È risorto Rafa Nadal, “falso cinco” (video di Ubaldo e Claudio Pistolesi)

Editoriali del Direttore

È risorto Rafa Nadal, “falso cinco” (video di Ubaldo e Claudio Pistolesi)

Stan Wawrinka batte David Ferrer garantendo un posto in semifinale a Rafa Nadal come n.1 del suo gruppo. Lo spagnolo ha perso 10 games su 34 fin qui. Chiunque vinca fra Murray-Wawrinka non potrà superarlo. Taceranno le cornacchie per il mancato De Profundis? Guarda il video di Ubaldo Scanagatta e Claudio Pistolesi sulla resurrezione di Nadal

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Nel calcio va di moda, dai tempi del tiki-taka degli azul-grana del Barcellona e di Guardiola, il “falso nueve”, cioè un attaccante che ha sulla maglia il classico numero del centravanti, ma poi gioca arretrato – una volta si diceva alla Hidegkuti o anche alla Di Stefano, prima di Charlton – e non è una vera punta ma, appunto, “falsa”.

Quest’anno Rafa Nadal, re di 9 Roland Garros in 10 partecipazioni fra il 2005 e il 2014 (unica “macchia” Soderling nel 2009 poi vinto da Roger Federer), è sembrato a lungo l’ombra del campione che era, del grande rivale di Roger Federer, del solo campione che per via dei tanti duelli vinti non consentiva ai miliardi di tifosi dello svizzero di poter sostenere a cuor leggero che Roger era “the Goat” il campione più forte di tuti i tempi.

Su questo sito se ne è discusso all’infinito. Fino alla noia. Come poteva essere il campione di tutti i tempi uno che nei confronti di un giocatore del suo stesso tempo aveva perso molte più partite di quante ne avesse vinte?
Vi risparmio la rielaborazione di tutte le diatribe, anche perché dovrei avere a disposizione una di quelle famigerate “cloud” che raccolgono di tutto e di più per interi sistemi telematici.

Perfino sulla terra battuta Rafa non è stato più il maestro incontrastato che tutti si erano abituati a vedere. Anche se nel suo regno, il Roland Garros, il sorprendente erede era stato Stan The Man Wawrinka, nell’immaginario collettivo era stato Novak Djokovic che senza alcun timore reverenziale, quasi senza rispetto, gli aveva strappato brutalmente anche lo scettro rosso che sembrava dover appartenere a Rafa a vita.

Così quasi ovunque avevo cominciato a leggere de profundis quando, dopo le cocenti delusioni per le truppe nadaliane post Montecarlo e post Roma, a seguito dell’insopportabile finale Wawrinka-Djokovic – dove quell’insopportabile naturalmente si riferisce alla percezione avvertita dai fans di Rafa – il maiorchino era sceso a n.10 del mondo, la sua peggior classifica dall’aprile 2005. Erano de profundis accorati e disperati, come gaudenti.

“Da cinque tornei, da Pechino, sono tornato ad essere competitivo, cioè posso perdere o vincere ma lotto alla pari con tutti” diceva tutto fiero Rafa oggi dopo aver messo in fila, in un paio di giorni, il n.2 e il n.4 del mondo, Stan Wawrinka e Andy Murray, senza perdere un solo set, lasciando loro la miseria di cinque games ciascuno. 63 62 al primo, 64 61 al secondo.

Insomma, quando uno vince 24 games su 34 sulla superficie meno amata… – e dimentichiamo pure la sua tesi secondo cui lui giocherebbe meglio sulle superfici indoor veloci (me l’ha detto l’altro giorno, ma io sono rimasto dubbioso e perplesso: sulle superfici veloci contro Federer anche qui gli ho visto prendere delle gran stese!) – beh se non è proprio risorto, se non è del tutto guarito, di certo è sulla strada della convalescenza.

Non nascondo certo né a me stesso né al lettore – che rispetto assai più di me stesso – il fatto che Murray oggi fosse ai confini dell’impresentabilità. Non è davvero il vero Murray quello che serve soltanto il 43% delle prime palle, quello che cede 4 volte il proprio servizio facendo in quelle quattro situazioni appena 4 punti – due game di battuta li ha persi infatti a zero, il decimo che gli è costato il primo set e il secondo del secondo set che ha pregiudicato la seconda manche, e altri due li ha persi a 30 (il secondo del match e quello che ha permesso a Nadal di salire 5-1 nel secondo set) – né quello che al di là dei quattro break subiti deve salvare anche altre 5 pallebreak nel sesto e nell’ottavo game del primo set, che è poi il solo che è stato combattuto.
Così come l’altro giorno anche Wawrinka, soprattutto nel secondo set, sembrava che avesse una gran fretta di andare sotto la doccia (o di riunirsi con Donna Vekic?).

Quindi queste performances disastrose dei due top 4 letteralmente giustiziati da Rafa Nadal finiscono per inficiare un po’ il giudizio che si può esprimere sullo stesso Rafa, la sua ritrovata convinzione, la sua rinascita, o resurrezione se preferite.

Ma il fatto che stia avvenendo su un cemento indoor fa riflettere: se è capace di battere il n.2 e il n.4 del mondo e a questo modo su questa superficie, che può far loro sulla terra rossa anche se questi giocassero meglio (e ci vuole poco)?

Le valutazioni tecniche sugli incontri di queste ATP World Finals di fine stagione si fanno male. Si ha come la sensazione che i giocatori che perdono il primo set si lascino andare, mollino.

Io non ho avuto timore di esprimere questo mio dubbio a Andy Murray direttamente (vedi l’intervista con le mie due domande in successione), ben sapendo che lui avrebbe detto che no, figurarsi, a lui non piace arrivare secondo nel proprio gruppo per evitare Djokovic in semifinale… “Ci sono buone chance che Roger finisca primo in quel gruppo e Roger in questo torneo ha sempre giocato bene, ha vinto sei volte e giocato match incredibili. Non posso sostenere chi sia meglio fra Novak e Roger perché le cose possono cambiare giorno per giorno. Io ho perso facilmente da Rafa oggi ma potrei doverlo incontrare di nuovo fra qualche giorno e potrebbe essere un’altra storia. Non sto provando a finire secondo… sto cercando di vincere ogni match che gioco. Spero che per tutti i giocatori la vedano allo stesso modo. La gente può avere opinioni diverse, e mi sta bene che tu ce l’abbia diversa da me… – ha detto un tantino risentito – ma non credo che sia giusto dirmi che questo formato è sbagliato, che io preferirei chiudere da secondo piuttosto che da primo, perché questo nella mia testa non è così”.

Ovviamente rispetto anch’io l’opinione di Andy, i grandi campioni non sarebbero mai diventati tali se non avessero dentro un grande senso dell’orgoglio, della propria dignità.

Tuttavia io penso che quando i margini fra un campione e l’altro sono così minimi e come ha detto Andy “le cose possono cambiare giorno dopo giorno”, basti un nonnulla per incidere sul risultato.

Questi campioni hanno necessità di essere estremamente concentrati secondo dopo secondo, “focused” (focalizzati) come dicono loro, e se anche per un attimo la loro mente è attraversata dal pensiero che… beh, se anche perdo questo match non è la morte di nessuno, ho ancora una chance di qualificarmi, su proviamo a vedere se riesco a far cambiare l’inerzia del match… ma se non ci riesco pazienza…. beh ecco, basta quel minimo pensiero per fare la differenza con chi dall’altra parte della rete invece non si distrae un decimo di secondo, con chi è deciso a vincere ogni punto che gioca perché ne ha bisogno il suo morale, la propria convinzione, perché è a caccia di fiducia.

Nadal in questo momento è così: è consapevole di aver avuto una annata in chiaroscuro, anzi scurissima per i suoi standard, e ha temuto che la gente che recitava il suo de profundis potesse avere malauguratamente ragione, così come tutti quelli che sostenevano che il suo tennis così dispendioso, così muscolare, lo avrebbe logorato molto presto e certo molto più presto – perché i confronti fra i due grandi rivali Federer Nadal non potevano cessare – di Roger Federer che… gioca senza far fatica, che non suda nemmeno, che non ha bisogno di muscoli, che anche a 50 anni con la sua souplesse giocherà quei tweener o si esibirà in quei SABR bla bla bla, tutte cose risapute, dette e ridette insomma.

Per Rafa Nadal, grintoso com’è, direi irriducibile, deve essere stato un periodo molto difficile quello attraversato fra la primavera e l’autunno, proprio quelle che per solito erano le sue stagioni migliori. A noi non lo dirà mai, non lo ammetterà perché è un orgoglioso maiorchino, ma sono sicuro che ha sofferto tantissimo (tutto è relativo naturalmente eh… non prendete le mie parole per oro colato!).

Non fu bello, anzi tutt’altro, nemmeno il 2013 per Roger Federer, tanti che lo davano per troppo vecchio, per finito. Anche Roger è un campione con le sacre stimmate, orgoglioso come pochi. Ma Roger ha sempre avuto una grande autostima che lo ha aiutato, insieme ad una famiglia sempre più numerosa ed affiatata a distrarlo in positivo, a evitargli l’ossessione che il tennis e i risultati di un torneo, di una stagione, di un anno, potessero avvelenargli la vita.

Rafa Nadal meno. Certamente anche lui ha due genitori molto legati, lo zio Toni (che però è stato discusso come tecnico da parecchi appena le cose sono andate meno bene), la fidanzata, l’inseparabile Benito, tanti amici, la sua Maiorca e la pesca… però per lui è come se in ogni partita si giocasse la vita, perché quello è il suo carattere, il suo temperamento, anche se poi – una volta uscito dal campo – è ragazzo troppo intelligente per confondere il tennis e i suoi risultati con la vita. Rafa è il primo ad essere consapevole di quanto – pur meritandosi tutto e di più – sia in fondo stato fortunato a fare la vita che ha fatto con il successo che ha avuto, le soddisfazioni che si è potuto togliere, i tanti momenti esaltanti ed indimenticabili… e sempre si certamente sacrificandosi fin da quando lo zio decise di impostarlo mancino lui che era destro naturale – pensate lo sforzo anche mentale a compiere un’impresa del genere, contro natura (il contrario di Carlos Moya, mancino naturale impostato come destro) – ma anche divertendosi perché il tennis è stata la sua passione, il suo primo amore.

Per tutti i motivi di cui sopra Rafa Nadal qui è arrivato più affamato degli altri. Sa di aver avuto una grande carriera, ma non sopporta l’idea che quella lunga parentesi di successo stia per chiudersi, o che sia addirittura già chiusa.

Vuole dimostrare agli altri e soprattutto a se stesso che è ancora vivo, che il miglior Rafa Nadal non si è già spento. Così ogni punto se lo gioca alla morte, e se deve strappare il servizio a Andy Murray, che peraltro aveva battuto 15 volte su 21, non si accontenta di farlo una, due o tre volte nel match, ma lo fa per quattro volte. E se può strappargli il game a 0 non si fa pregare, non si distrae sullo 0-40, ma chiude appena può. E viene perfino a rete – dove ha sempre dimostrato di saperci fare a dispetto di una vox populi disinformata – e conquista 11 punti su 13. “Vengo a rete quando ho fiducia, quando colpisco bene la palla, quando sono capace di giocare aggressivo. Quando tutto questo accade è perché sto giocando bene. Non sempre – ha concluso con il sorriso radioso di un ragazzino ai primi successi (e dopo una lezione data a Londra a Murray davanti alla stampa britannica schierata al completo) – ma molte volte le mie volée funzionano bene”.

Se non è del tutto risorto, il suo sorriso, il suo morale, sembrano quasi del tutto recuperati. Al momento in cui scrivo, con Wawrinka che ha vinto il primo set su Ferrer ed è avanti nel secondo 4-1 di due break, Nadal è  sicuro qualificato per le semifinali, probabilmente come n.1 del suo gruppo. Che ora, se Nadal non fosse… Nadal, potrebbe quasi pentirsi di non aver lasciato il passo a Murray: infatti con 90 probabilità su 100 il n.2 dell’altro gruppo, cioè il suo avversario in semifinale, sarà quasi certamente Novak Djokovic, il vincitore degli ultimi 3 Masters qui all’02 Arena. L’avversario che più di ogni altro Rafa avrebbe dovuto cercare di evitare, sulla base dei risultati più recenti.

Insomma, i prossimi giorni diranno se le cattive performances di Wawrinka e Murray hanno contribuito a suscitargli dentro qualche illusione di troppo. Ma stasera Rafa Nadal pareva un campione ritrovato. Altro che n.5. Un falso “cinco” semmai. Di nuovo un Fab Four, e non necessariamente il numero 4. Se continuerà così, almeno al Roland Garros dovranno fare tutti i conti con lui. Anche Novak Djokovic. E anche se Djokovic qui lo dovesse dominare.

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