nel Mondiale Usa 1994, usato come eterna scusa della sconfitta finale contro gli azzurri. Oltre al caso Marquez, poi, Rossi ha un precedente con un altro spagnolo: indimenticabile la sfida dell’arcinota “spallata” di Valentino a Sete Gibernau nel gran premio di Jerez del 2005. Ma anche in patria Gibernau era considerato giustamente inferiore a Rossi, che ammaliava col suo fascino da italiano allegro, e anche la sportività di Gibernau placò eventuali le polemiche. Nervi tesi ultimamente anche nella sfida tennistica tra Nadal e Fognini nella finale di Amburgo. Dopo due vittorie a Rio e Barcellona, l’italiano oltre a perdere il match perse le staffe prima con varie richieste di warning per i ritardi nel servizio del maiorchino, e poi nei confronti dello zio Toni, allenatore di Rafa, apostrofato dall’italiano in perfetto castellano: «Non mi rompere i game, fai sempre lo stesso, sempre».

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